A molti sarà giunta la notizia del curioso bando per una posizione da stagista in un ufficio marketing aziendale della durata di un mese per un compenso di 500 euro: per partecipare al concorso il candidato, oltre ad acquistare una borsa Carpisa, doveva elaborare un piano “di comunicazione per una nuova linea di borse” aggiungendo «schemi, grafici e relazioni» che ritenesse opportuni (la pagina non è più consultabile).
La documentazione del bando era corredata anche dalle caratteristiche del prodotto da lanciare, del profilo del testimonial e sollecitava a tenere in considerazione i punti principali per la redazione di un piano di comunicazione professionale:
1 – Definizione dei punti di forza e il messaggio dei prodotti;
2 – Analisi del posizionamento del brand;
3 – Evidenza degli obiettivi del lancio;
4 – Definizione del target di riferimento;
5 – Definizione del budget;
6 – Dettaglio delle tattiche ed elenco delle azioni di comunicazione».
Non volendo addentrarmi in giudizi etici né sulla prevedibile bagarre seguita nei social, mi limito a comprendere se può esistere un perché che vada oltre alla singola notizia.
In passato sono stati rinvenuti casi analoghi, in cambio, però, di un posto di lavoro della durata di un anno: Il Fatto quotidiano riporta che “a Cagliari, nel 2009, con 30 euro di spesa alla Despar e in altri supermercati della catena si partecipava all’estrazione di un contratto di lavoro da addetto al banco frigo, cassiere, magazziniere. Così a Varese. Un salumificio di Piacenza si impegnava ad assumere il vincitore della tombola”.
Come studioso di scienze sociali, non ritengo che comportamenti di grandi organizzazioni con esperienza sul mercato siano il capriccio di qualcuno che abbia preso una tegola in testa, bensì possano essere espressione – anche per modalità operative decisionali, di ascolto, brain storming, lavoro in team – di un mood se non di una tendenza più estesa: interessante è provare a capire se vi possano essere ragioni o influenze all’interno di culture e pratiche più diffuse nella società.
Non posso non tenere in considerazione la tendenza che da diversi anni si è intrapresa attraverso la pratica del crowdsourcing: l’apertura, la collaborazione orizzontale, la condivisione e l’azione globale sono wiki principi del web e premesse per un’economia collaborativa, sfruttata da aziende sotto il paradigma della co-creazione di valore (Ragone, Santucci, 2010)*.
All’interno di questo paradigma rientrano ad esempio modalità di peer production come quella di Linux o Wikipedia.
Il crowdsourcing è stato identificato in tre forme:
- R&D
- Cottimo
- Immersivo
Nella R&D l’impresa commissionaria manda le sue richieste a un provider che le pubblica, la folla (crowd) risponde e riceve denaro dall’impresa ed il provider riceve una percentuale da committente ed esecutore.
I vantaggi promessi del Crowdsourcing R&D sono: la possibilità di fare incontrare imprese e gente comune per la realizzazione di idee, sfruttare un livello globale di competenze e abilità, la gestione in tempo reale del processo di realizzazione progetto.
Una delle più famose piattaforme R&D è InnoCentive, fondata nel 2001, che attualmente vanta una rete di 380.000 solver.
Ancora oggi, attraverso questo servizio, si cercano soluzioni per questioni legate ai più svariati ambiti e argomenti, dall’ingegneria all’agricoltura, con premi che per la maggior parte variano dai 10 ai 30 mila dollari, ma che possono arrivare fino al milione di dollari (per scoprire dei marcatori predittivi dell’epilessia). Queste le categorie: Business e imprese; Chimica; Computer/informatica e tecnologia; Cibo/agricoltura; Vita/Scienze; Matematica/Statistica; Fisica; Richieste di partner e fornitori; Innovazioni sociali.
Un’altra piattaforma è quella legata a Procter & Gamble. P&G già nel 2010 contava 9.000 ricercatori interni e un milione e mezzo di thinker esterni; il cinquanta per cento delle innovazioni nascevano fuori dall’azienda, con un contributo del 60% sulla produttività del settore R&D e 35% di prodotti con componenti inventati esternamente.
Attualmente nella piattaforma vengono illustrate quali sono le necessità di innovazione, senza fare riferimenti a costi: è un punto di incontro tra necessità e proposte di innovazione, un mercato della domanda-offerta sulla base dei molteplici bisogni di P&G.
In queste due tipologie di crowdsourcing, si cerca l’eccellenza nel mondo e vince la soluzione migliore: i premi, in diversi casi, sono molto interessanti.
Lì dove invece la richiesta è per compiti facili, ripetitivi, che non richiedono innovazione, creatività unita a specifiche competenze, potendo disporre di un mercato globale, i compensi tendono di molto verso il basso. È il caso, ad esempio, della piattaforma AmazonMechanicalTurk che prende il nome dal turco meccanico, il falso automa giocatore di scacchi, creato nel 1769, con una persona reale nascosta al suo interno.
