geopolitica

Crisi Usa-Iran: così i social hanno cambiato i rapporti tra Paesi

I social stanno causando una progressiva riduzione di razionalità nelle condotte politicamente rilevanti, in particolare sul piano dei rapporti internazionali. Lo spostamento del processo decisionale dal piano razionale a quello emotivo ha, ovviamente, delle conseguenze. Ecco quali

Pubblicato il 14 Gen 2020

Dario Antares Fumagalli

legale specializzato in privacy e data protection

trump

L’uso che certi particolari esponenti di altissimo livello della politica internazionale hanno fatto e fanno di social network quali Twitter o Facebook, rende certamente attuale una riflessione: ci si chiede in che modo la tecnologia e, nella specie, un canale comunicativo radicalmente differente da quelli in uso fino a poco tempo addietro, agisca sull’uomo modificandone i rapporti sociali, fino ad arrivare ad influenzarne l’attività politica anche a livello internazionale.

Il tema è di strettissima attualità.

Il ruolo dei social nelle recenti crisi internazionali

C’è chi nota, ad esempio, come Twitter abbia avuto un ruolo centrale nella gravissima crisi internazionale esplosa tra USA e Iran dopo l’uccisione, mediante raid rivendicato dal Presidente statunitense, del Generale Soleimani[1]. Infatti, sia Donald Trump che le Autorità iraniane hanno affidato a dei tweet le prime reazioni relative ai passaggi più critici dell’aspro confronto diplomatico seguito alla temeraria iniziativa di Washington. A pochissimo tempo dalla reazione della Repubblica islamica, infatti, consistente nel lancio di missili contro alcune basi americane in Iraq, il Ministro degli Esteri iraniano ha cinguettato “Iran took & concluded proportionate measures in self defense under Article 51 of UN Charter targeting base from wich cowardly armed attack against our citizens & senior officials were launched. We do not seek escalation or war, but will defend ourselves against any aggression”.

Trump, a stretto giro, ha cinguettato a sua volta “All is well! Missiles launched from Iran at two military bases located in Iraq. Assessment of casualities & damages taking place now. So far, so good! We have the most powerful and well equipped military anywhere in the world, by far! I will be making a statement tomorrow morning.”

Appare evidente come tali esternazioni fossero parte integrante della crisi in corso e non semplici commenti. Il primo, rivolto soprattutto alle diplomazie internazionali, suona come una breve apologia della reazione iraniana, mettendone in risalto la liceità in base al diritto internazionale. Il secondo, rivolto in primo luogo all’elettorato americano, suona piuttosto come un’esortazione all’entusiasmo e alla serenità: “All is well!”. Dimenticando che di buono c’è poco, di fronte alla morte di uno o più uomini e ad azioni che, in ogni caso, potrebbero condurre ad un’escalation militare regionale (se non globale).

Social e rapporti diplomatici e politici

Il punto, in relazione a questi episodi, è notare come l’introduzione di un (non più così) nuovo canale relazionale possa innestarsi nel substrato politico preesistente modificando i pattern consolidati, imponendo un’evoluzione degli schemi tattici o strategici già noti.

Nel caso di specie, una discontinuità di notevole impatto è costituita da ciò che potrebbe essere definito come “espulsione della razionalità” dai rapporti diplomatici e politici.

Senza lasciarsi sedurre dalla tentazione di declinare lo spunto in una direzione da bar sport, sacrosanta negli stessi bar sport in cui lo scambio è volto allo sfogo, ma meno lecita – pur se onnipresente – in pubblicazioni giornalistiche, divulgative e a volte persino scientifiche, è bene considerarlo seriamente.

L’ipotesi di partenza è che, a prescindere dal valore di chi ne fa uso, siano gli stessi mezzi di comunicazione disponibili oggi a causare la (per lo meno apparente per gli osservatori esterni) progressiva riduzione di razionalità nelle condotte politicamente rilevanti, ed in particolare – per ciò che interessa qui – quelle rilevanti sul piano dei rapporti internazionali.

L’ipotesi, va detto subito, non scaturisce dalla mera fantasia di chi scrive, ma affonda le sue radici nelle analisi molteplici ed approfondite pubblicate in questi anni relative all’attitudine del network digitale (smart devices sommati a social network, app ed altri luoghi “tipici” del contesto) a produrre effetti di tale genere sugli individui, talmente reali da essere sfruttati e potenziati dagli attori dell’ICT a fini commerciali con enormi profitti.

Per dirla in brevissimo, velocità dei messaggi veicolati, pervasività dei mezzi di comunicazione, specificità, targettizzazione dei messaggi veicolabili, semplicità d’azione (acquisti, post…) ed enorme (eccessivo) numero di opzioni di scelta hanno un effetto chiave sulla psicologia umana. Consentono lo spostamento del processo decisionale dal piano razionale a quello emotivo e degli automatismi, sfruttando meccanismi psicologici e biologici insiti nella nostra natura, rendendo le nostre scelte prevedibili e “innescabili”.

