La conversione in legge del “Decreto crescita” rappresenta un importante passo avanti, anche se la sua progressiva trasformazione in una “legge omnibus” (o nel caso specifico in un decreto “salva tutto) richiederà ancora un tortuoso percorso normativo di attuazione: una prospettiva non proprio ideale alla luce della situazione del nostro paese e delle sfide all’orizzonte.
Molteplici sono gli strumenti a disposizione del Parlamento e del Governo per operare efficacemente in direzione dell’attuazione: dalla legge ordinaria ai decreti legislativi, oltre che – come in questo caso – i decreti legge. Il punto è che per rendere tali strumenti funzionali a un adeguato percorso di riforme occorre prima di tutto utilizzarli in maniera mirata e, last but not least, accompagnarli con l’ascolto dei diversi attori che, in virtù di una conclamata esperienza maturata sul campo, possono fornire utili indicazioni per una loro più efficace implementazione.
Pensiamo, ad esempio, alle criticità in materia di voucher per le consulenze di innovazione per le PMI o anche alle criticità della flat tax.
Decreto crescita o decreto salva tutti?
Anzitutto, come abbiamo già evidenziato, occorre osservare come nel suo iter parlamentare il decreto Crescita si sia progressivamente trasformato, come accade a molti atti legislativi nel nostro paese, in una vera e propria “legge omnibus”, in questo caso specifico un provvedimento “salva tutto”.
Dal soccorso a Roma Capitale per la copertura di parte del suo debito (al quale si aggiungono altri aiuti ad Alessandria, Catania e ai comuni della provincia di Campobasso) alla proroga del prestito ponte ad Alitalia (che avrebbe dovuto scadere il 30 giugno), dall’estensione ai fornitori di Mercatone Uno (professionisti compresi) del fondo per il credito alle aziende vittima di mancati pagamenti alle agevolazioni fiscali per la Banca Popolare di Bari e alla corsia privilegiata per i rimborsi ai risparmiatori truffati (con perdite al di sotto dei 50 mila euro), fino alla costituzione di un fondo salva opere per garantire un più rapido completamento delle opere pubbliche tutelando al tempo stesso lavoratori e imprese di sub-appalto.
È vero che oggetto del decreto non erano solo le misure urgenti per la crescita, ma anche i provvedimenti per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi. Tuttavia sarebbe stato meglio se si fosse evitato di trasformare il “Decreto crescita” in una legge omnibus.
Uno scenario critico all’orizzonte
È dunque ancora lontano, nonostante la manifesta intenzione del governo di rappresentare il cambiamento, l’approdo a un’azione di riforma incardinata su pacchetti legislativi omogenei per contenuti e condivisi per obiettivi di policy. Lo scenario che abbiamo di fronte è molto critico, condizionato com’è da vincoli di compatibilità sempre più stringenti dal punto di vista economico e finanziario, che influenzeranno in maniera decisiva il giudizio dei mercati internazionali sulla prossima Legge di Bilancio.
E tale scenario imporrebbe all’attuale maggioranza di governo una solida e comune strategia sul da farsi per il bene del paese. Secondo una prospettiva che forse un “contratto di governo” stipulato nell’esclusiva logica del mutuo vantaggio, dove ciascuno bada soltanto alle proprie priorità senza farsi carico di quelle dell’altro, non è sufficiente a garantire.
Gli aspetti positivi del decreto
Al di là di queste considerazioni, la conversione in legge del “Decreto crescita” presenta comunque alcuni aspetti positivi. In primo luogo, rispetto ai due pilastri di cui si compone il provvedimento sul fronte della crescita economica, cioè le misure fiscali e le agevolazioni per le imprese, interventi quali la diminuzione progressiva dell’IRES (fino a raggiungere il 20% nel 2022), il taglio da 600 milioni delle tariffe INAIL, la progressiva deducibilità dell’IMU per gli immobili strumentali delle imprese (fino alla totale deducibilità prevista per il 2023), il ritorno del super-ammortamento e l’esenzione TASI per i fabbricati destinati alla vendita dalle imprese di costruzione sono volti a sostenere – in vario modo – una ripresa delle attività produttive. Anche se non si può fare a meno di osservare come la loro attuazione a regime sia prevista soltanto nel corso dei prossimi tre o quattro anni. E ciò inevitabilmente contribuisce a ridurne l’efficacia in termini di impatto quanto meno nell’immediato.
