Ancora negli anni Settanta e Ottanta i centri di elaborazione dati erano pochi, macinavano nelle grandi aziende, nelle sedi miliari e di intelligence, nelle università e istituti di ricerca, in rari enti e agenzie pubbliche. Erano castelli medioevali, roccaforti fisiche e concettuali.
Poi arrivò il personal computer, cioè la parcellizzazione infinita dei castelli, dove milioni, oggi miliardi di umani hanno il loro centro di calcolo sulla scrivania, in cucina, in tasca. Un centro di calcolo che è diventato anche il terminale col mondo dei cittadini del mondo.
Così castelli medioevali e personali sono stati connessi gli uni agli altri e il mondo fisico è stato duplicato nel mondo della rete digitale con i suoi monolocali, appartamenti, uffici, case, strade, piazze, palazzi, negozi, banche, stazioni ferroviarie, aeroporti, stadi, cinema, teatri, media, culture, chiese, credi, eserciti, socialità, polis, politiche, democrazie, usi, costumi e consumi. Ciascuno di questi tre miliardi e mezzo di abitanti del Pianeta è diventato pianeta di sé stesso, cioè imprenditore, segretario, amico, interlocutore, dipendente, capofficina, operaio, agricoltore, amministratore ed anche polis. I restanti cittadini del mondo, quelli non ancora connessi, lo stanno diventando.
Contestualmente il mondo ha conosciuto la più grande crisi economica della storia dell’umanità, del capitalismo maturo, cioè delle “società avanzate”, “benestanti”, che hanno confidato nell’autocontrollo del mercato lasciando che, in cinquant’anni di storia, dalla “ricostruzione del dopo guerra ai boom economici della pace”, l’avidità della finanza diventasse il parametro della formazione della ricchezza individuale, ma non collettiva.
Le tasche di miliardi di persone si sono svuotate progressivamente, insieme agli ideali politici. Il futuro individuale e collettivo di troppi cittadini del mondo si è cancellato.
Intanto la rete di connessione digitale del Pianeta si è configurata anche come lo strumento globale e crossmediale dell’incontro che, in teoria, è il seme di ogni democrazia e convivenza e che, in pratica, è, per ora soprattutto, il più avanzato strumento, della storia dell’umanità, d’incontro fra la domanda e l’offerta di beni e di servizi, (vedi) ma anche il luogo dei nuovi oligarchi del pianeta.
È, infatti, in corso una mutazione totale del “sistema nervoso del mondo”, della sua intelligenza connettiva, che si scompone e ricompone in una intelligenza collettiva e crea due grandi flussi, due “esistenze parallele”, una oligarchica e l’altra prolificamente plurima.
Gli oligarchi della rete stanno scrivendo una “costituzione reale” del mondo-fondato-sul-digitale per dominare il mondo “fisico”. Di fatto una sorta di costituzione invisibile è già in vigore, compilata ogni giorno dagli oligarchi e dai loro tre miliardi di sudditi, compulsivi consumatori ma anoressici utilizzatori, più o meno inconsapevoli o “colpevoli” di alcune macro perversioni della Rete (la Rete come sfogatoio, consolatoio, rissatoio).
Ma c’è in campo una seconda esistenza parallela, accanto agli oligarchI, formata dalla pluralità locale che agisce in rete globale. Sono i sudditi consapevoli, i milioni di singoli cittadini del mondo, di gruppi, comunità e imprese “che hanno imparato ad utilizzare il sistema nervoso digitale del globo per reinventarsi il mercato, il territorio, la ricerca, la formazione, la militanza, la socialità, la politica e l’economia, micro e macro, all’insegna del (vedi) fattore portante della sostenibilità”.
Per l’azione di questa seconda moltitudine, parallela agli oligarchi e ai loro sudditi (in gran numero dissociati nel doppio essere “sudditi-account (iscritti)” e, al contempo, liberi sudditi di sé stessi) si potrebbe davvero giungere a una vera mutazione genetica del sistema digitale reticolare del Pianeta, cioè ad un reale, nuovo e perfetto sistema nervoso del globo, dove l’attuale impianto delle democrazie e delle libertà viene smontato e poi rimontato a favore di nuovi cromosomi di rappresentanza, di delega, di processi decisionali, di servizi alla democrazia – petizioni, consultazioni, votazioni, referendum, assemblee, governi e simili. Dove quelli che sono ancora solo “strumenti” innovativi e pervasivi, per esempio della Rete, si strutturano in mano alle nuove polis, mutano natura e diventano il nuovo DNA delle nuove istituzioni collettive e politiche.
