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Criptovalute, i regolatori pronti al cambio passo: le mosse di Italia, Usa, Regno Unito

Anche alla luce delle nuove evoluzioni del settore – Decentralized Finance, NFT, piattaforme di trading, servizi custodian, e prodotti derivati – l’approccio dei regolatori verso le criptovalute sembra essere cambiato, con maggiore accento sulla necessità di una legislazione ad hoc. Gli scenari

Pubblicato il 17 Set 2021

Massimiliano Nicotra

avvocato Senior Partner Qubit Law Firm

criptovalute - stablecoin

Il settore delle criptovalute sta affrontando un momento molto particolare.

Da una parte il rialzo del valore dei principali token (bitcoin di oltre il 20% ed Ethereum di circa il 40%), derivante probabilmente da alcune recenti notizie: il riconoscimento di bitcoin come valuta legale da parte di El Salvador, il supporto agli NFT da parte di Facebook, il ritorno dei miners dopo il bando della Cina, i tweet dell’istrionico Elon Musk.

Dall’altra parte stiamo invece assistendo ad una sempre maggiore attenzione dei regolatori al fenomeno, con un “cambio di passo” rispetto ai precedenti interventi. Nel 2017, periodo delle Initial Coin Offering, infatti, molte autorità di controllo dei mercati erano intervenute muovendosi nei confini delle legislazioni vigenti (in particolare quelle relative al settore finanziario, come la Securities Law statunitense, per la SEC, o le varie direttive MIFID II/MIFIR, il Regolamento PRIIPs, per le corrispondenti autorità europee), ritenendo sufficienti le disposizioni già in essere e promuovendo, come ha fatto la Consob italiana, delle proposte di regolazione “leggera” sul modello delle sandbox normative.

Sandbox FinTech al via: come funziona e chi può presentare domanda

Recentemente, però, questo approccio sembra essere cambiato, soprattutto nel mondo anglosassone, ed anche in considerazione delle nuove evoluzioni del settore – Decentralized Finance, NFT, piattaforme di trading, servizi custodian, e prodotti derivati su criptovalute – si sta ponendo maggiormente l’accento sulla necessità di una legislazione ad hoc.

Stati Uniti: il discorso di Gary Gensler

Il 3 agosto scorso il capo della SEC, Gary Gensler, ha tenuto un significativo discorso all’Aspen Security Forum.

Il chairman della commissione di controllo dei mercati statunitense, oltre ad aver lavorato per Goldman Sachs ed essere stato assistente del Segretario del Tesoro, ha insegnato alla MIT Sloan School of Management, con un corso proprio su tecnologia blockchain e criptovalute. Anche per questo motivo le sue parole hanno un particolare significato e vengono tenute in considerazione al Congresso, senza dimenticare che, come leader della SEC, ha la possibilità di dare una direzione alle azioni dell’autorità di controllo.

Nel suo discorso Gensler ha sottolineato il ruolo di tutela degli investitori svolto della commissione, a cui si affiancano quello di facilitare l’investimento in capitali e di mantenere l’ordine, efficienza e correttezza dei mercati. In tale contesto l’accento è stato posto sulla mancanza di un’adeguata tutela degli investitori nel settore delle criptovalute, che ha letteralmente paragonato al “Wild West”.

Proprio con l’obiettivo di maggior tutela degli investitori Gensler ha ricordato come la SEC sia intervenuta più volte (senza perdere una causa) per impedire l’offerta non autorizzata di token assimilabili a strumenti finanziari, ciò nell’ambito dei poteri assegnati alla stessa dalle attuali normative.

Ma la novità più rilevante del discorso di Gensler riguarda l’attenzione sulle piattaforme di scambio e trading delle criptovalute, anche in riferimento a quelle basate sul paradigma della DeFi (Decentralized Finance).

Dal 2017 ad oggi, infatti, il settore ha visto nascere nuovi attori e nuove modalità e servizi. In particolare, mentre negli anni precedenti l’attenzione dei regolatori (e del legislatore con riferimento alla disciplina antiriciclaggio) era maggiormente rivolta verso i cd. exchange ed i soggetti che emettevano token crittografici offrendoli al pubblico, oggi il fenomeno emergente della DeFi comincia a destare maggiori preoccupazioni, ponendo però, a parere di chi scrive, maggiori sfide di politica legislativa rispetto alle precedenti iniziative.

