Quando si analizza la “cultura digitale” (si tratta di conoscenze sulla condizione umana e di tutti i domini che interessano l’individuo e la comunità in stretta connessione con la vita della polis) oggi non è possibile evitare di rappresentare la dimensione extragenetica, artificiale dell’esistenza umana, più propriamente antropologica, riferendosi al termine “tecnologia”, parola composta che deriva dal lemma greco τεχνολογία (tékhno-loghìa), letteralmente “discorso (o ragionamento) sull’arte”, dove con arte si intendeva sino al secolo XVIII il saper fare, cioè quello che oggi si indica con il termine tecnica.
La società industriale nei secoli precedenti ha posto le basi allo sviluppo delle reti di telecomunicazione, alla nascita dei circuiti integrati e dei microprocessori, allo sviluppo dei protocolli di comunicazione digitale e, infine, all’avvento della rete telematica policentrica (come infrastruttura di telecomunicazioni) e del Web (come ragnatela di contenuti digitali legati tra loro attraverso collegamenti ipertestuali).
La network society
Oggi la “cultura digitale” allude alla network society come forma dominante di organizzazione socio-economica delle risorse umane, in senso lato, la principale delle quali è costituita dalle conoscenze disponibili e condivisibili, dai “contenuti” messi a disposizione che permettono nell’epoca contemporanea una “cittadinanza” di tipo nuovo.
Tuttavia, immanentemente inclusivo ed emancipatore, quello “digitale” si rivela in progress un ambiente culturale che affida saperi tecnico-specialistici a ristretti gruppi di persone che ne curano la configurazione funzionale, le effettive operatività, i codici comunicativi, la ricerca tecnologica e lo sviluppo dei dispositivi – oltreché la selezione dei “contenuti” – mentre è popolato da miliardi di “fruitori”, spesso solo alfabetizzati tecnico-scientificamente (il numero degli utenti connessi ad Internet nel mondo si stima abbia superato la soglia dei 4 miliardi di persone: un dato storico riferito alla metà della popolazione mondiale stabilmente online; fonte: Report Global Digital 2018).
C’è da chiedersi come poter verificare l’attendibilità, la veridicità, l’appropriatezza semantico-lessicale di una comunicazione sociale mediata da strumenti multimediali atti a diffondere le conoscenze consentendo a tutti l’interattività. Non sempre, infatti, a livello di massa l’algoritmo alla base della mutazione antropologica in corso di realizzazione genera contestualmente la consapevolezza piena di quanto si apprende, si rielabora e si replica con evidenti ripercussioni sui piani formativo e comportamentale. Le “agenzie educative” che pur si predispongono alla ristrutturazione organizzativo-didattica delle peculiari attività d’istruzione recependo l’innovazione tecnico-strumentale nella pianificazione e programmazione curricolare ed extra-curricolare, non hanno autonomia e competenze adeguate per controllare e trattare criticamente le informazioni a disposizione.
Diffusione e riproduzione acritica dei contenuti
Dal punto di vista tipicamente comunicativo, il recente sviluppo dei social media favorisce la diffusione e la riproduzione acritica in tempo reale dei “contenuti” e della creatività umana. I “contenuti” online diffusi dagli utenti sono collegati attraverso ipertesti e piattaforme che ne favoriscono e incentivano la produzione, la diffusione, la fruizione e la modifica da parte degli altri utenti del network, generando la produzione continua di una coda lunga di user generated contents, ciascuno dei quali dispone di una propria audience teoricamente ampliabile in modo indefinito. La flessibilità di questo sistema mediatico facilita l’assorbimento delle espressioni, convinzioni, notizie più disparate e la personalizzazione massificata nella distribuzione dei messaggi. Si viene così a costituire una virtualità reale fatta di “contenuti” generati e fruiti online, ma che riguardano sempre di più la mentalità di ciascuno (identità) e l’organizzazione stessa della vita quotidiana (“degerarchizzazione” delle esigenze umane), influenzandola in modo tangibile e reale.
Ovviamente, non tutto il pianeta è assoggettato al nuovo paradigma della network society, in quanto le infrastrutture di telecomunicazione digitale non si sono ancora estese a tutto il globo. Esistono ancora oggi regioni del pianeta nella quali sussiste un forte problema di divide: esso consiste nell’impossibilità di accesso a Internet per la fruizione e la produzione di informazioni e contenuti digitali.
Insegnamento e comunicazione digitale
La situazione attuale rispetto alla accessibilità e utilizzo delle informazioni in “rete” è problematica. Offrire risorse, applicazioni, guide, video tutorial, contenuti, relativi alle tecnologie educative digitali a supporto dell’insegnamento e dell’apprendimento è una via diffusamente frequentata. Consiste, in realtà, in una procedura di curation finalizzata a raccogliere e organizzare conoscenze, strumenti, metodologie che rappresentano importanti canali tramite i quali si può cercare di integrare nella attività di insegnamento e apprendimento gli strumenti della comunicazione digitale, ma sempre più delegati a soggettività esterne al mondo istituzionale della formazione. S’assiste alla proposizione di un rapporto molto stretto tra la cura dei contenuti e l’apprendere che vede terzietà aziendali in campo. Le prassi dilaganti evidenziano che i “formatori” non siano più gli insegnanti in grado di curare i contenuti per l’apprendimento, mentre una gran parte dell’attività didattica verte tutt’ora sulla cura dei contenuti inter-transisciplinari.
Soffermarsi su questo aspetto – la quaestio è: chi provvede ai “contenuti” curation e apprendimenti – induce a definire con rigore i confini dell’operare conoscitivo pubblico, una sorta di learning curation; va affermato, in altri termini, che la “cultura digitale” si sostanzia come:
- conoscenza volta alla ricombinazione e reinterpretazione da e di elementi preesistenti
- conoscenza che si sviluppa oggi prevalentemente “mediata” dal web
- la cura dei contenuti, uno dei più interessanti approcci per promuovere la formazione e dare forma all’intelligenza collettiva sul web.
Già Karol Bower fornisce una definizione della cura dei contenuti come quell’attività consistente:
- nel trovare i contenuti (agisci come uno storico),
- filtrarli (sii curioso) con uno sguardo allargato e multiprospettico
- valutare la loro adeguatezza e significatività in relazione a un obiettivo
- sintetizzare i contenuti in modo da garantirne la comprensibilità e offrire un percorso
- contestualizzare: solo entro un contesto un’informazione diviene significative e utilizzabile
- segnalare e condividere: secondo la filosofia della cooperazione cognitiva per la quale la condizione della crescita di ciascuno è la crescita di tutti e viceversa.
Un curatore deve offrire percorsi, risorse e conoscenze fornendo agli altri una guida nell’ambito in cui è esperto.
Il Digital News Report 2018
Da questo punto di vista, il Digital News Report, rappresenta una significativa indagine a livello mondiale sul consumo di notizie digitali che pone all’ordine del giorno una riflessione su patrimonio culturale collettivo condivisibile, modalità di trattamento dell’informazione mediante processi automatizzati (Informatica) e integrazione tra la trasmissione dei dati per mezzo di reti di telecomunicazione, come quelle telefonica o satellitare, e la loro elaborazione tramite computer (telematica) attraverso le quali svilupparlo da una generazione all’altra. Nell’edizione del 2018, il Digital News Report evidenzia come solo il 23% degli utenti si fida delle notizie sui social, rispetto al 44% della fiducia nelle notizie in genere (Fonte: https://agency.reuters.com – Rielaborazione dei dati: Associazione italiana della comunicazione pubblica e istituzionale, 11 luglio 2018).