La fotografia che ci restituisce il DESI 2019 è di un’Europa che sta sviluppando le sue infrastrutture tecnologiche (comunque lontana dall’obiettivo per il 2020 del 50% di sottoscrittori di banda ad almeno a 100Mbps, dato che siamo al 20%), ma non riesce a trovare un percorso che la tiri fuori dalle criticità sui principali driver dello sviluppo e della crescita economica, che semplificando possiamo così elencare:
a livello di governance, l’assenza della capacità di creare adeguate iniziative di supporto, collaborazione e interscambio che consentano di generalizzare le buone pratiche e ridurre il divario tra i Paesi;
a livello di specifiche aree di maturità digitale, l’assenza di strategie efficaci e declinabili nei singoli Paesi per lo sviluppo delle competenze e della cultura digitale nella popolazione, per lo sviluppo digitale delle PMI, per la creazione di un sistema educativo che consenta di dare una risposta alla bassa presenza di specialisti ICT e in generale alla bassa preparazione sul digitale innanzitutto dei giovani, la difficoltà delle amministrazioni pubbliche di rendere fruibili i propri servizi digitali, anche in settori (quello della salute) dove la richiesta è molto alta.
È un’Europa che mostra tutta la sua fragilità e la sua frammentazione, e in cui permane anche un elevato fenomeno di divario di genere, che grazie al nuovo report “Women in digital” finalmente viene esposto con l’adeguata evidenza e importanza. Un report che mette in risalto l’elevata correlazione che esiste nei Paesi UE tra basso divario di genere e alti punteggi sul Desi 2019, a testimonianza ulteriore di quanto il tema della parità di genere sia fondamentale per la crescita socio-economica di un Paese.
DESI, un indice da rivedere
Il DESI 2019, in questo contesto, mostra tutte le sue difficoltà nel diventare reale strumento di supporto e accompagnamento allo sviluppo digitale europeo. Mentre infatti i singoli report sulle cinque aree analizzate (connettività, capitale umano, uso di internet, integrazione delle tecnologie digitali, servizi pubblici digitali) sono molto interessanti e anche arricchiti di analisi su indicatori e dati correlati (ad esempio, l’indicatore di User-Centricity per i servizi pubblici), l’esercizio di composizione dell’indice e il ranking che ne consegue mostra sempre più i suoi limiti.
Non basta aumentare il numero di indicatori, e quest’anno ne sono stati aggiunti ben 13, con necessità di revisione dei ranking degli anni precedenti (i nuovi indicatori sono: preparazione al 5G, competenze digitali superiori a quelle di base, competenze di base in materia di software, specialisti TIC di sesso femminile, laureati nel settore TIC, individui che non hanno mai usato Internet, social network professionali, frequentazione di corsi online, consultazioni e votazioni online, vendita online da parte di individui, big data, scambio di dati medici, ricette digitali). Da parte della commissione UE occorre, invece, abbandonare la strada inefficace del ranking (che tra l’altro prescinde da dimensioni e complessità, fino ad arrivare all’esaltazione del primo posto delle imprese maltesi nell’utilizzo dei big data) e sterzare decisamente verso una logica di modello di maturità che consenta, nell’evidenziare separatamente fattori abilitanti e risultati, di tracciare percorsi consigliati di sviluppo valorizzando le buone pratiche esistenti. Esempi come l’indice di maturità elaborato dall’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano sono già basi riusabili da cui partire.
I principali dati europei
Finlandia, Svezia, Paesi Bassi e Danimarca raggiungono i punteggi più alti nel ranking DESI, seguiti da Regno Unito, Lussemburgo, Irlanda ed Estonia. Bulgaria, Romania, Grecia e Polonia hanno i punteggi più bassi. L’Italia precede la Polonia (è quindi 24a) mantenendo la stessa posizione del raking 2018 ricalcolato a causa dei nuovi indicatori.
Il ranking è sostanzialmente invariato rispetto al 2018, con un buon progresso della Finlandia (che nel 2018 era terza), la conferma di Spagna e Germania al di sopra della media UE e Francia poco al di sotto.