Cercando di semplificare un servizio DeFi si caratterizza per la messa a disposizione da parte di alcuni soggetti, di una piattaforma su cui chiunque può creare smart contract le cui finalità sono le più disparate: si va dal “cambio” automatico di criptovalute secondo tassi che fluttuano in base alla domanda/offerta ed al riferimento con le maggiori criptovalute scambiate sul mercato, al prestito di valuta, al deposito a medio/lungo termine (con percepimento di interessi).

Si tratta, evidentemente, come messo in evidenza dal chairman della SEC, di fattispecie che rientrano non solo nell’ambito del settore finanziario, ma coinvolgono aspetti di diritto bancario e di tutela dei consumatori.

Inoltre, sempre a detta di Gensler, in questi anni è anche aumentato il numero di cosiddette “stable coin” (per un valore attuale di 113 miliardi di dollari), ossia di criptovalute il cui valore è collegato a quello di una valuta legale al fine di calmierare la volatilità dei mercati, che vengono spesso utilizzate per il trading tra criptovalute (a luglio tre-quarti delle negoziazioni su tutte le piattaforme di trading coinvolgevano stablecoin).

Ulteriore punto di attenzione sottolineato nel discorso riguarda i servizi di custodia delle criptovalute (che spesso coinvolgono anche servizi di consulenza finanziaria).

A conclusione del suo intervento il chairman ha precisato che mentre sono chiare le regole per stabilire quando una criptovaluta può essere considerata strumento finanziario e la relativa disciplina applicabile, vi sono delle lacune normative con riferimento alle attività di piattaforme di trading e DeFi, chiamando a raccolta i regolatori per fissare delle disposizioni chiare in tali ambiti, che sono oggi disciplinati dall’incontro di una serie di norme con ampi margini di interpretazione.

UK: le mosse della FCA e il regolamento MiCA

Parallelamente in Gran Bretagna l’autorità di controllo (FCA) ha dato alcune avvisaglie ai servizi di criptovalute.

A ottobre 2020 la FCA aveva posto il divieto di vendere ad investitori retail strumenti ETP (exchange-traded product) basati su criptovalute, ponendo un’avvertenza nel provvedimento del seguente tenore: “Se i consumatori investono in questi tipi di prodotti, dovrebbero essere preparati a perdere tutti i loro soldi”.

Nel giugno 2021, con un altro avviso agli investitori, l’autorità inglese precisava che il ramo operativo del Regno Unito Binance Markets Limited “non è autorizzato a intraprendere alcuna attività regolamentata nel Regno Unito”, dichiarando quindi “fuorilegge” in Gran Bretagna una delle più grandi piattaforme di exchange del mondo (subito dopo il fallimento dell’iniziativa da parte di Binance di costituire una società controllata in UK).

In conseguenza di tale provvedimento le banche inglesi hanno impedito ai loro clienti di effettuare trasferimenti di denaro da e verso Binance, sostanzialmente impedendo anche l’effettuazione di prelievi dai conti in criptovaluta attestati sulla piattaforma.

E’ importante notare come la Financial Conduct Authority britannica abbia recentemente realizzato una serie di ricerche volte a comprendere maggiormente il profilo degli investitori e il livello di rischio percepito dagli stessi nell’acquisto ed utilizzo delle criptovalute.

Come emerge anche dai recenti avvertimenti emanati sui post Instagram di Kim Kardiashan West con cui veniva promossa una criptovaluta, sicuramente l’autorità britannica è una delle più dinamiche ed attente, promotrice al Comitato di Basilea di richieste anche importanti, come l’introduzione di un obbligo di accantonare un capitale necessario alla copertura del 100% delle perdite per le banche che decidano di detenere cryptovalute.

Gli interventi dell’autorità inglese devono essere interpretati con estrema attenzione, anche tenendo conto della Brexit e del fatto che l’Unione Europea ha promosso nel settembre 2020 il cd. Digital Finance Package, al cui interno è contenuta la proposta di regolamento MiCA (Markets in Crypto-Assets).