Si tratta di contare quindi sui milioni di cittadini del mondo di ogni età che hanno abbandonato la politica come strumento individuale e collettivo di costruzione del futuro, ma hanno ritrovato la forza, la volontà e l’intelligenza, di progettarsi la propria nascita, o rinascita, nel mondo diventando polis di sé stessi, diventando “start up”, avviandosi o riavviandosi, nel senso letterale del termine, ma anche personale, psicologico e relazionale.
Dunque c’è una seconda realtà orizzontale, fatta da un popolo di “avviatori” consapevoli, che sta premendo dal basso in ogni continente. Oggi imbracciano gli strumenti crossmediali dell’era reticolare e digitale. Sono in grado di usare le tecnicalità degli oligarchi per costruire sé stessi e nuove polis.
È un popolo multiforme, che vuole orizzonti nuovi, creativi e sostenibili, è un popolo che ha aperto una piccola o grande bottega e, in rete o con la rete, la vende al mondo; che ha costruito già milioni di posti di lavoro; che si sente il 99% che non abita a Wall Street; che apre gli ombrelli gialli a Hong Kong; che grida “podemos”, perché vuole prendersi in mano un futuro; che non accetta la forsennata avidità dei pochissimi fatta sistema; che sa inventare, ricostruire, ricomporre la realtà, riconquistando così la propria politica e tutta la politica nella sua forza e pienezza.
È un popolo che non vuole congelarsi nell’astensione al voto, né nell’antipolitica del “son tutti ladri”, ma è alla ricerca di un’idea complessiva, valida e validante, convincente, trainante, aggregante, sostenibile. Storica.
In Italia tutto ciò esiste e non solo in Italia. In Italia da tempo migliaia e migliaia di soggetti singoli e collettivi nascono, crescono o si reinventano. Ma col freno tirato.
Troppi strumenti e soggetti pubblici che potrebbero alimentare, fertilizzare, razionalizzare, potenziare e, quindi, accelerare l’emersione del popolo delle start up, degli “avviatori”, individuali e collettivi, sociali e politici, sono espressi al rallentatore o, semplicemente, non ci sono, non esistono, oppure sono immobili, indecisi sul da farsi, assenti.
Non sono quindi in grado di scoprire e mettere in circolo i giacimenti di idee, di proposte, di risorse umane, di progetti, di realtà iniziate che hanno bisogno di ulteriore formazione, competenza, informazione, investimenti, cioè strumenti ad hoc, per venir fuori, per venire alla luce, per crescere, per esistere, per creare, dunque incidere.
Nell’Italia dei campanili, dei territori e delle enclave amministrative esiste però un humus fertilissimo che è proprio la capacità di sintesi, in corso in mille punti della Penisola, del locale col globale, in una parola del “glocale”, una crasi spesso concretamente imprenditoriale, ma anche localmente sociale e politica.
Una crasi che va incontro alla crisi storica delle ideologie, ma non delle idee e degli ideali, anzi li irrora. Una crasi della cittadinanza, della socialità, della politica, della democrazia che può declinarsi anche sui diritti e sul disegno del futuro del mondo. Una crasi non solo italiana, capace inoltre di essere potenzialmente la soluzione di molte crisi di appartenenza, di identità e perfino di conflitti del mondo.
Ma questo formidabile potenziale di glocalità della polis delle “start up”, dove e come può trovare il suo strumento di accelerazione, di crescita, di saper fare, di intelligenza collettiva e di evoluzione in una realtà connessa, mobile, tuttavia totalmente orfana di una potente spalla pubblica, non necessariamente istituzionale?
Sperimentalmente, ma concretamente, potrebbe trovarla in un “servizio pubblico”, iper connesso, dunque “crossmediale”.
Nel mondo digitale e connesso forse sono possibili anche nuovi “servizi pubblici crossmediali” locali, lontani parenti, ancora tutti da concepire, degli obsoleti, giurassici, servizi pubblici radiotelevisivi nazionali del XX secolo. Servizi pubblici crossmediali, che possano essere le sinapsi e i neuroni delle culture, degli strumenti di crescita, formazione, informazione e relazione fra una polis locale sì, ma con visione e azione globale di sé stessa e dei suoi cittadini.