La crisi della politica italiana, sempre più evidente e sempre più avvinghiata alla crisi economica, trova una possibile via d’uscita nel cambiamento del rapporto politico-cittadino, non soltanto nella configurazione di una classe politica non “professionale e di mestiere”, ricondotta quindi alla sfera del servizio temporaneo, ma anche, necessariamente, ad un diverso protocollo di relazione. Relazione che diventa continua e biunivoca e quindi sostanzia la delega e il concetto di rappresentatività come richiesta di sintesi e di finalizzazione di un percorso collettivo di elaborazione.
Se questo è il nuovo scenario, che coinvolge non solo i singoli rappresentanti nelle diverse assemblee (nazionali, regionali, comunali, municipali) ma anche le istituzioni in quanto massima espressione della rappresentanza, ecco che l’approccio che si richiede non può essere improvvisato, casuale, estemporaneo, opportunistico. Deve essere reale e convinto.
E far parte di una strategia che cambia profondamente il modo di fare politica. La partecipazione attiva dei cittadini è uno dei punti principali che connota la missione dell’Open Government Partnership, a cui l’Italia aderisce con un piano di azione in cui proprio il tema della partecipazione è quello meno approfondito ed evoluto, fino ad appiattirsi del tutto sulla consultazione.
Eppure la partecipazione attiva è chiaramente una delle ricette che può consentire, allo stesso tempo, di valorizzare ricchezze, competenze ed energie, e di consolidare la rete sociale che può orientare e monitorare il livello della qualità della vita e dell’equilibrio del sistema.
Su questo tema, grazie agli enormi ritorni di investimento dal punto di vista socio-politico, si dovrebbe puntare decisamente la riforma della politica e della governance. Andando verso una messa a sistema come avviata ad esempio in Finlandia e ancora rallentata nell’ambito del Parlamento Europeo.
Il rischio che stiamo correndo, invece, è di perseverare con tentativi estemporanei, dove l’estemporaneità pregiudica di fatto il raggiungimento dei risultati.
Invece poiché la partecipazione è richiesta a tutti i diversi livelli di governo, è impensabile che possano essere ottenuti risultati utili
- senza un approccio organico, omogeneo e condiviso;
- senza un’integrazione tra strumenti tradizionali di partecipazione e piattaforme in rete.
Superare la fase della sperimentazione volontaria
È infatti indispensabile passare da una fase di sperimentazione volontaria ad una di organizzazione sistematica della partecipazione.
Il framework di riferimento c’è già, è stato descritto dall’OECD nel 2001, e definisce tre aree della partecipazione e del coinvolgimento dei cittadini e delle organizzazioni della società civile: informazione, consultazione, processi deliberativi. Un framework che può essere acquisito come punto di riferimento per la definizione di un approccio organico nazionale, di linee guida per la partecipazione attiva dei cittadini sulle quali definire delle norme che la integrino nel sistema legislativo e che la facciano passare da volontà delle amministrazioni a diritto dei cittadini.
In un recente convegno sulla partecipazione svoltosi a Varese, Fiorella De Cindio ha presentato un’evoluzione dello studio realizzato sulla cittadinanza digitale e sulle esperienze di progettazione partecipata, collocando le piattaforme e gli strumenti disponibili sulle tre aree del framework OECD ed in particolare focalizzandosi sulla copertura rispetto a tre aree funzionali:
- la raccolta di idee, in cui si collocano IdeaScale, OpenDCN, LiquidFeedback, a cui aggiungerei la nuova piattaforma Airesis;
- la consultazione, in cui si collocano soprattutto OpenDCN, LiquidFeedback e (aggiungerei) Airesis;
- il processo deliberativo, in cui si collocano soprattutto i metodi di Bilancio Partecipativo, LiquidFeedback e (aggiungerei) Airesis. Sempre in quest’area i wiki possono rappresentare un supporto meno strutturato ma senz’altro altrettanto aperto e potente.
