Ferve il negoziato per aggiungere alla Data Strategy europea un ulteriore tassello, che consenta accesso, uso e riuso dei dati dell’internet delle cose (IoT).
Il punto di partenza è noto: il mercato dei dati genera un valore economico in crescita (pari al 2,6% del PIL dell’UE-27) ma non ancora soddisfacente per incertezze sulla titolarità dei diritti, squilibri nel potere negoziale, disponibilità limitata di servizi cloud affidabili e mancanza di interoperabilità intersettoriale dei dati nell’UE.
La risposta è europea e passa per il Data Act, un quadro armonizzato e orizzontale che stabilisce chi possa utilizzare i dati generati da prodotti smart, a quali condizioni e in quali contesti.
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Data Act: le differenze tra B2C e B2B
Il Data Act disciplina accesso e uso ai dati generati dall’uso di prodotti e servizi connessi, diversificando tra rapporti B2C e B2B.
In relazione ai primi, è sia assicurata l’accessibilità gratuita, semplice, sicura e in formato strutturato ai dati che l’utilizzatore ha contribuito a creare, sia garantito il possibile uso e riuso commerciale di quegli stessi dati a condizioni di mercato.
Dati e informazioni che assumono valore commerciale per il produttore e che per via di quel valore sono mantenuti in regime di riservatezza sfuggono al paradigma dell’apertura e rimangono coperti dalla tutela offerta dal segreto industriale.
Per i rapporti B2B è apprestato un sistema efficace di protezione da squilibri contrattuali e pratiche abusive (unfair contractual terms). Il regolamento separa le clausole black che, unilateralmente imposte, sono nulle in quanto manifestamente abusive o scorrette, da quelle gray, la cui abusività è presunta e come tale superabile con prova contraria.
Si sancisce la ragionevolezza di eventuali compensi per la messa a disposizione dei dati, con facoltà di ricorso ad organismi di composizione stragiudiziale delle controversie (per questioni relative al compenso o all’abusività delle clausole).
Sfugge a questa bipartizione il settore pubblico che, in caso di circostanze eccezionali ed emergenze pubbliche, può rivendicare l’accesso ai dati dei privati, anche per l’elaborazione statistiche e la creazione di standard di interoperabilità (contesto B2G).
Interoperabilità e portabilità
Nuove regole intendono facilitare il passaggio tra servizi cloud, edge e altri servizi di trattamento dati (Data processing services – DPS), e lo sviluppo di standard di interoperabilità per i dati da trasferire e riutilizzare tra i diversi settori industriali.
Nel passaggio tra fornitori viene preservata la cd. equivalenza funzionale, senza imporre interfacce tecniche e standard di interoperabilità, ma indirizzando il mercato verso standard aperti, se esistenti, conformi alla normativa europea. Vengono fornite garanzie contro il trasferimento illegale di dati non personali.
Per gli spazi di dati, il Data Act stabilisce regole minime per l’interoperabilità e per i contratti intelligenti (smart contracts) in linea con la tendenza a ridurre gli spazi di libera negoziazione, che nella Direttiva Copyright ha trovato un primo rilevantissimo approdo.
Governance
Quanto alla governance, il regolamento rimanda ad ogni Stato membro l’approntamento delle garanzie necessarie al rispetto delle norme e alla trattazione di reclami e denunce.
Alla Commissione, invece, è riservata la definizione di clausole contrattuali tipo per l’accesso e il riutilizzo dei dati, l’adozione di atti delegati per il controllo dei costi di switching nei DPS, nonché di prescrizioni per l’interoperabilità.
Data Act: i prossimi passi auspicabili
Premesso che l’accesso ai dati (almeno in parte) altrui non è mai utile in quanto tale ma solo se rivolto ad una funzione, legittima e commercialmente rilevante, si tratta ora di chiudere il cerchio e più in particolare:
- chiarire che le nuove regole si estendono anche ai metadati (ciò che è auspicabile);
- affinare le tecniche cui ricorrere per consentire che le direttrici dell’accesso, della condivisione e della portabilità valgano anche per i dati personali.
Se poi, come conferma l’impact assessment, il Regolamento vorrà incentivare gli operatori commerciali, e specie quelli di dati di alta qualità, a continuare ad investire, si tratta di
c) rintracciare il punto di equilibrio tra il costo dell’accesso ai dati e la tutela agli investimenti sottesi alla creazione di quei dati.
Considerato che il Regolamento si inserisce in un contesto di mercato dove accade che le piccole e medie imprese si trovino in posizione di debolezza e sudditanza negoziale, si tratta infine di
- rimediare con efficacia agli squilibri contrattuali e alle forme di abuso del diritto e di iniquità delle condizioni, per permettere e garantire un effettivo bilanciamento degli interessi e delle posizioni contrapposte.
In questo, le regole italiane sull’abuso di dipendenza economica possono essere di esempio e modello.
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*Questo articolo è parte della rubrica “Innovation Policy: Quo vadis?” a cura dell’ICPC-Innovation, Regulation and Competition Policy Centre