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Da Sun Tzu all’intelligenza artificiale: come cambia la guerra con gli algoritmi al potere

I conflitti tradizionali vengono sempre più sostituiti da un nuovo modo di fare guerra, come è stato ben raccontato da Mark Galeotti e Kenneth Payne nei loro rispettivi libri. Vediamone i punti salienti

Pubblicato il 14 Mar 2022

Marco Santarelli

Chairman of the Research Committee IC2 Lab - Intelligence and Complexity Adjunct Professor Security by Design Expert in Network Analysis and Intelligence Chair Critical Infrastructures Conference

ransomware

I costi elevati, l’impopolarità in casa, le difficoltà di gestione del conflitto tradizionale, quello, per capirci, combattuto con armi come fucili, bombe e droni, stanno portando le nazioni a un’innovazione nella costruzione del conflitto. Se la Russia conduce una guerra ibrida in Ucraina, gli Stati Uniti minacciano l’Iran con sanzioni e la Cina spende miliardi per comprare influenza politica all’estero. I nuovi conflitti sono, quindi, di un livello più basso, quasi inosservati, non dichiarati e anche permanenti, senza una fine.

Tecnologie e inganno in ambito militare: l’arte della guerra del XXI secolo

La “militarizzazione” del tutto

Mark Galeotti, professore onorario all’UCL SSEES e senior associate fellow al Royal United Services Institute, esperto di crimine transnazionale e di questioni di sicurezza russa, nel suo ultimo libro intitolato “The Weaponisation of Everything”, a Intelligence Squared parla proprio dei nuovi conflitti che vengono combattuti oggi, quelli che sfruttano ogni mezzo possibile: la disinformazione, lo spionaggio, il crimine e la sovversione. Si tratta di una guerra ibrida, come la chiama lui stesso, “una guerra della zona grigia”, senza restrizioni, una nuova realtà fatta di instabilità all’interno dei paesi e di crisi di legittimità in tutto il mondo, che può offrire anche delle opportunità, se si riesce a adattarcisi e sopravvivere.

Una guerra “sottosoglia”

Thomas Edison, un secolo fa, lo aveva predetto: “Un giorno nascerà dal cervello della scienza una macchina o una forza così spaventosa nelle sue potenzialità, così assolutamente terrificante, che persino l’uomo… ne sarà sconvolto, e così abbandonerà la guerra per sempre”. Per ora, la guerra non è stata abbandonata, ma sta subendo nel tempo una trasformazione. Oggi le armi privilegiate sono rappresentate dall’intelligenza artificiale e da macchine distruttrici completamente autonome. La Cina, ad esempio, ha intrapreso una corsa agli armamenti per sviluppare armi controllate dall’AI e gli Stati Uniti e i suoi alleati sono pronti per contrastarli.

La guerra ibrida, sottosoglia o zona grigia di cui parla Galeotti in “The Weaponisation of Everything”, si combatte in una terra di nessuno tra le relazioni pacifiche e il combattimento formale. La guerra, infatti, si è trasferita nei meandri più oscuri del cyber e usa come armi la disinformazione, il crimine organizzato, la cibernetica e gli strumenti di “lawfare” per logorare i loro obiettivi in modo sottile e insidioso. In questa “democratizzazione della guerra”, governi, gruppi terroristici o anche aziende assoldano per i loro fini società di sicurezza private o hacker a noleggio per aprire il fuoco senza dichiarare guerra formalmente.

Galeotti ritiene che ci sia una connessione tra il conflitto della zona grigia e la globalizzazione e che “Una volta era ortodossia che l’interdipendenza fermasse le guerre” […] “In un certo senso, è così, ma le pressioni che hanno portato alle guerre non sono mai scomparse, così invece l’interdipendenza è diventata il nuovo campo di battaglia”.

Oggi la presenza dei social media e l’alta tecnologia delle armi hanno portato a un’amplificazione di tutto, ma ricordiamo che il concetto di guerra “sottosoglia” era già stato ben espresso dal filosofo generale cinese Sun Tzu nell’Arte della Guerra ormai 2.500 anni fa: “l’arte suprema della guerra è sottomettere il nemico senza combattere”.

Gli esempi che porta Galeotti di questo nuovo tipo di guerra celano una visione di questo conflitto quasi ottimistica. Dalla notizia diffusa dagli info-guerrieri cinesi sul fatto che il Covid-19 fosse un’arma biologica statunitense, ripresa dai teorici della cospirazione di tutto il mondo, ai messaggi di testo inviati agli ucraini, apparentemente da soldati colleghi, che stavano combattendo nel 2016 nella regione del Donbass contro le truppe russe con su scritto “nessuno ha bisogno che i vostri figli diventino orfani”, per convincerli a ritirarsi. Questi ultimi, in realtà, sono stati inviati dal sistema di guerra elettronica Leer-3 di Mosca basato su droni, capace di dirottare fino a 2.000 connessioni mobili contemporaneamente. Dice, infatti, Galeotti che preferirebbe “certamente essere preso di mira da meme sconcertanti che da missili nucleari”.

La visione di Kenneth Payne

Altro testo che affronta il tema delle nuove guerre, in maniera “meno ottimista”, è “I, Warbot” di Kenneth Payne, accademico del Kings College, che esamina i benefici, i pericoli e i limiti di un conflitto artificialmente intelligente.

Secondo Payne, gli algoritmi hanno già dimostrato il loro dominio sugli umani in sofisticati giochi psicologici come gli scacchi e il poker. Secondo Payne, i robot da guerra saranno assassini estremamente efficienti, “accurati e implacabili”. Armi letali completamente autonome, capaci di selezionare i propri obiettivi e sparare. Tuttavia, queste armi presentano dei limiti: se da una parte sono brillanti dal punto di vista tattico, presentano debolezza per la mancanza di fattore umano, quindi fattore decisionale, come e quando combattere, mettere in dubbio gli obiettivi finali del nemico. Come scrive Payne, “La sfida cognitiva della guerra è molto più complessa della sfida cognitiva della battaglia”.

Conclusioni

Galeotti e Payne sono concordi su alcuni punti, innanzitutto sul fatto che ormai piattaforme di difesa come le portaerei non hanno più molto senso in un’epoca che combatte guerre con l’AI. Inoltre, è importante sottolineare che per questo nuovo tipo di conflitto mancano regole e le strutture etiche alla base. Galeotti ritiene che istituzioni internazionali come l’Interpol, l’ICJ e l’OMS – seppure si stia cercando di sminuirne il potere – siano, invece, necessarie ora più che mai per le fragili relazioni tra gli stati. Payne, d’altra parte, è scettico sul fatto che sarà possibile vietare o limitare l’uso delle armi IA. Per le armi nucleari se ne riesce a monitorare la proliferazione, cosa non valevole per gli strumenti AI.

Conclude Payne che noi, come società, dobbiamo valutare bene se siamo pronti ad accettare quello che lui chiama “abrogare l’ultima decisione [sul campo di battaglia] a un agente amorale”, la completa perdita di controllo. In questo contesto, l’unica prospettiva dell’uomo di abbandonare la guerra, come previsto da Edison, sarà quella di poterla delegare a una macchina.

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