Disinformazione online

Da Google ai deepfake video: come l’IA generativa impatta sull’integrità delle informazioni



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L’IA generativa sta provocando imprecisioni nei risultati di ricerca di Google e alimentando la diffusione di deepfake e disinformazione online. Presto anche in formato di video artificiali. Questi problemi sollevano sfide significative per il Digital Services Act, che cerca di bilanciare regole e censura. Il 2024 si preannuncia come l’anno cruciale per affrontare l’epidemia di…

Pubblicato il 20 feb 2024

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017



Disinformazione online: i pericoli del rallentamento della lotta alle fake news

Sarà inevitabile che le immagini e persino i video artificiali (vedi Sora) inonderanno le reti sociali, sempre più indistinguibili dal “vero”; e sempre più, potenzialmente, in grado di influenzare opinioni e desideri collettivi.

L’intelligenza artificiale generativa sta plasmando un nuovo panorama digitale, caratterizzato da potenziali incredibili, ma anche da sfide significative. Questa tecnologia, capace di creare contenuti realistici in maniera autonoma, ha un impatto significativo sui motori di ricerca e sulla qualità delle informazioni che ne derivano.

D’altra parte, con l’emergere dei deepfake – simulazioni iperrealistiche generate dal computer – si apre un capitolo controverso tra opportunità di intrattenimento e possibili pericoli legati alla diffusione di disinformazione.

Introducing Sora — OpenAI’s text-to-video model

Di fronte a questa realtà complessa e mutevole, si avverte con urgenza la necessità di una regolamentazione chiara e condivisa a livello internazionale.

Il Digital Services Act rappresenta un primo passo in questa direzione, ma le prospettive future sono ancora tutte da esplorare: le sfide che ci attendono sono altrettanto impegnative quanto le opportunità offerte dall’IA generativa.

L’IA generativa e i motori di ricerca: un problema di qualità

Uno studio recente ad esempio ha confermato a Google, il motore di ricerca più famoso del mondo, ad esempio, hanno un problema: la macchina è più imprecisa di quanto non si pensava che fosse.

Dopo aver analizzato innumerevoli link nell’ultimo anno, il team di ricercatori tedeschi ha concluso che tutti coloro che si lamentano del declino della qualità di Google sembrano avere ragione, i risultati dei motori di ricerca stanno davvero peggiorando, in quanto Internet è invaso da spazzatura a basso sforzo proveniente da fattorie SEO e siti di link affiliati. E le cose probabilmente peggioreranno con l’avvento dell’intelligenza artificiale generativa.

Il fenomeno sembra insomma ascrivibile all’immissione massiva di contenuti di bassa qualità in rete, anche creati con intelligenza artificiale; con il doppio problema conseguente: maggiore difficoltà, per l’utente, di reperire contenuti di qualità in rete (e di distinguerli da quelli meno performanti) ed il rischio di diffusione attiva di informazioni false o, quantomeno, imprecise.

Ovviamente il dito viene puntato contro l’AI generativa, che può creare contenuti ed immetterli in rete ad una velocità mai vista prima e con una diffusività senza precedenti da un lato e senza possibilità di controllo immediato dall’altro.

Ironia della sorte, pare che la Seo implementata dall’AI sia più sensibile alle fake create dalla AI di quanto non fosse quella meno evoluta.

Il tema ha una rilevanza economica e politica prima che funzionale nel rapporto tra le big tech nel contesto della ricerca delle informazioni.

Per tutto il 2022 ed il 2023 i media di informazione hanno stigmatizzato il fatto che i social network, i cui algoritmi favoriscono il contenuto più visto e non quello di qualità migliore, fossero utilizzati dai giovanissimi per informarsi online; queste campagne sono state portate avanti soprattutto da New York Times e Wall Street Journal.

Ma se la qualità della ricerca nei motori di ricerca, il cui algoritmo dovrebbe prediligere i contenuti migliori o, comunque, più attinenti alla ricerca stessa, cala a causa dell’impiego massivo dell’intelligenza artificiale, siamo di fronte ad un serio problema di reperimento delle fonti di informazione.

L’AI generativa, quindi, impatta sui motori di ricerca anche rendendoli meno performanti e non solo introducendo uno strumento alternativo agli stessi.

Deepfake: tra intrattenimento e pericoli

Due deepfake “epici” hanno scosso l’opinione pubblica nei giorni scorsi: le foto oscene di Taylor Swift e quella di Joe Biden in tuta mimetica.

Le prime sono state generate – e sono diventate rapidamente virali – grazie ad un’applicazione di AI facilmente reperibile su Telegram: la famosissima cantante, presente anche al Superbowl, non poteva passare indenne da una simile “botta” di – ulteriore – notorietà.

Il deepfake di Joe Biden è stato meno sgradevole ma più pericoloso: ritraeva il Presidente degli Stati Uniti d’America in tuta mimetica, ed è stato diffuso con un post su X (ex Twitter) in cui si affermava che gli USA erano pronti a scendere in campo direttamente nel conflitto russo-ucraino.

Evidente che la notizia, anche questa diventata virale, facesse scalpore, fin quasi a far pensare a scenari da terza guerra mondiale.

Per i commentatori, X è diventata la più grande fucina di fake news della Storia, in seguito all’acquisto della piattaforma da parte di Elon Musk; qualcun altro potrebbe dire che non sia cambiato, nella sostanza, moltissimo.

La regolamentazione dell’uso dell’AI in questi contesti deve prevedere l’obbligo di “fingerprint”, ossia la necessità che il deepfake venga dichiarato come tale in modo evidente e riconoscibile.

Ma allora che deepfake sarebbe?

Digital Service Act: un baluardo contro la disinformazione

Il 2024 sarà l’anno della disinformazione online creata con AI generativa di ogni genere e dobbiamo preparaci a vederne di tutti i colori – letteralmente.

L’accesso ai social e la facilità con cui il deepfake può essere generato rendono la disinformazione accessibile a chiunque e nel quasi più competo anonimato.

Per quanto gli strumenti di tutela ci siano – il Digital Service Act serve proprio a questo – solo il senso critico del singolo può fare da bussola nel mare in tempesta della rete.

Il macrofenomeno, poi è preoccupante: a causa dell’aumento esponenziale dei deepfake, gli strumenti normativi del Digital Service Act potranno dispiegare tutti i loro effetti proprio nel periodo delle elezioni europee del 2024.

Questo, da un lato, determinerà una migliore ecologia del sistema, ma dall’altro comporterà dei veri e propri meccanismi di censura, data la difficoltà a distinguere il vero dal falso.

Conclusioni

Anche per la disinformazione, quindi, il 17 febbraio è una data spartiacque: li Digital Service Act potrà operare “a pieno regime” e saranno i funzionari di Bruxelles a decidere se le maglie dovranno essere più o meno strette.

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