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Criptovalute: ecco come il Fisco becca gli evasori



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Le criptovalute non garantiscono anonimato assoluto. La Guardia di Finanza, con software di blockchain analysis, può identificare i proprietari dei wallet. Le nuove normative e gli obblighi KYC stanno rendendo più efficaci i controlli

Pubblicato il 20 mar 2025

Alberto Franco

Professore a Contratto di Diritto Tributario presso l’Università di Torino, Ph.D. Of Counsel, Genta & Cappa



rivalutazione delle cripto-attività (1) mobile banking e app bancarie fintech

Nelle ultime settimane ha provocato un certo scalpore la notizia secondo cui la Guardia di Finanza, sotto la direzione della Procura della Repubblica di Ravenna, avrebbe scoperto un’ingente evasione fiscale realizzata da un soggetto faentino mediante l’utilizzo di criptovalute[1].

Il caso di Ravenna: criptovalute e obblighi fiscali

In particolare, questo (non-) contribuente avrebbe accumulato una significativa quantità di criptovalute e di profitti da trading, omettendo però sia di adempiere agli obblighi di monitoraggio fiscale (il noto quadro RW), sia di dichiarare e assoggettare ad imposizione le plusvalenze conseguite.

È sicuramente impressionante la cifra stimata dalla Guardia di Finanza, secondo la quale la disponibilità di criptovalute di questo soggetto avrebbe raggiunto la cifra di 270 milioni di euro. Peraltro, come riportato dagli organi di stampa, lo stesso trader ha poi collaborato all’accertamento con la presentazione di dichiarazioni integrative e con l’adesione all’invito della locale Agenzia delle Entrate, con un versamento complessivo di circa 12,5 milioni di euro[2].

Tracciabilità delle criptovalute: un tema divisivo

La Guardia di Finanza ha definito l’operazione come “la prima e più rilevante eseguita in Italia per reati fiscali connessi al trading in criptovalute“; ciò ripropone ovviamente il tema della “tracciabilità” delle criptovalute o, meglio, del rischio che tramite l’utilizzo delle stesse possano prosperare sacche di illegalità e di evasione fiscale, senza che gli Stati abbiano gli strumenti per poter esercitare un’efficace attività di controllo.

Questo è un tema ampiamente ricorrente nel mondo economico-finanziario, e tendenzialmente è un tema molto divisivo, in quanto i cripto-entusiasti e i cripto-scettici hanno posizioni radicalmente opposte, come del resto ci si potrebbe attendere. E il recente aumento dell’imposizione fiscale per il 2025 e (soprattutto) per il 2026 ha ulteriormente polarizzato il dibattito.

Come funzionano i wallet e la pseudonimia

Occorre notare in primo luogo che generalmente i protocolli come Bitcoin non sono basati sull’anonimato, ma sull’utilizzo di un portafoglio virtuale, un “wallet” in forma di codice, che sarebbe da intendersi come uno “pseudonimo” dietro a cui si cela un proprietario. In altri termini, le transazioni che rimangono scritte (per sempre) sulla blockchain coinvolgono dei wallet in forma di codici (per certi versi assimilabili, ad esempio, a degli IBAN – anche se ovviamente questa è una semplificazione non del tutto corretta) ai cui proprietari non è immediatamente possibile risalire.

In realtà, non è affatto impossibile risalire dall’indirizzo di un wallet al suo proprietario: infatti, le transazioni effettuate sulla blockchain sono pubbliche, per cui chiunque può vedere l’operatività di un determinato wallet. Di conseguenza, questo elemento, in congiunzione con altri, potrebbe in via di principio permettere l’identificazione del proprietario di un wallet – proprio come ha effettuato la Guardia di Finanza nel caso sopra riportato.

Il ruolo degli exchange e gli obblighi KYC

Per le autorità pubbliche, inoltre, questo può risultare ancora più semplice se il wallet in questione ha, ad esempio, svolto operazioni con un intermediario (un exchange centralizzato, ad esempio) che è obbligato a determinate procedure di KYC (know your customer, ovverosia in sostanza il controllo dell’identità del cliente) e a trasmettere i dati in suo possesso, come flusso “normale” o su specifica richiesta. Questo vale a maggior ragione a partire dal 2022, visto che gli operatori di portafogli virtuali e servizi exchange che operano in Italia devono essere registrati come operatori in criptovalute presso l’OAM e comunicare obbligatoriamente all’OAM diverse informazioni riguardo i propri utenti e le loro attività con cadenza trimestrale – dati che poi possono essere messi a disposizione delle autorità e dell’Amministrazione finanziaria quando richiesto.

Le sfide investigative nel tracciamento delle criptovalute

Non è quindi impossibile risalire, ad esempio, da un wallet Bitcoin al suo proprietario. Vi sono diversi celebri esempi di come le autorità (soprattutto statunitensi) siano riuscite ad individuare e ad arrestare alcuni drug dealer che cedevano sostanze stupefacenti dietro pagamento in bitcoin.

