Dai giochi di ruolo online a un lavoro ICT, le nuove competenze

L’online e il digitale costituiscono un vero e proprio ambiente sociale e culturale che plasma antropologicamente le nuove generazioni. Con questa rubrica, andremo a conoscere i protagonisti di questo cambiamento. Si parte da Mark, Giulia e Roberto

Pubblicato il 28 Mar 2014

Questo spazio verrà dedicato ai giovani, alle loro vite digitali e digitalizzate, fusione ormai completa tra l’online e l’offline, in ogni istante: anche davanti a qualcosa da bere, si è sospesi con loro tra più mondi e contesti e l’attenzione vola, come il discorso, dal display al bicchiere e nuovamente all’argomento; ipertesto fatto di infinte intersezione di informazioni da mettere in tavolo e comunicazioni da portare avanti, altrove; non puoi dargli false informazioni, in un secondo ti sgamano, piuttosto chiedi a loro, in un secondo hai la risposta e attivato una relazione.

Se lo meritano, rappresentano i componenti indispensabili per il motore dell’innovazione nel Paese: attualmente le aziende digitali, composte per lo più da trentenni (58 % laureati e 18 % dottorati), con un fatturato complessivo di 54 miliardi, costituiscono il 3,9 % del PIL, in controtendenza rispetto alla crisi dal 2009 al 2012, sono in aumentano per numero del 9,3 % e in termini di occupazione del 13,7 % [fonte Assintel].

Possono insegnaci tantissimo, per la velocità con cui il mondo cambia e la velocità loro, rispetto alla nostra, di adattarsi a questo cambiamento.

Oggi parleremo di Mark, Giulia&Roberto: uniti dai giochi di ruolo online.

Mark aveva seguito il mio corso di Teorie e Tecniche delle Relazioni Pubbliche a Gorizia e venne a chiedermi cosa ne pensassi riguardo una tesi su MMORPG (Massive Multiplayer Online Roleplaying Games) e le RP, prendendo in analisi il caso del videogioco online World of Warcraft e dell’universo ludico fantasy che ne gravita attorno.

Confesso che fui molto perplesso sulla scelta dell’argomento, ma l’apprendere da Mark che il business aveva fruttato all’azienda oltre 4 miliardi e questa si distingueva sul mercato per strategie di comunicazione sempre un passo avanti alla concorrenza e al mercato mi incuriosì notevolmente.

Poi lo studente iniziò a spiegarmi le strategie di marketing che fondevano l’online con l’offline: «flash mob di portata colossale, con scontri fra centinaia di personaggi nei luoghi pubblici, redeem-code premio per la partecipazione (dal vivo e in streaming HD da casa) per l’evento Blizzocon, la Mecca per i tredici milioni di persone iscritte – quattro anni fa – al videogioco. Utenti questi, che pagando per partecipare al gioco, hanno dato vita ad una community vasta ed estremamente eterogenea, attraverso continui artwork, novels e contest di gioco, cosplaying, music editing, video editing, canto e quant’altro, sempre con consistenti premi di ogni tipo in palio».

Già allora per Mark erano evidenti le potenzialità delle community (oggi acquistate a suon di miliardi di dollari per applicazioni che tecnicamente valgono molto di meno) per chi ne entra a far parte di parlare e confrontarsi su qualsiasi argomento con persone da tutto il mondo utilizzando una moltitudine di lingue diverse.

«In un contesto del genere ovviamente è la tecnologia ad essere regina, ed è quasi difficile non rimanere aggiornati su come nuove applicazioni mobili, programmi o siti internet irrompano nella quotidianità delle persone, offrendo sempre nuovi strumenti agli utenti del web». Allora – cinque anni fa circa – Mark mi spiegò come utilizzare lo smartphone come uno scanner per pdf, applicazione e pratica che poi fu veramente utile a me e ai miei colleghi. Ma soprattutto, Mark, confrontandosi online con una community internazionale, ha perfezionato e tiene in esercizio le lingue straniere: a 25 anni parla e scrive 7 lingue.

