l'approfondimento

Deep tech, cosa sono e perché sono un’occasione unica per le aziende italiane

L’onda che sta generando il deep tech può essere la svolta vincente per la ripresa del Paese: le opportunità sono straordinarie e se le imprese italiane saranno in grado di sviluppare efficaci modelli di business per sfruttarne le potenzialità, potrebbero diventare da riferimento del panorama dell’innovazione. Cosa serve

Pubblicato il 13 Gen 2023

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR

deep tech

C’è un fenomeno che si sta facendo strada, da cui dipende già oggi la capacità di crescita e progresso dei Paesi industrializzati: è quello delle deep technology (o deep tech). Settori come lo spazio, le biotecnologie, la robotica, i computer quantistici, i semiconduttori e lo sviluppo di materiali avanzati, stanno avendo un’esplosione, tanto ampia quanto profonda, da risultare un’opportunità imperdibile per le imprese italiane. Dopo l’avvento di Internet, che ha dato vita all’economia digitale e che ha fatto la fortuna di giovani imprenditori partiti dai garage, oggi il deep tech ha tutte le caratteristiche per diventare la nuova onda d’innovazione. Un’onda da cavalcare per le nostre imprese, data la vocazione manifatturiera del nostro sistema produttivo.

Deep Tech, l'innovazione per un futuro sostenibile – Sky TG24

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Capitali disponibili, un basso livello di ricerca e sviluppo, la necessità di coinvolgere nei progetti le piccole imprese e le startup deep tech, le difficoltà di trovare persone qualificate e un’infrastruttura di politica industriale che solo il PNRR può risvegliare, restano le sfide che si affacciano all’orizzonte. Ma ciò che l’Italia ha dimostrato in quest’ultimo biennio, confermato dalle recenti previsioni dell’ISTAT, di un andamento favorevole degli investimenti in tecnologie digitali 4.0, che stanno facendo da traino per l’intera economia, è che non si tratta di una missione impossibile.

Questo è il momento di costruire una politica industriale d’avanguardia intorno alle eccellenze che abbiamo e di continuare a investire e puntare sul digitale. L’imprenditoria italiana sta vivendo un momento molto interessante. L’approccio all’innovazione deep tech offre delle opportunità straordinarie e se le imprese italiane, in alcuni campi di applicazione, saranno in grado di sviluppare efficaci modelli di business per sfruttarne le potenzialità, potrebbero diventare da riferimento del panorama dell’innovazione.

L’onda lunga della deep techonology

In un articolo di Carlo Bagnoli e Massimo Portincaso, si può leggere che il deep tech non è una nuova tecnologia, ma un nuovo approccio all’innovazione aziendale. Per questo il deep tech impone di cambiare la struttura dell’ecosistema di innovazione che conosciamo, composto solo da poche startup e fondi di venture capital: “a causa della complessità delle sfide che si trova ad affrontare e del profondo background scientifico necessario per vincerle, un’impresa deep tech è impossibile da sviluppare per due persone isolate in un garage di casa. È necessario aggiungere molti altri partecipanti, partendo dai centri di ricerca e dai Governi”.

VeniSIA: perché il future farming può rilanciare Venezia

Se l’onda d’innovazione generata da internet ha metaforicamente travolto le imprese italiane che, ancora oggi, solo in poche risultano digitalmente “mature”, l’onda che sta generando il deep tech può essere, invece, la svolta vincente per la ripresa del Paese, data la vocazione manifatturiera del nostro sistema produttivo.

Sono le attività manifatturiere, infatti, le fabbriche del Pil, quelle che hanno dato un contributo decisivo alla crescita del 6,7% che l’economia nazionale ha ottenuto nel 2021 e che lo stanno dando anche quest’anno. A testimonianza di quanto sia diventata strutturale la crescita della nostra manifattura. Cicli di investimenti e di innovazione che durano ormai da anni e che stanno cambiando la struttura di fondo dell’industria. L’innovazione è più distribuita su tutte le imprese di una filiera, permettendo di acquisire competenze e di strutturarsi. In prospettiva, con la necessità di governare i grandi flussi di dati e con la diffusione più ampia delle tecnologie digitali, accanto agli investimenti cospicui, che solo lo Stato o le aziende più grandi possono permettersi, sarà necessario l’apporto di quelle Pmi e startup industriali capaci di intrecciare relazioni produttive. Un fenomeno nuovo che merita l’attenzione del Governo, che ha già mostrato un certo interesse per chi produce reddito e lavoro.

