Distributed Denial of Secrets[1] è una piattaforma che attenti osservatori come Jacob Silverman o Philip Di Salvo hanno definito negli ultimi mesi la “nuova Wikileaks”. È un comitato ristretto di attivisti che, dal 2018, si occupa di rendere fruibili immense quantità di dati ottenuti da insider, whistleblower, anche attraverso hackeraggi. I dilemmi etici sulla possibile illegalità della fonte sono superati dall’urgenza dell’interesse pubblico, primo criterio (insieme alla veridicità) che fa da stella polare alle attività del sodalizio anonimo. DDoSecrets non viola direttamente dataset privati, né incoraggia a farlo. Semplicemente rende pubblici dati già disponibili e collabora con giornalisti per favorirne la contestualizzazione. Occupa lo spazio vuoto tra fonte anonima e redazioni implementando di un livello la filiera dell’informazione digitale.
Cosa differenzia DDoSecrets da Wikileaks e dal datagate di Edward Snowden
Nel 2010 Wikileaks travolse il mondo dell’informazione facendosi interprete della disintermediazione contro la commistione tra giornalismo e comunicazione politica che intrecciava testate troppo aderenti agli input di sponsor politici o commerciali e governi ormai direttamente coinvolti nella creazione di contenuti per orientare il consenso, oltre ogni distinzione tra vero e falso. Quel clima di sfiducia nelle istituzioni apriva le porte alla forza purificatrice del web, senza gerarchie, senza riverenze, senza segreti. In Italia fu il “cablegate” a certificare l’impatto: migliaia di cablogrammi della diplomazia Usa furono riversati all’attenzione collettiva senza filtri, mostrando al popolo la nudità del re. Una procedura di azzeramento degli arcana imperii in nome di un principio radicale di trasparenza che intravedeva in qualunque opacità delle burocrazie l’indizio del torbido.
La mole di informazioni si mostrò subito ostica da interpretare, senza mediatori in grado di indirizzare la comprensione per aiutare il pubblico a cogliere l’intelligenza degli avvenimenti. Non è un caso se, tre anni dopo, Edward Snowden optò per un metodo opposto: rivelare al mondo i segreti dei programmi di sorveglianza della NSA attraverso la scrittura di un giornalista del Guardian, Glenn Greenwald, e le immagini di una quotata videomaker, Laura Poitras. L’impatto dell’opinione pubblica con il datagate fu guidato, assecondato, selezionato dall’esercizio attento di competenze professionali. Da allora, l’allarme dei whistleblower è sempre più stato accolto e sviluppato da gruppi di attivisti interessati a non disperdere la forza delle rivelazioni canalizzandole in contenuti giornalistici, evidentemente non da abolire ma da aggiornare, inserendo nell’orizzonte professionale anche la capacità di ottenere, pubblicare e capire un dataset per offrirne all’opinione pubblica i contenuti rilevanti.
DDoSecrets: conoscere la verità, cascasse il cielo e perisca il mondo
Il gruppo ha raggiunto la notorietà grazie a divulgazioni sensibili come #29 Leaks (email e telefonate a testimoniare le presunte frodi di un’agenza di costituzione di società a Londra) o BlueLeaks (email, report e bollettini prodotti dal ‘96 al 2020 da oltre 200 centrali di polizia negli Stati Uniti). L’anno scorso ha anche esposto i piani del governo russo in Ucraina e mappato i rapporti commerciali della giunta birmana. Queste rivelazioni hanno respo DDoSecrets una fonte affidabile per i giornalisti, ma anche un cliente scomodo: il caso BlueLeaks, ad esempio, ha portato la piattaforma ad essere bannata da Twitter, condizione che perdura nel 2023.
La piattaforma presenta un modus operandi ispirato ad un solido apparato valoriale basato sulla decentralizzazione per rimettere, però, al centro della diffusione il filtro esperto della ricerca scientifica e dell’inchiesta. Gli attivisti, di estrazione anarchica (dichiarata sul sito da 3 membri su 8 del direttivo) affermano che i dati sono una risorsa e una traccia ma, da soli, non sono in grado di raccontare l’intera storia. Occorre confidare nella responsabilità dei lettori, mai instradati verso un’interpretazione ma aiutati ad accedere ad un’analisi più rigorosa. “Con abbastanza tempo e dati, la verità può sempre emergere. Veritatem cognoscere ruat cælum et pereat mundu”.