Com’è noto con tale provvedimento l’Unione intende promuovere un framework unitario in tutti i Paesi membri, consentendo ai soggetti che vengano autorizzati in uno Stato di poter svolgere l’attività anche negli altri senza dover ottenere nuove autorizzazioni.

E’ importante notare che il regolamento non prevede una disciplina per i security token, ossia quelli assimilabili agli strumenti finanziari, ma introduce delle norme dirette a regolare gli “utility token”, gli “asset-referenced token” (ossia quelli legati ad altri valori, come valuta legale, beni o criptovalute) e gli “e-money token” (ossia le stablecoin legate ad una valuta corrente).

Vengono inoltre definiti i “Crypto-asset Service Provider (CASP)” ossia quei soggetti che forniscono professionalmente servizi collegati alle criptovalute come la custodia e l’amministrazione, le piattaforme di trading, gli exchange (in qualsiasi forma), il collocamento, la consulenza.

L’esercizio di tali attività sarà sottoposto a specifici procedimenti autorizzativi, diversi a seconda della tipologia di token emessi e del servizio da svolgere, e verranno conferiti nuovi poteri di vigilanza alle Autorità di controllo nonché introdotte delle sanzioni volte a prevenire gli abusi di mercato.

Il provvedimento, al netto delle modifiche che eventualmente saranno necessarie all’esito delle consultazioni e dell’iter di approvazione, dovrebbe entrare in vigore nel 2024.

L’approccio europeo sembra proprio quello richiamato da Gensler nel suo discorso, in cui si interviene al fine di eliminare quelle “zone d’ombra” normativa in un’ottica di favorire lo sviluppo di nuovi servizi nel settore delle criptovalute dando contemporaneamente fiducia agli investitori, grazie ad una serie di controlli e certezze giuridiche.

La Gran Bretagna, dal canto suo, essendosi posta fuori dal consesso europeo probabilmente dovrà agire in fretta per colmare l’eventuale lacuna, rischiando altrimenti di perdere attrattività per gli operatori.

Italia: la partenza della sandbox normativa

Nel nostro Paese a partire da settembre 2021 verranno avviate le call per i soggetti che vogliono accedere alla nuova sandbox fintech, disciplinata con il decreto del Ministero delle finanze n. 100 del 30 aprile 2021, pubblicato nella G.U. del 2 luglio 2021.

Nel rinviare ad un nostro maggiore approfondimento sulle pagine di questa testata ci limitiamo ad osservare che il meccanismo della sandbox sembra quello più adatto per disciplinare attività che si fondano su nuove tecnologie. La sandbox, infatti, ha quale scopo quello di consentire agli imprenditori di collocare sul mercato nuovi servizi senza dover applicare per intero le regole dei mercati a cui essi appartengono (che nel settore FinTech sono molto stringenti), ma contemporaneamente consente alle Autorità di regolazione di avere maggior contezza dei limiti (e delle eventuali lacune) della normativa vigente (ed è per tale motivo che nel decreto del Ministero delle Finanze è prevista la possibilità per le Autorità di controllo di proporre all’apposito Comitato FinTech anche degli interventi normativi per adeguare la legislazione vigente ai nuovi fenomeni).

Il tutto salvaguardando gli interessi del pubblico, dato che le attività dei soggetti ammessi alla sandbox sono comunque svolte sotto la vigilanza delle Autorità di riferimento.

Sotto tale punto di vista l’approccio adottato dall’Italia (che non è certo il primo Paese ad introdurre tale meccanismo) è sicuramente più idoneo di quello richiesto da Gensler, in cui si sollecita unicamente l’introduzione di nuove regole per i nuovi fenomeni del settore delle criptovalute. La sandbox consente, infatti, quella flessibilità di regolazione che appare più idonea in un settore in continua evoluzione e mutamento ed in cui un’eccessiva rigidità normativa potrebbe porsi come ostacolo per la realizzazione di servizi innovativi che possano sfruttare pienamente le opportunità date da tali nuove tecnologie.

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