L’approccio vincente della deep technology

Per comprendere meglio il metodo che applica il deep tech, può essere d’aiuto leggere lo storico Yuval Noah Harari, autore fra gi altri di Sapiens e Homo Deus, che durante il suo intervento al Nordic Business Forum 2022 di Helsinki, tenutosi a fine settembre, è tornato a ricordare che la chiave per la sopravvivenza degli individui nel futuro non è lo specializzarsi in una singola materia, iniziando dall’informatica, quanto acquisire l’abilità di mantenere una mentalità duttile, capace di apprendere e usare discipline diverse per risolvere problemi complessi.

L’approccio deep tech si fonda proprio sulla convergenza tra diversi ambiti disciplinari (scienza avanzata e ingegneria, ma anche design) e tra diversi cluster tecnologici (computazione e cognizione, sensoristica e movimentazione, materia ed energia), allargando il focus dal mondo digitale (solo bit) a quello fisico (IA e scienze comportamentali e neuronali, IoT e robotica, nanotecnologie e biologia sintetica). L’approccio deep tech, inoltre, è guidato da un problema e non da una tecnologia. Ciò porta a cercare non il miglior use case per applicare una nuova tecnologia, ma la migliore tecnologia, nuova o esistente, per risolvere un “vecchio” problema. Risulta così molto più efficace per raggiungere gli SDG definiti dall’ONU e il New Green Deal approvato dalla UE. Anche alla luce dei fondi messi a disposizione dal Next Generation EU, il deep tech risulta un’opportunità imperdibile per le imprese italiane al fine di agganciarsi in corsa al treno dell’innovazione per la sostenibilità.

Il nuovo Horizon Europe

Una spinta forte arriva proprio dall’Europa. Non a caso, il nuovo Horizon Europe, programma quadro dell’Unione europea per la ricerca e l’innovazione per il periodo 2021-2027, ha raggiunto la cifra record di 95,6 miliardi di euro di budget, diventando per la prima volta il più vasto programma transnazionale di investimenti in ricerca e innovazione al mondo. L’Europa delle deep technology start up, che fanno dell’innovazione e dell’ingegneria ad alto contenuto tecnologico il loro modello di business, si sta dunque organizzando per cercare di competere con gli altri poli all’avanguardia nel pianeta. A tal punto che secondo la Commissaria europea per l’innovazione e la ricerca, Mariya Gabriel, volata in Silicon Vally per visitare il più famoso distretto tecnologico americano, “quando si parla di deep tech innovation, l’Europa è già davanti agli Stati Uniti”.

I settori di punta della deep techonology italiana

Quali tecnologie sono considerate deep? In realtà nessuna, la domanda è mal posta poiché non esiste una tecnologia deep, bensì un approccio alimentato dal ciclo design-build-test-learn (DBTL). Un approccio che mette al centro del processo di innovazione la fase di progettazione, in cui viene creato gran parte del valore, e che funge da ponte tra il problema da affrontare e la scienza e le tecnologie da mettere in atto per la sua soluzione. Clayton Christensen, economista che ha sviluppato la teoria della tecnologia dirompente, ha osservato che poche tecnologie sono di effettivo sostegno; piuttosto il modello di business adottato o costruito attraverso la tecnologia è dirompente.

Il deep tech sta aprendo la strada ad alcune aree di ricerca e percorsi rivoluzionari che offrono interessanti opportunità di sviluppo di deep tech nel nostro Paese: economia dello spazio, calcolo computazionale e fisica quantistica, biotecnologie, energie rinnovabile, chip, idrogeno verde e fotonica. Su tutti questi fronti l’Italia è già protagonista, ma ci sono almeno tre settori dove il nostro Paese può ambire a essere leader e avere una posizione di preminenza e guida.

Future Computing

Il mese scorso abbiamo assistito all’inaugurazione del supercomputer di Leonardo a Bologna, il quarto calcolatore più potente e veloce al mondo. Quest’ultimo arrivato in casa CINECA va ad affiancare “Lumi”, il supercomputer finlandese più veloce d’Europa (terzo nel mondo). Con due premi Nobel su tre nella fisica quantistica, con questa rete di super calcolatori quantistici, con la rete satellitare appena avviata, l’Europa si candida a diventare il punto di sviluppo più avanzato nel mondo per le tecnologie del calcolo.