Finita la tesi è partito ad insegnare l’inglese in Giappone, imparato il giapponese ed entrato in contatto con quella società, sotto il profilo dell’utilizzo delle nuove tecnologie mi ha potuto raccontare un sacco di cose su come «la cultura occidentale e il vivere di un popolo molto diversi come quello giapponese si incontrano con forza dirompente in ogni ambito e sotto ogni punto di vista, dando vita a qualcosa di unico». Mi riporta gli incontri casuali a Tokyo con retailer italiani venuti a prendere spunti dalla moda di Harajuku, il quartiere di Akiba con l’high tech più all’avanguardia al mondo.

E con disinvoltura, mentre ci sediamo al McDonalds, fa scorrere tra le sue dita pagine, informazioni, nomi e una moltitudine di dati e statistiche che assieme ai social rendono reperibile qualsiasi cosa sulla rete. Che sia l’identità di una persona vista in un qualsiasi contesto (festa, parente-amici di…), oppure attraverso una foto, riesce a risalire ad altri dati, relazioni ed abitudini, facilmente confermabili attraverso internet, in pochi minuti. Tutto questo al tavolo, dal suo Nexus 5, ordinato via web, sorseggiando una bibita, e, ovviamente in simultanea, in multitasking, mi parla entusiasta del suo nuovo lavoro: con le sue capacità acquisite, con le sue competenze nel muoversi in un mondo di informazioni alla velocità di un clic, esperienza informatica e di relazioni umani, la sua ricerca, forse quella più importante, ha avuto fortuna: lavora ed è contento del suo lavoro nella logistica per un colosso dei trasporti marittimi.

Se le abilità di Mark, parte del suo successo relazionale e lavorativo sono dovute ai giochi di ruolo, è da lì che prende inizio la storia di altri due studenti, Giulia e Roberto:

«Siamo una coppia figlia del web 2.0, ci piace definirci pionieri delle relazioni nate sul web, prima di facebook e di tutti i social network che ora affollano la rete. Ci siamo conosciuti su Extremelot nel 2007, cominciando a chattare e videochattare attraverso l’ormai obsoleto MSN. Il 2 febbraio 2008, in occasione del raduno nazionale di Extremelot, abbiamo colto al volo l’occasione per incontrarci», racconta Giulia. Era ancora minorenne, «ma la cosa non ci ha ostacolato in nessun modo, organizzandoci con amici conosciuti esclusivamente online (sullo stesso gioco) per dormire a casa loro e in qualche modo farci ospitare per la notte. Insomma, da delle amicizie puramente virtuali abbiamo subito scoperto che erano molto più reali di molti altri rapporti, nati faccia a faccia. Ci ricorderemo sempre il nostro primo vederci dal vivo al binario 24 della Stazione Termini: lui con giubbotto di pelle, catene e mezzi guanti, io tutta saltellante e a digiuno da mezza giornata per l’ansia». Dopo quel primo incontro, ne sono seguiti altri, ora in Puglia, ora in Friuli, per un anno e mezzo a casa dei relativi genitori, il tempo che serviva a Giulia di finire il liceo scientifico. Nell’agosto 2009 Roberto ha preso la decisione importante di trasferirsi a Trieste insieme a Giulia che iniziava l’università.

L’online e il digitale, per queste generazioni, non rappresentano soltanto una possibilità in più di incontrare l’anima gemella, ma costituiscono un vero e proprio ambiente sociale e culturale che li plasma antropologicamente: la spinta di Giulia verso Roberto nel trasformare i suoi studi tecnici in competenze creative del web l’ha portato via da un lavoro in fabbrica, reso complementare alle competenze di foto e grafica digitale di lei, parte integrante di una copia creativa che crea campagne di social media marketing e studente di comunicazione, assieme a Giulia, a pieni voti e prossimo alla laurea. Tesi per entrambi ovviamente sui giochi di ruolo online. Nel frattempo, oltre ad aver scritto per un giornale online, hanno seguito numerosi corsi sempre in ambito della comunicazione ed organizzazione di eventi attraverso i nuovi media e creato una riuscita campagna per la sensibilizzazione dei diritti degli omosessuali, promossa da Arcigay, Provincia e Comune di Trieste nei mezzi di trasporto pubblici con slogan “Diritti all’amore” e foto da loro prodotte.