L’applicazione commerciale o, perché no, elettorale della descritta peculiarità della comunicazione via web è piuttosto intuitiva.

Detto ciò, non si intende qui discutere quest’ultimo fenomeno nelle sue applicazioni generali, ma rileva solo evidenziare come alla base di tutto questo (si legga R. Cialdini per un riferimento), vi siano la possibilità di istantaneità e sovrabbondanza di stimoli, aspetti che agiscono tanto sui destinatari quanto sui mittenti, se individui.

Così, anche il politico, avendo sempre a disposizione lo smartphone e potendo disporre di un profilo social, pur essendo parte apparentemente attiva è soggetto alle stesse influenze di chiunque altro e il suo processo decisionale si sposta dal piano razionale (qualunque fosse il livello di razionalità inziale, già variabile da soggetto a soggetto) a quello emotivo e istintivo.

Se, fino a qualche anno fa, un’alta carica istituzionale, per veicolare un contenuto ai destinatari (fossero essi elettori, appartenenti a una data categoria sociale o suoi corrispettivi di altre nazioni), doveva formulare una dichiarazione, redigerla, entrare in dialettica con consiglieri, assistenti ed esecutori, attendere i tempi tecnici per la pubblicazione o per il recapito della stessa (avendo, dunque, la possibilità di ritirarla), oggi in meno di un minuto, dal suo smartphone, in preda a una qualunque umanissima pulsione, può somministrarla all’intero globo terracqueo.

Conclusioni

Se questo sia un bene o un male non è argomento di questa analisi, poiché se a pelle può certamente sembrare poco auspicabile che vicende di enorme impatto per la comunità globale possano perdere il filtro della razionalità, dall’altro è un fatto storico che le lunghe e complesse metabolizzazioni strategiche sul da farsi non abbiano sempre prodotto i migliori risultati (l’invasione della Polonia nel 1939 non è stata certo decisa con un Tweet o, più di recente e con le dovute distinzioni, nemmeno l’ultima disastrosa guerra in Iraq).

Potremmo infatti pensare che, tutto sommato, nel profondo dell’animo di ogni essere umano alberghi un sordo terrore stimolato dalla sola evocazione dell’immagine del fungo atomico e che, dunque, l’irrazionalità e il dominio delle pulsioni (nel qual caso, il terrore) siano la garanzia migliore che non si possa mai arrivare a realizzare un tale scenario. Scenario che, per contro, un erroneo sviluppo di percorsi strategici “razionali” potrebbe invece considerare come plausibile per questo o quel motivo.

L’opinione di chi scrive è piuttosto solida nella direzione più scettica, ma ciò rileva quel tanto.

Ciò che conta è essere coscienti che gli strumenti tecnologici non sono neutrali, nel senso che più dovrebbe interessarci. Non esistono, infatti, tecnologie “buone” o “cattive”, tecnologie “di destra” o “di sinistra”, poiché esse sono solo strumenti nelle mani di soggetti che, per inciso, siamo noi. La nostra volontà, il nostro “progetto personale”, la nostra prospettiva nell’intendere il reale può essere dannosa o fertile, politicamente orientata in un senso o in un altro in base alla nostra sensibilità individuale o collettiva.

Tuttavia, esistono tecnologie che stimolano il nostro “sistema operativo” ad orientarsi verso alcuni output rispetto ad altri, contribuendo dunque a facilitare l’avveramento di alcuni scenari rispetto ad altri. Nel caso di specie, i meccanismi che animano la comunicazione via web sembrano determinanti nel consentire l’emersione della componente pulsionale degli individui, favorendo dunque la polarizzazione delle posizioni assunte e l’acriticità degli scambi relazionali. Ciò che accade nei commenti in una pagina Facebook dedicata a una dieta alimentare, si replica anche negli scambi tra alte cariche istituzionali, con conseguenze, a volte, nefaste.

Nessuno pensa di poter esonerare i protagonisti umani di queste vicende da ogni responsabilità, sia chiaro.

Tuttavia, è evidente ad ognuno di noi che l’occasione spesso determina l’azione e l’opportunità offerta dai social network di “sparare a caldo” con un’audience enorme, determina sicuramente un sensibile aumento di probabilità che soggetti più o meno sensati si abbandonino ad esternazioni dalle conseguenze imprevedibili, impreviste e drammatiche.

La tecnologia, dunque, è neutrale ma non neutra e la coscienza di ciò, unita ad un’analisi attenta e critica di tutto quanto scienza, tecnologia, politica ed arte producono, è certamente un fattore fondamentale nella ricerca della miglior via verso un mondo più attento al benessere di ogni individuo, oltre che del mondo stesso.

  1. Cfr. R. Luna, “”Grazie a Twitter evitata la terza guerra mondiale”, la Repubblica, 09/01/2020, (visitato in data 09/01/2020). Vedi al link https://www.repubblica.it/dossier/stazione-futuro-riccardo-luna/2020/01/09/news/grazie_a_twitter_evitata_la_terza_guerra_mondiale-245326324/

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