L’esempio di Leonardo diventa un caso emblematico, perché si è riusciti a coniugare l’investimento privato in cooperazione con fondi pubblici, affidando la gestione a una struttura scientifica pubblica come CINECA. Un effetto rete vincente destinato a diventare un fenomenale moltiplicatore di innovazione, che può sfruttare quel laboratorio straordinario di fusione tra scelte industriali e scientifiche che è il segreto della Bologna Valley dove domina il gioco di squadra.

Inoltre, con i fondi del PNRR (circa 320 milioni) si è riusciti a realizzare il Centro Nazionale per il Calcolo ad alte prestazioni, Big Data e calcolo quantistico, che aggregherà 52 centri di eccellenza italiani e si collegherà alla rete europea formando un ecosistema della conoscenza unico al mondo. L’applicazione delle tecnologie quantistiche aiuterà una varietà di industrie e discipline, tra cui finanza, energia, chimica, scienza dei materiali ottimizzazione e apprendimento automatico e altri ancora. Un ecosistema di innovazione, tra i più avanzati del PNRR, dove l’Italia si ritroverà all’avanguardia nei prossimi anni.

Space Economy

Cresce l’economia dello spazio made in Italy, sistema che tiene insieme imprese e ricerca, pubblico e privato, con un valore globale che solo nel 2021, secondo la Satellite Industry Association, ha raggiunto nel mondo un valore di 386 milioni di dollari (+4% sul 2020) e alcune stime indicano a quota mille miliardi al 2040. In questo contesto si inserisce il nostro Paese, quinto al mondo per brevetti depositati, dietro alla Cina e davanti alla Russia; settimo per investimenti pubblici in percentuale sul Pil; quarto per il commercio di tecnologie spaziali.

L’istantanea è stata scattata da Serena Fumagalli, in occasione della decima edizione del Galileo Festival di Padova, che ha illustrato i numeri del settore: “emerge – ha dichiarato – una specializzazione del nostro Paese nella manifattura spaziale, una filiera che conta 286 imprese giovani, nate dopo il 2000 e di piccole dimensioni, con fatturati sotto i due milioni”. Aziende piccole ma iper specializzate: si va dalla progettazione software alla rielaborazione di dati satellitari passando per la produzione di componenti per veicoli spaziali e per le telecomunicazioni via satellite.

Per mettere insieme tutte queste eccellenze e intercettare finanziamenti, il PNRR mette a disposizione 1 miliardo di euro sull’osservazione della terra. Siamo l’unico Paese ad avere un progetto istituzionale di questo tipo, che ci porterà ai primi posti a livello mondiale nell’economia spaziale. L’attenzione allo spazio nel PNRR, così come la nomina di Milano per l’organizzazione del Congresso astronautico internazionale nel 2024, confermano la consapevolezza nei decisori politici della strategicità della filiera.

Future Farming

Il Future Farming è un nuovo dominio al confine tra le discipline (scienze della vita, chimica, ingegneria, informatica e design) che intercetta due trend emergenti: Nature Co-Design e Controlled Environment Agriculture. È perciò possibile passare da un modello economico puramente “estrattivo”, a un modello definibile “generativo” in quanto i prodotti vengono generati atomo per atomo. Le forme di vita vengono allevate in modo sostenibile all’interno di ambienti controllati per raggiungere scopi specifici: diventare cibo, biomolecole, biofarmaci, biomateriali. Data la vocazione manifatturiera del sistema produttivo italiano, anche il Future Farming rappresenta un’opportunità imperdibile per le imprese italiane al fine di assumere la leadership a livello globale nel campo dell’innovazione per la sostenibilità.

Un esempio concreto è il progetto VeniSIA Future Farming che rappresenta la nuova frontiera delle tecniche di coltivazione. Un progetto che ambisce a realizzare la prima biofonderia applicativa europea basata su programmi commerciali e industriali, sviluppando laboratori di ricerca per creare opportunità di business lungo tutte le fasi connesse alla coltivazione di diverse forme di vita (virus, batteri, alghe, funghi, piante, insetti): dalla loro modellazione, passando per la messa a punto dell’ambiente di coltivazione, per arrivare alla lavorazione della materia prima. Finora il progetto ho permesso di raccogliere migliaia di idee sul tema della sostenibilità, provenienti da diversi Paesi del mondo, dimostrando che il modello di Venezia è capace di ispirare innovazioni e di ricoprire un ruolo primario per vincere la sfida del cambiamento climatico.