È pur vero che, se non è impossibile risalire dal wallet alla persona, non è nemmeno un’operazione tra le più facili. In un intervento di qualche mese fa, il procuratore capo di Milano Marcello Viola lamentava che anche la criminalità vive la transizione digitale, e che è possibile rintracciare le transazioni “ma con procedimenti molto onerosi, che spesso è proficuo utilizzare solo quando le operazioni sono di alto importo”; secondo il procuratore aggiunto Eugenio Fusco “oggi le indaginifollow the money” non sono più appannaggio dei marescialli. Giovanni Falcone indagava sugli assegni bancari”, e le transazioni crypto “sono delle transazioni potenzialmente tracciabili, ma tracciabilità non è tracciamento. Uno su mille ce la fa … non alzeremo bandiera bianca, ma è molto più difficile[3]. Del resto, anche nel recente caso di Ravenna di cui si è dato conto in precedenza, è possibile notare come la Guardia di Finanza si sia mossa sotto la direzione della locale Procura della Repubblica, e quindi nell’ambito di un’indagine penale, e abbia svolto tale tipo di attività a fronte di una presunta evasione di importo senz’altro molto rilevante.

Risorse e normative per la tracciabilità delle cripto

In sostanza, quindi, il tema sembra essere non tanto la potenziale tracciabilità delle transazioni in criptovalute, ma il fatto che la concreta possibilità di tracciare queste transazioni richiederebbe un contesto normativo più adeguato e maggiori risorse, tant’è vero che ad oggi, secondo quanto indicato sopra, le transazioni per cui è concretamente ipotizzabile una tracciabilità sono quelle di importo elevato.

Privacy coin e anonimato: una sfida ulteriore

A complicare ulteriormente il quadro, vi è il tema delle privacy coin, ovverosia criptovalute pensate appositamente per garantire un maggior grado di anonimato agli utilizzatori, mediante sistemi complessi che, ad esempio, rimuovono i dati delle transazioni che sono suscettibili di pregiudicare la privacy delle parti. Tra queste criptovalute vi sono Monero, Zcash e Dash, che spesso sono state rimosse dalla negoziazione da diversi exchange centralizzati[4] e che sono ovviamente invise all’autorità in quanto, appunto, non consentono di mostrare i dettagli delle transazioni e dei saldi dei wallet, a differenza delle blockchain pubbliche, attirando quindi (comprensibilmente) parecchio interesse da parte di chi intende utilizzare le stesse per scopi illeciti.

Il futuro della regolamentazione crypto in Europa

Il fatto che questo sia un tema particolarmente importante per le autorità risulta chiaramente anche dal report First Report on Encryption by the EU Innovation Hub for Internal Security del giugno scorso, in cui “si consiglia alle autorità di rimanere aggiornate su questi sviluppi per essere pronte ad affrontarli nel corso delle indagini. Tutti questi sviluppi possono comunque essere oggetto di indagine da parte delle autorità, a condizione che si ottenga accesso alle chiavi private del sospettato. Questo non cambierà con l’introduzione di nuovi sistemi di crittografia, e continueranno a emergere opportunità investigative[5].

Il grande interesse che c’è in questo campo da parte delle autorità pubbliche, unito a modifiche normative ulteriori rispetto al regolamento MiCA e all’aumento delle società specializzate nella crypto investigation, potrebbe quindi portare ad una maggiore tracciabilità delle transazioni in criptovalute all’interno del mondo crypto. Chiaramente non siamo ad oggi in grado di immaginarne compiutamente gli sviluppi, ma è presumibile che questo aspetto verrà preso (o meglio, continui ad essere preso) molto sul serio da parte del legislatore nazionale ed europeo – tant’è vero che da più parti[6] si auspica già un Regolamento MiCA 2 nonostante il provvedimento già adottato sia pienamente in vigore dal 30 dicembre 2024[7].

Controlli fiscali sulle criptovalute in Italia

Un tema più specifico riguarda la tracciabilità delle criptovalute ai soli fini fiscali, ovverosia, in sostanza, la possibilità di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria in merito alla corretta dichiarazione e tassazione degli investimenti in criptovalute. Molto spesso i cripto-investitori si chiedono se ci sia una effettiva probabilità di essere controllati dalla Guardia di Finanza o dall’Agenzia delle Entrate in relazione ai propri criptoasset.

Al riguardo valgono in prima battuta le medesime considerazioni svolte in precedenza in ambito penale dai procuratori Viola e Fusco. Nondimeno, le comunicazioni dagli operatori italiani all’OAM rendono possibile per l’Amministrazione finanziaria, in via di principio, poter “incrociare” i dati risultanti dalle comunicazioni all’OAM con la dichiarazione dei redditi del contribuente, per rilevare eventuali irregolarità.