Se la parte grafica e dei social è curata da Giulia, il tecnico e copywriter è Roberto, al quale sono debitore per avermi mostrato l’utilizzo di Tor e per farmi da debunker. Giulia conosce e segue social come Path che spiega a lezione per completare le mia parte di teoria. Roberto, dopo che io ho parlato a livello teorico del sistema a cipolla, mi mette sulla cattedra il suo PC e mi dice “Prof posso mostrarle una cosa?”. In diretta, mentre mi mostra i ping che sta facendo il suo segnale nel mondo, condivide con me il suo sapere: «TOR è l’acronimo di The Onion Router. Il nome richiama l’architettura di questo sistema, onion significa infatti cipolla. Come una cipolla, il TOR è fatto “a strati”. In parole povere, attraverso TOR, il nostro segnale anziché collegare direttamente client e server, passa attraverso tre nodi (detti relays) collocati in giro per il mondo e gestiti da volontari. Le connessioni tra i vari nodi sono completamente criptate e quindi sicure. TOR è gestito da The TOR Project, un’associazione senza scopo di lucro. L’uso primario del TOR è l’impossibilità di essere tracciati, mantenendo quindi l’anonimità. Inoltre può offrire la possibilità di bypassare i blocchi censori di Paesi come l’Iran o la Cina consentendo ai cittadini fonti informative non parziali. Oltre a rendere anonimi i client, TOR può rendere anonimi anche i server ed è qui che entra in scena il famoso e sempre più discusso Deep Web, che, tradotto, indica tutta quella parte “nascosta” di internet, accessibile solo attraverso TOR dove avvengono anche (ma non solo!) operazioni illegali come la vendita di droghe, farmaci, armi e molto altro. TOR è scaricabile del tutto gratuitamente e bastano pochi click per avviarlo poiché non necessità di installazione e nemmeno di regolazioni di impostazioni strane». Roberto chiude con alcune considerazioni legate al rischio e alla relativa cautela: «Preferiamo non avventurarci troppo in profondità vista l’esistenza di rischi reali. Tuttavia le regole auree per la navigazione sicura nel web sono valide anche qui: non cliccare su link di cui non si è certi, non scaricare nulla, non accettare nessun file da nessuno e non utilizzare nella maniera più assoluta nessun tipo di informazione personale, che sia la mail o il nome del proprio animale domestico».

Insieme, Roberto e Giulia, hanno iniziato a seguire le operazioni di social marketing per un resort in una villa veneta, e utilizzando, come qualcosa di innato e acquisito nella socializzazione informale, quello che invece io conosco e trasmetto da ricerche scientifiche sulla comunicazione online, in poco più di un mese, hanno decuplicato gli accessi, i commenti e l’interesse generale verso il prodotto, con inventiva, strategie di appeal visivo e di contatti a cascata: alle volte mi sembra di insegnare cos’è l’acqua e a nuotare a dei pesci.

Tutta questa verve creativa, quest’immaginazione, questo utilizzo che sembra innato di nuovi codici e idee che scambiano con il resto del mondo è anche grazie al fatto che, come un tempo aveva già spiegato De Masi (il sociologo che parla di ozio creativo) per il lavoro intellettuale ed immaginativo, le loro attività di intrattenimento si fondano con l’informazione e il web: siti, film, serie, campagne pubblicitarie e civili che seguono e scambiano con contatti online. Cacaoweb, solo un esempio, di streaming video, lo conosco grazie a Roberto e soprattutto, grazie al suo essere immerso nell’informazione ha tutti i mezzi e i filtri culturali per verificare cos’è bufala e cosa non lo è: «Al momento gli strumenti più usati nel web sono “Bufale un tanto al chilo” e “Attivissimo”», cosicché quando condivido, con riserva, una notizia, so che alla velocità della luce e social, mi verrà da lui corretta e reindirizzata verso link dove viene spiegata perché bufala.

Fonti:

longwave.assintel.it/ (23 marzo 2013)

Domenico De Masi, “L’ozio creativo – Conversazione con Maria Serena”, Palieri. Ediesse 1995.

Nicola Strizzolo, “Com-fusion: fusion between on-line and off-line through communicative interaction”, ccnr.infotech.monash.edu/conferences-workshops/prato2010papers.html (23 marzo 2013)

Special thanks to

Mark Riosasso

Laureato in Relazioni Pubbliche, Università degli Studi di Udine, Tesi “MMORPG E Relazioni Pubbliche, Il Caso Blizzard Entertainment”

Giulia Rainieri e Roberto Lillo, Laureandi in Scienze della Comunicazione, Università degli Studi di Trieste,

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