Intelligenza Artificiale e Iperautomazione

Anche in Italia, nel settore dell’intelligenza artificiale, iniziano ad affacciarsi realtà imprenditoriali che basano il loro business su strumenti di alta tecnologia. Un ecosistema in cui sta emergendo l’applicazione dell’intelligenza artificiale per l’estrazione di dati e conoscenze da documenti complessi, non progettati per la lettura da parte di un computer (ad esempio come bilanci e rendiconti finanziari) e nell’automazione di processi aziendali che richiedono capacità di comprensione avanzate, simili a quelle umane. In questa prospettiva, si sta facendo strada l’iperautomazione, identificata dalla società Gartner come una delle tendenze strategiche chiave nel settore IT nei prossimi anni.

Sebbene nel PNRR sembri mancare una chiara strategia di come l’Italia intenda sfruttare le potenzialità dell’intelligenza artificiale, la ricerca dal titolo L’Italia tra digitalizzazione e intelligenza artificiale. Il ruolo del PNRR nel costruire l’Italia del futuro, pubblicata da Rome Business School, ne evidenzia il contrasto dato dall’essere oggi il Paese tra i primi a livello internazionale per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

In un rapporto del 2020 della Brookings Institution si evidenzia che l’Italia ha il piano di sviluppo dell’IA più completo al mondo. Attualmente, le università italiane offrono più di 200 curricula in IA distribuiti e non solo, l’Italia nel 2021 ha lanciato uno dei più grandi e ambiziosi dottorati in intelligenza artificiale a livello mondiale chiamato “Dottorato Nazionale in Intelligenza Artificiale”. Inoltre, ospita diverse infrastrutture di ricerca di alto livello, è uno dei membri fondatori della Global Partnership on Artificial Intelligence (GPAI) e i ricercatori italiani partecipano a tutte le principali reti di ricerca internazionali sull’IA, comprese le reti UE più prestigiose, come CLAIRE ed ELLIS.

Dal punto di vista dell’ecosistema imprenditoriale, il futuro è promettente: l’Italia registra un numero crescente di startup con competenze IA. Esistono oltre 110 spin-off universitari o startup collegate a centri di ricerca nel 2020 e, secondo una ricerca condotta dalla School of Management del MIP, il 53% delle imprese medio-grandi italiane dichiaravano di aver avviato almeno un progetto di IA.

Le sfide da affrontare per il futuro

Persistono, tuttavia, quattro sfide fondamentali affinché l’approccio all’innovazione deep tech possa esprimere tutto il suo potenziale: la difficoltà a farsi finanziare; la necessità di re-immaginare gli ecosistemi dell’innovazione; la difficoltà di avere personale qualificato; la necessità di spingere più in là i confini della scienza

La difficoltà a farsi finanziare

Nonostante l’enorme potenziale dell’approccio all’innovazione aziendale deep tech, esso è di fatto ostacolato dall’attuale modello di venture capital che tende a dirigere la sua attenzione soprattutto a progetti nell’ambito dell’IA o, al più, nell’ambito delle scienze della vita. Nel caso dei progetti deep tech è quindi ancora più difficile passare dalla sperimentazione in laboratorio, sovvenzionata attraverso fondi pubblici, alla produzione industriale, che deve essere necessariamente finanziata da fondi privati.

Un esempio di come si potrebbe superare l’ostacolo è il Fondo nazionale per l’innovazione (Cdp Venture Capital), con 5,3 miliardi in gestione, che ha già investito 960 milioni in forma diretta in oltre 300 startup innovative in portafoglio, e in forma indiretta in 22 Fondi di venture capital, 18 acceleratori di nuove generazioni e 5 poli di tech transfer in filiera con i Centri nazionali.