Conoscere la verità, cascasse il cielo e perisca il mondo. Il motto latino non lascia spazio a dubbi. Il cittadino ideale a cui si rivolge DDoSecrets è adulto e autonomo, in cerca di emancipazione da qualunque apparato collettivo in grado di trattenerlo in stato di minorità. Nella visione degli attivisti, la “verità” esiste ed è raggiungibile smantellando, senza chiedere il permesso, la coltre di segreto funzionale alla proliferazione di poteri corrotti. La piattaforma assegna all’utente il compito di ricavare in solitudine il significato dall’informazione, mettendolo però in condizione di accedervi in maniera ordinata. “In qualità di collettivo per la trasparenza – assicurano in home page – non sosteniamo alcuna causa, idea o messaggio oltre a garantire che le informazioni siano disponibili per coloro che ne hanno più bisogno: le persone”. Nelle faq è specificato che alcuni membri del collettivo possono avere opinioni sul materiale diffuso ma senza cambiare la posizione neutrale del collettivo.
Una lettura dei dati senza ideologie
DDoSecrets rinuncia, quindi, ad offrire al lettore una chiave di lettura “ideologica” dei terabyte resi accessibili. Evita di prendere posizione sull’asse tradizionale destra-sinistra per rifugiarsi nell’antiautoritarismo che legge la tecnologia digitale come opportunità di condivisione, destrutturazione e sovversione. Nel concreto della pratica quotidiana, però, la piattaforma opera il suo atto più rivoluzionario nell’atto apparentemente opposto di “ricreare” un’élite, superando la cultura orizzontale della rete con la riaffermazione del primato dell’expertise. DDoSecrets rivendica l’etichetta, in anni precedenti disprezzata, di “giornalismo” perché in effetti ricostruisce una struttura di selezione, gerarchizzazione e trattamento delle informazioni. Il gruppo seleziona i dataset da pubblicare (ad esempio per i dati ottenuti da ransomware, evita tassativamente servizi sociali o ospedalieri); in casi spinosi, ad esempio i dati provenienti dal sito d’incontri Ashley Madison diffusi nel 2015, filtra l’accesso a ricercatori o colleghi con progetti chiari e non semplici curiosità, che sappiano estrarre dai dati la notizia evitando danni collaterali alla privacy dei singoli; ogni leak è presentato in una pagina che offre metadati e rassegna stampa; ogni novità è annunciata attraverso una newsletter che racconta la storia nascosta dietro la release.
“I dati sono già pubblici – si legge sul sito – o lo sarebbero/potrebbero esserlo a prescindere se fossimo qui, allora riteniamo che sia meglio che un fornitore stabile e affidabile sia il modo migliore per garantire che il materiale sia adeguatamente esaminato”. Stabilità e affidabilità sono le caratteristiche di un’istituzione, un contenitore collettivo che assolve ad un’esigenza sociale e permette di raggiungere obiettivi non alla portata delle esili risorse cognitive e temporali degli individui. In questo caso, il giornalismo è “re-intermediato” nell’ecosistema digitale riducendo il rischio di dispersione e disinformazione. Solo in questa forma, esso riesce a farsi strumento di un compito storico rilevante: erodere quella asimmetria di conoscenza sulla datificazione che fa della digitalizzazione un volano per la concentrazione di ricchezze e potere. La collaborazione guidata dalla competenza come strumento per democratizzare il digitale, oltre ogni illusione di salvezza individuale.
Note
- Il nome è ispirato all’attacco informatico “Distributed Denial of Service” (Ddos), in italiano “attacco distribuito di negazione del servizio”. Nel corso di un attacco Ddos, un traffico di dati anomalo in entrata da fonti diverse inonda la vittima, fino a non renderla più in grado di offrire il servizio. ↑