Il matrimonio tra data science e politica ormai non è più rimandabile. Se ne sono resi conto tutti, forse un po’ in ritardo, ma c’è consenso. Vediamo come strumenti scientifici e analisi dei big data in particolare possono trasformarsi in leve delle strategie dei governi nella gestione della pandemia. Ma non solo.
Le risposte complesse della Scienza
Quando riaprire? Come evitare i danni economici? Come coniugare la salute pubblica con libertà irrinunciabili in una società di tradizione democratica? Esiste un punto di equilibrio che permetta una riapertura e mantenga basso il livello dei contagi? È sacrosanto chiedere queste risposte alla Scienza. Ma non è detto che le abbia sempre.
E comunque le risposte possono non essere univoche. Situazioni tanto complesse e inedite possono mettere in evidenza l’inadeguatezza degli strumenti che abbiamo a disposizione di fronte all’ignoto. Lo scienziato non è un mago o un sacerdote. La Scienza contemporanea ha certamente uno strumento in più, dato dalla multidisciplinarietà e dalla possibilità di confronto e – perché no? – anche di scontro. Il lavoro della data analysis è molto articolato: richiede una forte attenzione alle fonti, bisogna validarle e soprattutto cercare di capire quali informazioni si possano estrarre e utilizzare e soprattutto misurare l’incertezza.
Per esempio continuare ad insistere con Twitter come fonte di informazione, quando gli utenti sono ormai migrati altrove, non ha senso. I social media main stream sono ormai zone presidiate che mal si prestano alla diffusione di contenuti fasulli. Molto più facile muoversi in ambiente meno controllati come Gab o le App di messaggistica.
Insieme ai miei collaboratori ci siamo messi di buona lena per cercare di capire cosa fare per tirare fuori informazioni utili per affrontare la crisi indotta dalla pandemia. Ci siamo cimentati su 3 studi.
Il primo orientato a capire come il Covid-19 abbia cambiato la nostra dieta mediatica online; il secondo con l’idea di modellare la diffusione del virus per eventualmente simulare scenari per la riapertura e, con il terzo, abbiamo cercato di capire quali fossero i danni economici indotti dal blocco delle attività.
Epidemia, l’effetto dei social media
Studio 1: l’infodemia da Covid-19[1]. Abbiamo affrontato la diffusione di informazioni sul COVID-19 con una analisi massiva dei flussi di Twitter, Instagram, YouTube, Reddit e Gab. Analizzando il coinvolgimento e l’interesse per l’argomento COVID-19, abbiamo fornito una valutazione differenziale sull’evoluzione del discorso su scala globale per ciascuna piattaforma. Abbiamo caratterizzato la diffusione di informazioni da fonti discutibili, trovando che ciascuna piattaforma presenta volumi e intensità di disinformazione diverse.
Tuttavia, il modo in cui le informazioni si diffondono non è diverso per quelle provenienti da fonti affidabili da quelle provenienti da fonti discutibili. Infine, siamo riusciti a stimare il livello di amplificazione delle notizie inattendibili piattaforma per piattaforma.
La nostra analisi suggerisce che la diffusione delle informazioni è guidata dal paradigma di interazione imposto dai social media specifici e/o dai modelli di interazione specifici di gruppi di utenti coinvolti nell’argomento.
Riteniamo che la comprensione delle dinamiche sociali alla base del consumo di contenuti e dei social media sia un argomento importante, poiché potrebbe aiutare a progettare di più modelli epidemici efficienti che tengono conto del comportamento sociale e ne implementano di più strategie di comunicazione efficienti in tempo di crisi.
L’impatto del blocco sull’economia
Studio 2: impatto della mobilità sull’economia[2]. Facebook, attraverso l’iniziativa Data For Good ci ha messo a disposizione i dati di mobilità, che noi abbiamo collegato ad alcuni indicatori economici per cercare di capire quali sono le realtà più colpite dal “lockdown”. In risposta alla pandemia di COVID-19, molti governi nazionali hanno applicato restrizioni alla mobilità per ridurre il tasso di infezione.
Noi abbiamo effettuato un’analisi approfondita dei dati della mobilità italiana forniti da Facebook per studiare in che modo le strategie di blocco influenzino le condizioni economiche degli individui e dei governi locali. Per farlo, abbiamo modellato il cambiamento della mobilità come uno shock esogeno simile a un disastro naturale.
Emergono due modi in cui le restrizioni alla mobilità riguardano i cittadini italiani. Innanzitutto, scopriamo che l’impatto del blocco è più forte nei comuni con una maggiore capacità fiscale. In secondo luogo, troviamo un effetto di segregazione, poiché le restrizioni alla mobilità sono più forti nei comuni per i quali la disuguaglianza è più elevata e in cui le persone hanno un reddito pro capite inferiore.
Le implicazioni politiche dei nostri risultati suggeriscono la necessità di misure fiscali asimmetriche. In assenza di linee di intervento mirate, il blocco indurrebbe un ulteriore aumento della povertà e della disuguaglianza.
Fase 2: fattori geografici e sociali
Studio 3: l’importanza dei fattori geografici e sociali nelle exit-strategies[3] . Nonostante il Covid-19 abbia stimolato una vasta produzione di articoli scientifici, i dati sono spesso incompleti e la valutazione precisa di parametri che permetta di approntare modelli predittivi è ancora un problema.