La necessità di re-immaginare gli ecosistemi dell’innovazione

Le imprese deep tech spesso fanno difficoltà a cogliere le opportunità di business. La sfida di re-immaginare i modelli di business e l’innovazione va vista come cambiamento dei modelli economici, incentrandoli su durabilità e forti competenze scientifiche e tecnologiche. Occorre fare rete a ampliare la platea dei soggetti anche alle Pmi, formando alleanze di organizzazioni pubbliche e private, rappresentanti dell’industria, fornitori di servizi. Da questo punto di vista le iniziative avviate con il PNRR (Partenariati estesi ed Ecosistemi innovativi) rappresentano un’opportunità per fare sistema e ampliare la platea dei soggetti.

Altrettanto fondamentale è l’intervento dello Stato, che deve essere in grado di creare le condizioni per quella infrastruttura di politica industriale e della ricerca che è la forza dei nostri partner europei e che alle nostre Pmi serve come il pane. Questa sfida richiede la creazione di ecosistemi per l’innovazione più fluidi e dinamici e di nuovi programmi di accelerazione che possano valorizzare le qualità degli attori coinvolti apportando, al contempo, benefici per tutto l’ecosistema in cui questi sono inseriti.

La difficoltà di avere personale qualificato

Il 2023 sarà l’anno europeo delle competenze. In linea con la Nuova Agenda Europea per l’innovazione della Commissione europea, è stato annunciato Deep tech Talent Initiative, il nuovo programma pionieristico lanciato da EIT – L’Istituto europeo di innovazione e tecnologia che prevede la formazione di un milione di persone nei settori europei del deep tech nei prossimi tre anni. Il programma vedrà mobilitata la comunità EIT e i suoi partner per garantire lo sviluppo e l’implementazione dei programmi migliori e più efficaci nel settore del deep tech, con EIT Manufacturing EIT Manufacturing – European manufacturers together a capo del coordinamento.

La mancata corrispondenza formativa e delle competenze, tra domanda e offerta di lavoro, è uno dei grandi temi legati all’accesso nel mercato del lavoro e più in generale alla competitività delle imprese e dell’intero sistema Paese. Quello delle competenze, infatti, ha un impatto determinante per le imprese. Non solo per la ricerca di giovani ad alto potenziale, linfa vitale per affrontare le sfide future, ma parallelamente, per la capacità di attivare un processo di ampliamento delle conoscenze interne alle aziende.

Purtroppo la misura di finanziamento straordinario attivata nel quadro del PNRR, disegnata per attrarre nel sistema della ricerca italiano giovani ricercatori con profilo di eccellenza, non ha prodotto finora i risultati sperati. Con pochi talenti e ricercatori a disposizione, il rischio potrebbe essere quello di non riuscire a implementare completamente i progetti del Piano. Un rischio che avrebbe una conseguenza peggiore, quella di non riuscire a passare dallo 0,5% allo 0,75% di risorse sul Pil da destinare a ricerca e innovazione in maniera stabile grazie agli investimenti del PNRR.

La necessità di spingere più in là i confini della scienza

Sebbene la scienza abbia compiuto enormi progressi in molti campi, ci sono ancora molte aree in cui si sta iniziando solo adesso a capire cosa sia possibile realizzare. I Governi, le università e le startup devono lavorare assieme per accelerare il progresso scientifico, mentre le imprese consolidate e gli investitori devono imparare a dialogare con loro. È una sfida che richiede di riflettere adeguatamente anche sugli aspetti etici e, dunque, sull’impatto del deep tech sulla società, lavorando per rendere coerente la velocità con cui si manifestano i progressi scientifici e tecnologici con quella che caratterizza la loro accettazione.

Conclusioni

Affinché gli ecosistemi per l’innovazione deep tech risultino contesti vincenti, è necessario che tutti i partecipanti abbiano una visione condivisa e abbiano una prospettiva chiara di ciò che apportano all’ecosistema e dei vantaggi che questo è in grado di garantire loro.

Occorre saper sfruttare il potere dell’ecosistema e, allo stesso tempo, riconoscere che gli ecosistemi per l’innovazione deep tech richiedono regole di impegno diverse dagli altri. È necessario, in primis, un cambio culturale sia nelle imprese, consolidate e startup, che nel mondo accademico, per favorire la collaborazione e l’interdisciplinarietà.

Se con il PNRR riuscissimo a fare rete anche nel mondo atomizzato delle Pmi e a inserirci nei programmi mirati alla creazione della forza lavoro qualificata per sfruttare correttamente questi nuovi strumenti, avremo tutte le carte in regole per sorprendere noi stessi e tutti i partener europei che già ci guardano con ammirazione e stupore.

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