Open Source o Proprietario

DeepSeek: non è guerra Usa-Cina, è libertà contro controllo



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La startup cinese DeepSeek sfida i giganti tech con un approccio open source all’AI. Non una competizione tra nazioni, ma tra filosofie: sistemi aperti contro proprietari, con implicazioni profonde per il futuro dell’innovazione tecnologica

Pubblicato il 30 gen 2025

Luigi Mansani

Professore di diritto della proprietà intellettuale nell'Università di Parma Partner di Hogan Lovells Studio Legale



deepseek

Tutti parlano di DeepSeek: di quanto funziona bene, di quanto è costato poco, di come riesce a utilizzare chip meno potenti e di come consumi poca energia. E di fronte alle reazioni dei mercati, che hanno portato a brusche flessioni (peraltro subito ridimensionate) del valore dei titoli delle società tecnologiche che più apparivano attrezzate per il futuro dell’intelligenza artificiale, il commento più diffuso è stato: nella battaglia per la supremazia tecnologica gli Stati Uniti stanno cedendo il passo alla Cina.

Non un confronto tra paesi ma sistemi open source e sistemi proprietari

Come però ha riportato Paolo Ottolina in un suo articolo su Login, c’è chi ha inquadrato la questione in una prospettiva diversa. Yann LeCun, AI Chief Scientist di Meta, ha osservato che il confronto non va fatto fra Paesi, ma fra sistemi open source e sistemi proprietari.

DeepSeek ha infatti reso i suoi algoritmi accessibili a tutti, così che chiunque possa utilizzarli, migliorarli e condividere le innovazioni apportate in una comunità aperta. Mentre molte delle società che hanno creato innovazione nei sistemi di AI, soprattutto negli Stati Uniti, hanno sviluppato sistemi proprietari, protetti nei limiti del possibile da brevetti o altri diritti di proprietà intellettuale, attirando investitori per i profitti attesi dallo sfruttamento in esclusiva dei risultati delle loro ricerche. E, sia al di qua che al di là dell’Oceano, quelle società hanno invocato e spesso ottenuto consistenti finanziamenti pubblici per le loro ricerche e la loro attività, facendo leva sul valore strategico delle risorse impiegate per guadagnare terreno in un settore cruciale per lo sviluppo economico.

Il fatto che una startup cinese posseduta da un hedge fund pure cinese abbia scelto un sistema aperto invece di affidarsi ai brevetti può apparire sorprendente, se si pensa che le imprese cinesi sono di gran lunga quelle che depositano più domande di brevetto al mondo: un milione e mezzo nel 2022, contro le 500.000 di quelle statunitensi, e via a scendere quelle giapponesi, coreane e tedesche. E la classifica non cambia nello specifico settore delle invenzioni relative a sistemi di intelligenza artificiale.

Cosa fa la differenza tra sistemi aperti e chiusi

Il confronto fra sistemi aperti e chiusi peraltro non è nuovo, e ciascuno dei due può avere successo. Il sistema IOS è chiuso, e solo Apple può utilizzarlo. Mentre Android è aperto, ed è usato da tutti i produttori asiatici di smartphone e personal device, oltre che ovviamente da Google. Nel software per PC la leadership di Microsoft non è stata scalzata dai sistemi open source, che invece dominano nel mercato delle applicazioni HTML e in diversi altri campi. Se la qualità del sistema chiuso è elevata, ed è percepita come superiore da una quota consistente della domanda, la strategia proprietaria può essere vincente. Nei chatbot la qualità non si misura soltanto in termini di ridotti costi di impiego, di sviluppo e di risparmio energetico, ma anche di accuratezza delle risposte (che può essere influenzata dalla censura) e di compliance con le regolamentazioni, prime fra tutte quelle in materia di privacy e di gestione dei dati.

Le innovazioni hardware che potrebbero determinare il vincitore del confronto

Il confronto fra sistemi chiusi, finanziati da investitori e dalla mano pubblica, e sistemi aperti come DeepSeek, non ha dunque un vincitore annunciato: troppe sono le variabili ancora incerte che possono portare al successo dell’uno o dell’altro. E la qualità dei risultati ottenuti non dipenderà soltanto dal perfezionamento degli algoritmi, ma anche, e forse soprattutto, da innovazioni hardware (prima fra tutte l’evoluzione dei chip quantistici). Fra l’altro, il mercato degli smartphone e degli altri device di uso personale mostra che entrambi i sistemi possono essere vincenti.

Quel che però è certo è che non si tratta di una battaglia fra Stati Uniti e Cina: sarebbe riduttivo, e anche fuorviante, ridurre la questione del futuro dell’intelligenza artificiale (e dell’innovazione tecnologica, e non solo, che discende dal suo impiego) ad una lotta fra due Paesi, con l’Europa che sta alla finestra. Giganti del web statunitensi come Google hanno costruito buona parte del loro successo sulla creazione e la diffusione di sistemi aperti e non è certo che vogliano imboccare solo una strada diversa (molto dipenderà anche dagli sviluppi del progetto Willow), altri come Meta stanno investendo da tempo in progetti open source dei quali anche DeepSeek ha beneficiato, e anche le ricerche svolte sotto l’egida delle università americane (il MIT, e molte altre) vanno soprattutto nella direzione dei sistemi aperti.

I possibili scenari

Lo scenario più probabile è dunque un’interazione fra i due mondi, anziché una loro guerra. Anche perché garantirsi un’esclusiva attraverso la protezione brevettuale degli algoritmi è una strada irta di difficoltà e che incontra molti ostacoli, né altri diritti di proprietà intellettuale come il copyright e la protezione delle banche dati appaiono costituire alternative più rassicuranti. È allora probabile che ai risultati delle ricerche diffuse e condivise nel variegato mondo open source, che si svilupperanno ovunque anche grazie ai ridotti costi d’ingresso, attingeranno ampiamente anche coloro che hanno puntato sullo sviluppo di sistemi chiusi, e magari accadrà che chi, in quel mondo, raggiungerà risultati veramente innovativi e di successo si lasci sedurre dai maggiori profitti prospettati da logiche proprietarie, tradendo gli ideali di partenza. Per chi si appassiona di queste cose, certamente ci sarà molto da fare, e anche da divertirsi.

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