Nella mitologia greca Epimeteo, un Titano, viene incaricato dagli dèi di distribuire tra gli animali velocità, agilità e forza ma, nel farlo, si dimentica degli umani, lasciandoli così deboli e spauriti a fronteggiare il proprio destino. È il fratello Prometeo che, vista la situazione, decide di rubare il fuoco al dio-fabbro Efesto per donarlo agli uomini, in modo che avessero uno strumento con cui affrontare l’ignoto e modificare una sorte che pare altrimenti segnata.
Il controllo del fuoco
Il fuoco, o meglio il suo controllo, è una delle tecnologie di cui più anticamente si è avvalso l’uomo, tanto che sono stati rinvenuti nella caverna di Evron Quarry, nell’odierno Israele, resti di focolari domestici che risalgono a tempi ben precedenti a quelli della comparsa della nostra specie, Homo Sapiens, e databili addirittura a ca. 800.000 anni fa.
Quel genere che oggi si definisce Homo e che si ritiene si differenzi da altri generi circa 2 milioni di anni fa, sin dall’inizio non pare dotato in particolare misura delle caratteristiche che Epimeteo sparge tra gli altri animali: non particolarmente veloce né scattante, nemmeno ha una forza fisica paragonabile con quella di altri ben più potenti animali con cui condivide la savana, primo teatro in cui esso appare.
Con la tecnologia l’uomo estende i suoi poteri
È una diversa forma di intelligenza rispetto a quella delle specie allora sue contemporanee che consente ad Homo di affrontare le difficoltà di quella convivenza. In maniera differente dai suoi competitori, Homo riesce a estendere i propri poteri grazie alla tecnologia, imparando ad utilizzare innanzitutto sassi, bastoni e fiamme.
Riguardando all’indietro nella nostra storia, si coglie come già dai primi istanti ci sia nell’umano una sostanziale coincidenza tra i suoi consumi e la sua tecnologia: raccolto un bastone, un esemplare di Homo che altrimenti non avrebbe potuto continuare a camminare, supera il vincolo imposto dal proprio corpo e riprende il viaggio, cosicché quel legno è insieme tecnologia e bene consumato. Un altro attimo e lo stesso essere spezza quel bastone per renderlo più adatto a sorreggerla, così migliorandolo e intanto dando esempio di quel metodo “per tentativi ed errori” che è alla base della scienza e della sua applicazione, appunto la tecnologia.
Non ci è difficile, milioni di anni dopo, visualizzare quegli accadimenti, sebbene non ci sia altrettanto semplice intuirne la portata, l’enorme vantaggio che ciò costituirà per Homo nelle centinaia di millenni successivi, permettendo alle specie in cui si differenzierà più tardi di controllare il pianeta su cui vive e persino di uscirne per approdare su altri con certe sue “protesi” tecnologiche.
Quel vantaggio e quel successo si traducono anche in una diversa e precipua responsabilità che Homo si è addossato rispetto alla Terra: mentre nessun’altra specie può volontariamente cambiarne gli equilibri, Homo lo fa sin da quei tempi antichissimi, potendo lederne o enfatizzarne gli esiti.
I resti di quel famoso focolare di 800.000 anni fa sembrano indicare che esso fosse stato acceso e governato per lungo tempo al fine di poter lavorare determinate rocce locali, così da renderle malleabili attraverso il riscaldamento dei metalli di cui erano composte. Questo permetteva di creare nuovi strumenti, non direttamente disponibili in natura, adatti per lavori in altro modo ben più difficili da compiere.
Poiché quando guardiamo “all’indietro” nella storia i secoli sembrano diventare sempre più brevi e più indifferenziati, è opportuno ricordare che quel fuoco è così distante dal primo esemplare di Sapiens quanto egli da noi. Eppure, quella specie già era in grado di gestire il fuoco, sciogliere metalli, predisporre utensili. Questo enorme spazio temporale induce a pensare quanto il binomio consumo/tecnologia sia proprio del nostro genere, marcando una diversità sostanziale con gli altri animali.