Sottolineo che questa piattaforma è uno strumento finalizzato a far incontrare domanda e offerta in tutto il mondo, per cui non è responsabile del livello dei compensi. Se già nel 2010 si registrava una caduta del costo di una prestazione da 2000 dollari a 5 dollari, quello che osserviamo ora è uno scenario di premi tendenti a zero
Facciamo alcuni esempi, partendo dai compensi più alti: per la trascrizione di un video di 2 ore, 31 minuti e 25 secondi, compito della durata prevista di 22 ore e 42 minuti, il premio è di 88,58 dollari, circa 4 dollari l’ora; per una trascrizione di un audio di un’ora, 49 minuti e 45 secondi, compito della durata prevista di 16 ore e 27 minuti, premio di 74,08 dollari, circa quattro dollari e mezzo all’ora. Vi sono inoltre: richieste di partecipazione ad un esperimento della Boston University sullo stress, l’ansietà e l’umore, della durata complessiva di 90 minuti circa, che impegnerebbe per cinque giorni, 15 dollari il compenso; richieste di partecipazione a test di usabilità, producendo un video con audio di come si utilizza il web, tempo previsto 2 ore 43 minuti per 10 dollari.
Scendendo ulteriormente, troviamo richieste di trascrizioni di video e audio per meno di un dollaro l’ora. Ai livelli più bassi si trovano anche richieste dell’impegno di un’ora circa a compenso 0, che ricercano informazioni demografiche o opinioni su servizi o prodotti. Esistono anche richieste di individuare gli elementi mancanti in una lista con un compenso di 0,01 dollari per un’ora e mezza di lavoro prevista. Verificare l’accento di un audio in inglese (8 minuti e 40 secondi di lavoro) viene ripagato con 0,02 dollari. Trovare l’indirizzo mail del responsabile di un sito viene pagato 0,05 dollari per 5 minuti di lavoro. Scrivere un Haiku su un articolo, tempo previsto un’ora, vale 0,01 dollari. Ovviamente il ribasso dei premi risponde ad un’offerta mondiale di prestazioni, competitiva con aree dove pochi cent permettono la sopravvivenza.
Infine, nella categoria del crowdsourcing, c’è quello immersivo: pescare dalla rete idee e contenuti. Questo può avvenire in forma etica, pagando l’idea o contrattualizzando l’ideatore. Vi sono stati alcuni casi, invece, nei quali un’azienda ha utilizzato l’idea senza nulla rendere al creativo, scatenando così l’indignazione del popolo del web. La reazione ha portato l’azienda a formalizzare successivamente la collaborazione. Ciò che passa in rete ha il vantaggio di avere la metrica dell’apprezzamento, che sono i like e le condivisioni: molti giovani creativi utilizzano questo strumento come lancio, e arriviamo così – ma ovviamente da sviluppare in altri articoli – al tema del successo di fashion blogger, youtuber, musicisti, videomaker e cartonisti.
In un’ottica globale della domanda-offerta, oggi perfettamente integrata con il web, lavori creativi e intellettuali, che possono essere svolti su scala mondiale, risentono purtroppo della competizione internazionale al ribasso degli stipendi, come per il crowdsourcing a cottimo. In questo panorama un’impresa può sperare di: promuovere acquisto di prodotti attraverso canali condivisi da persone in cerca di occupazione, ricevere numerosi piani di comunicazione gratis, in cambio di un solo stage di un mese (presumibilmente ampiamente ripagato dai prodotti così venduti) nel quale effettivamente mettere alla prova una persona (che se di valore, a prezzo di mercato potrà valutare di non perdere). In un mercato del lavoro con sempre meno regole e tutele verso il lavoratore, purtroppo, l’azienda così agisce razionalmente per sopravvivere e magari prosperare in un’arena competitiva dove altri concorrenti possono fare lo stesso.
L’aspetto preoccupante è l’assenza di regole che ha permesso questo, ma soprattutto, da sociologo, mi chiedo quante siano le persone che hanno risposto a questo bando, con quali vissuti, sogni, aspirazioni, e che vita potranno avere in futuro. L’aspetto confortante è che il popolo del web e i media riverberano in questi casi così grande disappunto, da spingere l’azienda, portata alla luce dei riflettori dell’opinione pubblica, a manifestare intenzioni e azioni in senso contrario.
* Per lo storico sul crowdsourcing mi rifaccio a questo testo, che seppur datato, ha delineato una prospettiva valida purtroppo ancora: Web 2.0, User Generated Content e industria culturale: popular e/o profitable? in Sociologia 2.0, a cura di Monaci B. Scifo B).