In secondo luogo, sempre in tema di tassazione, considerando che l’iter parlamentare ha anche permesso di riassorbire nel testo definitivo i provvedimenti che in precedenza erano stati inseriti nella proposta di legge sulla semplificazione fiscale, si segnala la proroga di alcune scadenze quali quelle inerenti la consegna dei modelli dei redditi di impresa, i versamenti ISA, le dichiarazioni IMU-TASI, oltre che l’invio telematico dei corrispettivi giornalieri degli esercizi commerciali all’Agenzia delle entrate e l’incremento dei tempi di invio al sistema di interscambio della fattura elettronica.
Un restyling del calendario fiscale delle imprese
Misure che contribuiscono a un sostanziale restyling del calendario fiscale delle imprese, anche se ben poco cambiano in termini di semplificazione dal punto di vista procedurale e amministrativo. In tal senso, il decreto non interviene per rendere più facile la vita a professionisti e imprese, ma si accontenta di allungare i tempi di consegna della documentazione. Del resto, la semplificazione dei procedimenti richiede un’attenta analisi dei processi decisionali, che non può ridursi soltanto a riconsiderare le scadenze dei vari adempimenti, poiché necessita anche dell’ascolto dei vari soggetti professionali quotidianamente impegnati nell’attività di intermediazione fra la Pubblica amministrazione, i cittadini e le imprese.
Detto per inciso, già nel corso dell’audizione sulla semplificazione fiscale alla quale come Unappa abbiamo recentemente partecipato abbiamo espresso le nostre perplessità su un provvedimento come la flat tax, che rischia di danneggiare il sistema delle professioni, favorendo una forma di “nanismo imprenditoriale, quando non addirittura una sorta di “guerra fra poveri”. Pareri che noi, come altre organizzazioni di rappresentanza, abbiamo anche riformulato in emendamenti, a loro volta rimasti però lettera morta.
Voucher per le consulenze in innovazione, le lacune da colmare
Un ulteriore esempio delle difficoltà che continuiamo a incontrare nel rapporto con le istituzioni è fornito, proprio in questi giorni, dal decreto del MISE in attuazione delle disposizioni finalizzate ad agevolare l’acquisizione di consulenze manageriali nei processi di trasformazione tecnologica e digitale delle PMI e delle reti di imprese previsti all’articolo 1 della Legge di bilancio 2019. Tale provvedimento, che ha lo scopo di regolare i voucher per le consulenze in innovazione, prevede l’istituzione di un Registro che potrà includere vari tipi di professionisti, sebbene – in assenza di una precisa indicazione – non sia chiaro se saranno o meno contemplati anche quelli già iscritti nel Registro afferente la Legge n.4/2013 sulle professioni non ordinamentali. Una lacuna che auspichiamo venga quanto prima colmata, per evitare problemi a quei professionisti che, svolgendo da tempo un’attività come quella contemplata dal nuovo decreto, vorranno legittimamente fruire delle opportunità legate all’introduzione dei voucher. E anche in questo caso, come in altri, non vorremmo che la mancanza di ascolto finisca col condizionare negativamente un’efficace implementazione delle nuove disposizioni.
Il nodo delle norme attuative
Tornando al “Decreto crescita”, occorre considerare un ultimo aspetto, senza il quale ogni valutazione non potrebbe ritenersi esauriente. Al fine di rendere pienamente efficaci l’insieme delle disposizioni previste da questo testo di legge – almeno rispetto a ciò che attiene l’impianto dei provvedimenti inerenti la crescita – saranno necessarie una quarantina circa di norme attuative, tra decreti ministeriali e altri atti a carico delle diverse amministrazioni pubbliche direttamente o indirettamente coinvolte nella gestione delle nuove misure. Non solo per quel che riguarda provvedimenti quali il cosiddetto ecobonus o alcune regole tecniche inerenti la fatturazione elettronica, oppure l’istituzione dei marchi storici, ma anche rispetto all’attuazione delle misure relative all’IRES e il pacchetto di incentivi alle imprese, che a loro volta necessitano di un nutrito pacchetto di norme attuative. Ciò che inevitabilmente getta una luce negativa sulla possibile implementazione efficace del “Decreto crescita” nel medio-lungo termine, rendendo i suoi effetti meno certi di quanto auspicato dall’intenzione del legislatore.