Tecnologia e consumo
Da essi ci separa la tecnologia, ma ancor più il consumo. Come la tecnologia consente all’umano di superare determinati propri vincoli fisici, così i suoi consumi: se una fionda permette di scagliare un sasso ben più lontano di quanto possa fare un braccio (travalicamento delle possibilità umane), essa rende la persona che lo utilizza consumatrice di fionda e sasso. Allo stesso modo, il fuoco da modo di cucinare e affumicare, cioè di protrarre l’utilizzabilità dei prodotti alimentari, di conservarli, di poterli portare con sé, di accumularli per fruirne nei momenti in cui scarseggiano quelli freschi: la cottura è insomma un modo del tutto nuovo di consumare.
Con un salto di molte centinaia di migliaia di secoli, siamo ora di fronte all’”Artusi”, ovvero “La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene”, come si intitola il fondamentale testo della tradizione gastronomica italiana, le cui diverse edizioni vanno dal 1891 al 1911. Si tratta di un prodotto editoriale (dunque oggetto di consumo) e insieme un travalicamento dei limiti della memoria, del tempo e delle distanze: ricette estratte dai ricordi di cuoche di circa due secoli fa e che ci raggiungono ora nelle nostre case, lontane dai giorni e dai posti in cui furono concepite. Di più: quel manuale contiene un sapere creato per condivisione da generazioni di persone che hanno lavorato fianco a fianco, perfezionandolo, aggiungendo esperienze e culture differenti, insomma collaborando.
Consumo, tecnologia, socialità: le basi della cultura dell’innovazione
Consumo, tecnologia, socialità: tre elementi fondamentali che hanno portato a quella “cultura dell’innovazione” cui oggi tutti fanno riferimento. Si noti che tutti e tre si connotano per la peculiarità di poter essere attivati da quel particolare meccanismo che si chiama “fiducia”, un tipo di relazione che gli umani riescono a generare persino senza che vi sia conoscenza diretta dell’uno con l’altro, diversamente da quanto può fare qualunque tipo di animale che, anzi, vede nel membro di un diverso gruppo sociale un potenziale nemico, da evitare o attaccare a seconda delle circostanze.
La capacità di agire insieme verso un obiettivo è a sua volta un acceleratore di innovazione, che permette di estendere sia le conoscenze che i prodotti logici e fisici che ne derivano. Come ci dimostra lo sviluppo tecnologico degli ultimi secoli, in particolare quello digitale, la sua velocità è funzione sia di quante persone se ne occupano sia del tempo che esse riescono a dedicarvi.
La riduzione dei tempi di produzione dei beni tangibili attraverso il fenomeno chiamato “automazione” è la chiave dell’economia moderna. L’automazione serve primariamente a ridurre il costo di ogni singolo prodotto e garantirne la standardizzazione qualitativa, ma, oltre a ciò, soprattutto quando applicata ai processi che richiedono il massimo dispendio fisico dell’umano, lo liberano dalla fatica. Essa, tanto più quando discende da un obbligo, è sempre stata percepita come un tormento, tanto che già nella Genesi biblica il “sudore della fronte” è descritto come peso del vivere, pena da scontare per aver trasgredito al Signore.
Macchine e lavoro
Un semplice esperimento mentale chiarisce il concetto, in quanto basta porsi la domanda “quale lavoro che le macchine realizzano in maniera automatica vorremmo tornare a fare di persona?” per scoprire istantaneamente che non viene in mente nulla o, nel caso migliore, nessuna attività che si vorrebbe davvero fare in continuazione, giorno dopo giorno, a orari fissi, lunghi e prestabiliti.
Lavori che un tempo erano considerati del tutto accettabili, in realtà richiedevano così tanta fatica che ora più nessuno vorrebbe dedicarvisi e, anzi, quella fatica la si definisce oggi “disumana”.
