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Bullismo digitale: non è che stiamo esagerando un po’?

Dati sul fenomeno non corretti rischiano di far sopravvalutare il fenomeno e enfatizzarlo. Il cyberbullismo non è un fenomeno separato dal bullismo, che dovrebbe essere il vero oggetto delle misure.
La rubrica dell’esperta di formazione digitale

Pubblicato il 28 Mar 2014

Ha fatto gran rumore un rapporto di Save The Children di qualche giorno fa che annunciava che la maggioranza dei ragazzi e ragazzini vedono il cyberbullismo come la cosa che più li spaventa a scuola. Ha fatto gran rumore la notizia, anche perché il sospetto è che si sia fatto in modo che lo creasse. In realtà, se si va a vedere cosa diceva il rapporto, si scopre che non è il “cyberbullismo” a spaventare gli studenti, ma il bullismo in generale.Che differenza c’é, diranno i meno esperti? Enorme.

Non è solo una questione di termini, ma di sostanza. Che i ragazzini a scuola dichiarino in una indagine di essere preoccupati dal bullismo più che dalla diffusione delle droghe o dell’alcol è comprensibile. Sono ragazzini, alcuni ancora frequentanti le medie. Per gran parte di loro “droga” e “alcol” sono concetti vaghi, non legati all’esperienza diretta e personale, quindi è difficile che li associno ad un pericolo. Non sono in grado di valutarli appieno, in pratica.

Mentre fin dalle elementari hanno assistito a scene in cui il bulletto della classe o della scuola minacciava di pestare qualcuno per qualche presunto sgarbo. Se voi foste ragazzini giudichereste più pauroso un concetto astratto come “droga” o “alcol” o qualcosa di cui avete già avuto esperienza? La seconda, di sicuro. Diverso sarebbe invece se dei ragazzini dicessero e confessassero di aver paura in massa del cyberbullismo, perché questo farebbe immaginare che loro hanno già avuto esperienza diretta di questo in rete. Ma è così? No. I casi attestati di cyberbullismo in Italia sono per ora molto limitati, se non altro perché nel nostro paese la diffusione di internet è ancora abbastanza bassa. Questo non vuol dire che non si debba fare la massima attenzione a quello che avviene in rete fra adolescenti e preadolescenti, ma vuol anche dire che non bisogna esagerare il problema, perché si rischia altrimenti di alimentarlo.

E’ un po’ come quando qualcuno ti dice: “Non pensare all’elefante rosa!” E tu, che ad un elefante rosa non hai mai pensato, improvvisamente non riesci ad immaginare altro. Il panico, in questi casi, infatti, può spingere genitori ed insegnati a sopravvalutare la portata di alcuni fenomeni, con il risultato di dare loro troppo risalto e finire col far percepire ai ragazzini una immagine distorta della rete. Se io a scuola faccio lezioni in cui dipingo internet come “il male”, un posto frequentato da pedofili e bulli di ogni genere, rischio due tipi di ricadute: che i ragazzini più timidi saranno così spaventati da non riuscire più ad usare la rete con fiducia, e che invece gli altri, quelli che non sono cattivi, ma hanno una certa curiosità per la trasgressione, immagineranno che la rete sia già zeppa di persone che “fanno il male”, per cui sia normale, sulla rete, farlo.

Cadranno insomma alcuni loro freni inibitori, perché saranno convinti di trovarsi in un ambiente già “cattivo” di per sé. Il cyberbullismo non è un fenomeno separato dal bullismo: chi è bullo su internet di solito lo è anche nella realtà, o anche nella realtà è un fiancheggiatore silenzioso di atti di bullismo, perché il bullismo vive della logica del branco. Per cui invece di improntare lezioni ed interventi contro il cyberbullismo come fenomeno specifico è molto meglio fare lezioni e progetti che parlino e prevengano il bullismo in generale. Ai ragazzi va insegnato il rispetto verso il prossimo, che sia esso un individuo in carne ed ossa che divide con noi il cortile o il banco, o un amico che divide con noi uno spazio virtuale come Facebook e altri social. E va spiegato che internet non è un mondo a parte, ma è sempre lo stesso mondo in cui viviamo, per cui non esistono regole diverse e le trasgressioni sono trasgressioni anche lì, e anche lì rischiano di avere conseguenze gravi, sulla vita propria e quella degli altri. Non è la rete che ci mette in pericolo o ci rende cattivi, siamo noi che decidiamo di comportarci in un certo modo nella realtà e questo ha inevitabilmente delle conseguenze. Saperle prevedere e gestire è quello che dobbiamo insegnare ai nostri figli, sia sulla rete che fuori.

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