Standard internazionali per la trasparenza fiscale crypto

Inoltre, a livello internazionale – stante la spiccata “transnazionalità” del mondo crypto – ci si è attivati da tempo per avere nel prossimo futuro uno scambio di informazioni tra le amministrazioni finanziarie dei vari Stati in relazione (anche) alle cripto-attività.

A livello europeo, è stata infatti adottata la Direttiva 2023/2226 (Direttiva “Dac 8”), che introduce uno standard per lo scambio automatico di informazioni relative alle transazioni crypto, che entrerà in vigore nel 2026. A livello mondiale, invece, l’OCSE ha sviluppato il Crypto-Asset Reporting Framework (Carf), approvato nel 2022, che si prefigge di garantire lo stesso livello di trasparenza previsto per le attività finanziarie “tradizionali” per effetto del Common Reporting Standard (CRS).

In sostanza, quindi, una verifica da parte dell’Amministrazione finanziaria sulle cripto-attività detenute dal contribuente è possibile, in special modo se il contribuente si interfaccia (o si è interfacciato) con exchange e piattaforme tenute ad effettuare il KYC e la comunicazione dei dati alle autorità.

DeFI e servizi peer-to-peer: illusione di anonimato

Questo significa che chi utilizza esclusivamente la DeFi, i servizi peer-to-peer (che consentono gli scambi tra privati e quindi l’acquisto delle criptovalute con valuta fiat al di fuori degli exchange), oppure altri servizi come, ad esempio, i c.d. Bancomat Bitcoin (sportelli automatici che consentono l’acquisto di criptovalute in contanti) non è passibile di controllo?

In realtà ciò non sembra essere corretto, anche perché occorre considerare che, se è pur vero che questi casi possono in via generale essere più complessi da accertare per l’Amministrazione finanziaria, è altrettanto vero che nessuno sa come potrà evolvere la tecnologia – e con essa gli strumenti utilizzati nei controlli tributari – nel prossimo futuro.

Questo lo dimostra bene, nel caso sopra rappresentato, la stessa attività svolta dalla Guardia di Finanza, che, come scritto dagli organi di stampa, avvalendosi dei più moderni software di blockchain analysis ha individuato una serie di portafogli di criptovaluta particolarmente capienti ed è riuscita ad attribuirli in maniera certa al trader faentino, all’esito di una sofisticata attività di analisi[8].

Documentazione dei costi di acquisto: un aspetto critico

Non è nemmeno da trascurare il fatto che alcuni servizi di compravendita di criptovalute peer-to-peer potrebbero anche comportare qualche problema in termini di dimostrazione del costo di acquisto da parte del contribuente, tema particolarmente “sensibile” perché, ai sensi dell’articolo 68 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, ai fini del calcolo delle plusvalenze e delle minusvalenze su criptoasset il costo o valore di acquisto è documentato con elementi certi e precisi a cura del contribuente, e in mancanza di tali elementi il costo è ritenuto pari a zero.

Rischi dell’evasione fiscale nel mondo crypto

Insomma, se un cripto-investitore ritiene di usufruire di questi servizi per diminuire la possibilità di controlli fiscali potrebbe in futuro ritrovarsi, oltre il danno, anche la beffa: da un lato non ottenere il risultato che si è prefissato ed essere comunque passibile di controllo con probabilità sostanzialmente analoghe a quelle dei cripto-investitori che hanno utilizzato piattaforme più “classiche” e centralizzate (questo, tuttavia, solo l’evoluzione tecnologica e operativa potrà dirlo), e dall’altro lato rischiare una maggiore tassazione per non essere in grado di dimostrare il costo di acquisto delle proprie cripto-attività.

Note


[1] GDF, individuato trader con oltre 270 milioni di euro di crypto. Sequestro da 11 milioni, La Repubblica, 28 febbraio 2025

[2] Ibidem.

[3] A. Migliorati, Criptovalute, la tracciabilità è teorica – Fusco: la normativa non funziona, Il Sole 24 Ore, 21 settembre 2024

[4] https://thecryptogateway.it/okx-stop-alle-privacy-coin/

[5] : Europol (2024), First Report on Encryption by the EU Innovation Hub for Internal Security,

Publications Office of the European Union, Luxembourg

[6] A. Migliorati, op. cit., Il Sole 24 Ore, 21 settembre 2024

[7] Il Regolamento MiCA si applica infatti in via generale dal 30 dicembre 2024 mentre le disposizioni sugli stablecoin e quelle sui token di moneta elettronica si applicano dal 30 giugno 2024. Altre disposizioni si applicano invece già dal 29 giugno 2023.Si veda P. Barbanti Silva, Regolamento Mica: le date chiave da segnare, Agenda Digitale, 18 giugno 2024 (https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/regolamento-mica-date-cruciali-e-futuri-adempimenti/#:~:text=A%20tal%20proposito%2C%20il%20Mica,ossia%20il%2029%20giugno%202023.)

[8] GDF, individuato trader con oltre 270 milioni di euro di crypto. Sequestro da 11 milioni, La Repubblica, 28 febbraio 2025

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