In questo contesto, abbiamo deciso di concentrarci su alcune domande metodologiche generali: in che misura i parametri del modello possono variare pur adattando i dati sperimentali? Quali sono i fattori che influenzano la diffusione delle epidemie nelle regioni e nei paesi? Quali sono le determinanti delle epidemie all’interno di un paese? Gli interventi di quarantena precoce possono sopprimere la crescita di un’epidemia?
Partendo dai dati italiani per ricavare parametri realistici, abbiamo analizzato possibili scenari di ripresa tenendo conto sia del ruolo della mobilità che del ruolo dei contatti sociali.
In primo luogo abbiamo evidenziato come, sebbene la mobilità determini i ritardi osservati nell’inizio delle epidemie, essa non svolga un ruolo importante una volta che esse abbiano avuto inizio. Si tratta di un risultato importante e generale, che indica come, adottando specifiche misure abilitanti, si possa ricostruire gradualmente la rete di mobilità senza gravi impatti sull’evoluzione dell’epidemia. Potrebbe essere sicuro e appropriato rimuovere il blocco su base regionale, anziché eliminare le restrizioni in tutta Italia allo stesso tempo. In effetti, potrebbe essere irragionevole mantenere bloccate le regioni dove l’epidemia è iniziata prima; al contrario, regioni in cui l’epidemia è
iniziata con qualche ritardo potrebbe subire un forte contraccolpo se sottoposte a una rimozione prematura del blocco.
In secondo luogo, abbiamo mostrato come la struttura dei contatti sociali tra classi di età sia un fattore che, se non preso in considerazione, possa minare seriamente le previsioni dei modelli. Una exit strategy che consideri attentamente le interazioni tra le diverse fasce di età potrà mitigare fortemente i rischi di ripresa epidemica. Mostriamo che i giovani (0-19) e i vecchi (70+) sono le classi che interagiscono più intensamente. Di conseguenza, specifiche strategie di mitigazione su queste due classi può produrre un impatto significativo sui tassi di diffusione nel fase post-blocco. In effetti, i nostri risultati mostrano l’importanza della progettazione misure di distanziamento fisico specifiche per gli anziani e, inoltre, possono orientare le decisioni sulle limitazioni ai contatti sociali per i giovani. Nel complesso, il nostro i risultati forniscono una guida su come allentare alcune delle restrizioni alla mobilità
la popolazione attiva (20-69), mentre riduce la propagazione di contagio nella fase post-lockdown.
In terzo luogo, abbiamo capito in quali condizioni si possa verificare il malaugurato scenario in cui si debba periodicamente riprendere e rilasciare la quarantena, indicando quindi i parametri epidemiologici da tenere sotto controllo per evitare una tale sciagura.
In conclusione
In Italia, ci si muove troppo spesso in maniera frastagliata e, quindi, poco efficace. Il tutto risulta irrimediabilmente macchiato di un provincialismo nostrano in cui l’autorevolezza è frutto più del cicaleccio che dei meriti. La Scienza, quella vera, si fa a suon di articoli, di lotte accese e di aspri dibattiti all’interno della comunità scientifica internazionale: in un mondo globalizzato, gli orti locali hanno poco senso e fanno solo danni. Il nostro Paese, forse più di altri, si culla ancora in paradigmi vecchi e inadeguati che mal si rapportano con la realtà. C’è un gran bisogno di Scienza. Ci hanno provato per primi i giornalisti, a volte con successo, a volte (molto più spesso) no.
La pandemia ha messo a nudo tutte le criticità di un sistema che è difficile da svecchiare e da ripulire dal cicaleccio. Ci siamo cullati bellamente blastando persone online per quei 10 minuti di ilarità che sono poi costati tanto a tanti. Il costo è stato far passare in maniera scomposta un messaggio completamente errato e polarizzante, cioè che la Scienza sia univoca, monolitica e autoritaria.
Il messaggio distorto ha attecchito perché c’era e c’è una carenza di cultura scientifica che, unita ad una polarizzazione crescente, alimenta l’antagonismo tra élite e persone. Carenza di cultura scientifica enorme che permette a chiunque di parlare come esperto in qualunque talk show, confrontandosi con personaggi provenienti da tutt’altro ambiente, sfoggiando titoli che sarebbe quantomeno necessario verificare.
Il problema spesso è a monte, nell’incapacità di chi seleziona di valutare la serietà dell’interlocutore di turno, cedendo spesso alla tentazione di preferire personalità più inclini a frequentare parterre televisivi che laboratori di ricerca. Chiunque offre certezze inoppugnabili non offre un buon servizio alla Scienza. Perché la scienza si muove sul piano dell’incertezza e della complessità. Se la politica chiede certezze alla Scienza, sta allo scienziato spiegare esattamente i termini di quello che può dire e non può dire. In realtà, sappiamo che la matassa è complicata, il rumore è tanto e che ci si capisce poco.
I dati sono una chiave di lettura della complessità se posti in un paradigma appropriato. Parlare a sproposito di machine-learning e Intelligenza artificiale fa parte di quel manierismo provinciale di cui sopra.
Per ora è tutto. Stay Tuned
- https://arxiv.org/abs/2003.05004
- https://arxiv.org/abs/2004.05455
- https://arxiv.org/abs/2004.04608