La strutturazione del processo partecipativo, la sua regolamentazione rispetto alle tematiche in cui si rende obbligatorio, e la sua finalizzazione diventano fattori chiave per non disperdere energie e credito. Credito verso le istituzioni e la politica in generale.
Molte iniziative nate anche a livello territoriale si sono affievolite fino a spegnersi del tutto (una rassegna significativa è reperibile a partire dalla voce di wikipedia Bilancio Partecipativo) e l’esperienza nuova di Parma, che si è avviata sulla base di precisi impegni di mandato della nuova amministrazione, e da seguire con grande attenzione, sembra ancora non essersi incanalata sui binari di una integrazione tra strumenti tradizionali e in rete, con un percorso positivo ma ancora basato sostanzialmente su incontri diffusi di confronto tra l’amministrazione e i cittadini.
Tra i primi passi di un’integrazione presenza-rete è da sottolineare l’esperienza che sta compiendo la Regione Umbria per la definizione dell’Agenda Digitale regionale link, che ha avuto il suo punto di condivisione più intenso ad aprile a Perugia, in un incontro pubblico che ha permesso di consolidare e discutere in presenza, con dibattiti aperti guidati (“open talk”) le idee presentate nei mesi precedenti all’interno dell’ideario di IdeaScale.
Un’altra esperienza nata nella società civile, che nel manuale dell’OECD si raccomanda di favorire e rendere anzi organica, è quella della Consulta Permanente dell’Innovazione, la cui terza riunione è stata focalizzata sulle azioni legislative realizzabili con la condivisione dei “parlamentari innovatori” sulla base dei punti della Carta d’Intenti per l’Innovazione. Qui il percorso di partecipazione prevede l’integrazione tra la progettazione partecipata online, attraverso un wiki dedicato, e momenti di confronto in presenza tra società civile, istituzioni, parlamentari.
Passi per la messa a sistema
Quali passi per avviare una messa a sistema? Sono credo da avviare, in parallelo, due azioni di grande respiro:
- una finalizzata all’alfabetizzazione alla partecipazione.
- l’altra indirizzata alla formalizzazione delle modalità di partecipazione (sulle tre aree: informazione, consultazione, processi deliberativi) e alla messa a fattor comune delle esperienze già realizzate.
Anche il primo Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile realizzato da Istat e CNEL, afferma che l’utilizzo di Internet si attesta solo il 54% della popolazione italiana, ben 16 punti sotto la media europea. E il divario penalizza soprattutto il Mezzogiorno, gli anziani, le donne e le persone con bassi titoli di studio. Utilizzare Internet non significa essere in grado di partecipare attivamente alle pratiche democratiche in rete, ma ne è certamente condizione necessaria.
L’esclusione di metà della popolazione è inaccettabile per qualsiasi pratica democratica. Esclusione che è di fatto più elevata del 46% che non navigano in rete, perché la partecipazione necessita di una vera e propria alfabetizzazione specifica, che da questo punto di vista non è solo digitale ma ha come tema la capacità di partecipare attivamente ai processi decisionali. E quindi integrando meccanismi di partecipazione in rete e in presenza. Di qui l’impellente necessità di avviare rapidamente un programma nazionale di alfabetizzazione digitale articolato territorialmente, un vero e proprio progetto-paese per lo sviluppo della cultura digitale.
L’altra iniziativa è quella che deve condurre a trasformare le diverse isolate esperienze in una sperimentazione organica a livello Paese, facendo rete e valorizzando i risultati già ottenuti anche dalle organizzazioni della società civile. Con l’obiettivo di realizzare l’inquadramento organico di un sistema di partecipazione formalmente definito, in cui possono inserirsi naturalmente percorsi di avanguardia e sperimentazione ma dove gli elementi di base vengono garantiti comunque.
Il passaggio è ormai necessario: mettiamo a sistema la partecipazione, con percorsi già delineati e obbligatori. Ma per far questo è necessaria una piena consapevolezza della sua importanza. Non per caso il primo suggerimento del manuale OECD ai governi è “take it seriously”.
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