Insomma, liberare il tempo del vivere dell’uomo dalla fatica è il modo in cui egli esalta la propria “umanità”, quel groviglio di pensieri, sentimenti, capacità e possibilità che sente come proprio e percepisce come differenza rispetto ad ogni altro essere del Creato. In pratica, tanto maggiore è la disponibilità di tecnologia tanto più l’Homo ha tempo e mezzi per far emergere il proprio essere Sapiens.
Nel corso dei secoli, tutte queste capacità sono state dirette verso obiettivi differenti, alcuni dei quali per nulla commendevoli e altri addirittura lesivi di altri umani, delle altre specie animali e del pianeta stesso. Se di fatto la nostra specie è diventata dominante sulla Terra, questo non vuol dire che ciò non abbia provocato anche disastri i cui effetti stanno emergendo in tutta la loro brutale potenza. Non esiste ovviamente alcuna “vendetta della Natura”, esattamente come non è esistita nell’umano una volontà di distruzione dell’ecosistema quanto, piuttosto, una incapacità di prevedere i danni conseguenti e poi, peggio, di accelerare la ricerca di soluzione ad essi.
Da ciò si può capire come consumo, innovazione e collaborazione abbiano a che vedere con un altro tratto fondamentale della cultura umana: la previsione del futuro, così da anticiparlo e possibilmente modificarne la direzione.
L’importanza dell’Agenda 2030
A partire da questi presupposti, siamo subito all’oggi, al secolo presente, al passo che è stato compiuto nel 2015, quando l’intera umanità rappresentata da 190 Paesi ha deciso di stabilire un accordo globale presso l’ONU per muoversi in direzione dei Sustainable Development Goals (SDG’s) sanciti dall’Agenda 2030. Una determinazione che dimostra l’inversione di rotta intrapresa e che è stata possibile soprattutto perché negli ultimi decenni si sono sviluppate conoscenze e strumenti che rendono possibile questo cambiamento. Di più, in quella intenzione c’è anche la capacità di prevedere che tali innovazioni ne faranno scaturire altre, a loro volta utili per rallentare il disastro, poi per fermarlo e infine, tra decenni, invertirne il senso di marcia.
È una scelta etica globale ma sarebbe sbagliato pensare che essa coglierà frutti solo per la sua capacità di instillarsi nell’animo di ogni persona, rendendola improvvisamente sensibile ad ogni male perpetrato contro l’ambiente, la natura e la società, immediatamente pronta a comportamenti positivi, istantaneamente prodiga di morale conversione e attiva partecipazione alla creazione di un “mondo nuovo”.
La Storia prova che non c’è molto da credere in salvifiche ispirazioni dei singoli, quanto piuttosto al fatto che gli umani si muovono compattamente in direzione dei propri interessi personali e sociali, ed è per questo che il primo strumento che si è deciso di utilizzare per attivare la Transizione, cioè il passaggio dal modello economico denominato “lineare” a quello “circolare”, è quello finanziario.
Si è stimato che bisognerà far affluire nel sistema dell’economia mondiale una cifra di circa 3.900 miliardi di dollari all’anno per il periodo 2015 – 2030 affinché gli attori di essa compiano quel passaggio. In particolare, queste risorse saranno distribuite attraverso gli Stati con politiche di finanziamento del cambiamento e dal canale finanziario privato favorendo il credito a quelle imprese che più coerentemente mostreranno di agire a favore di esso. Per valutare l’adesione di imprese ed enti, i loro parametri ESG (Environmental, Social, Governance) e la capacità di migliorarli saranno il principale strumento attraverso cui si stabilire le potenzialità future di interazione con il mercato.
In questo quadro, espressioni che si sentono ogni giorno come sostenibilità, innovazione, SDG’s, intelligenza artificiale, ESG, PNRR e altre ancora cominciano a mostrare le relazioni tra i concetti che esprimono.
Ne riparleremo presto.