Entriamo con maggiore dettaglio sulle cinque aree di valutazione:
connettività- la copertura in banda ad almeno 30 e 100Mbps sta aumentando notevolmente, raggiungendo rispettivamente l’83% e il 60% delle abitazioni, con un divario notevole tra 11 Paesi (tra i migliori Malta, Paesi Bassi e Belgio) che hanno raggiunto o superato il 90% sui 30Mbps e Paesi come Francia, Lituania, Grecia e Polonia che sono al di sotto dei due terzi. Anche la copertura con banda larga mobile sta aumentando notevolmente (con il 4G siamo al 99% di copertura rispetto alle abitazioni), con alcuni Paesi come Finlandia e Italia dove questo fenomeno si accompagna (35% delle abitazioni in Finlandia e 22% in Italia) anche a quello della sostituzione con lo smartphone dell’uso della banda fissa nelle abitazioni. Rimane un problema di copertura sulle abitazioni rurali, ma soprattutto sembrano ancora poco soddisfacenti i dati sulla sottoscrizione. In particolare, come prima accennato, rispetto ad un obiettivo 2020 del 50% di popolazione europea che ha sottoscritto la banda ad almeno 100Mbps, il dato attuale è del 20%, mentre per la banda ad almeno 30Mbps siamo al 41%, con uno spettro che va dall’oltre 70% dei Paesi Bassi a valori al di sotto del 25% da parte di Italia, Austria, Francia, Grecia, Cipro e Croazia.
capitale umano – per quest’area il DESI 2019 non è altro che una rimodulazione (con i nuovi indicatori) del report dell’anno precedente, poiché i dati sono al più del 2017. Non possono così che essere confermate anche le posizioni 2018, con Finlandia, Svezia, Estonia tra i Paesi con punteggi più alti e Italia, Romania e Bulgaria in fondo alla graduatoria. Tra i dati 2018 più interessanti è quello della percentuale ancora abbastanza bassa di utilizzo dell’email o di inserimento dati da parte dei lavoratori europei (61%), mentre è rilevante (39%) la percentuale dei lavoratori che hanno dovuto imparare come utilizzare nuovi applicativi/dispositivi, segnale evidente di un cambiamento in atto in tutti i lavori indotto anche dallo sviluppo digitale;
uso di internet – continua ad incrementarsi con molta lentezza il numero di chi utilizza Internet per consultazione di news, utilizzo di social network, comunicazione, acquisti, utilizzo di servizi bancari. Fa eccezione l’utilizzo dei video-on-demand, che è passato dal 21% al 31% tra gli utenti Internet. Per il resto, è sempre da considerare il valore relativo che assume la media UE. Ad esempio, se è vero che a media UE di utenti Internet che fanno shopping online è del 69%, è da considerare che questa proviene da estremi come l’87 % del Regno Unito e il 26 % della Romania. Gli utenti regolari di internet (cioè che lo utilizzano almeno una volta la settimana) sono in UE al di sopra dell’80% e, nonostante la crescita abbastanza omogenea, il divario rimane significativo tra i primi e gli ultimi Paesi del ranking, anche considerando che oltre la metà di chi non è utente regolare in realtà non ha mai utilizzato Internet. In questo quadro il divario di genere si sta riducendo (adesso è all’1,7% per gli utenti regolari di Internet), anche se rimane molto significativo sulle competenze digitali e sui laureati STEM (dove il divario è quasi del 12%), oltre che in alcuni Paesi in particolare.
integrazione delle tecnologie digitali – la digitalizzazione delle imprese procede in modo positivo per quelle di grandi dimensioni, mentre le PMI rimangono sostanzialmente indietro. Interessanti a questo proposito i dati relativi al Digital Intensity Index, dove non solo si riscontrano divari notevoli tra i Paesi sull’intensità di digitalizzazione (con Paesi come Finlandia e Danimarca che hanno oltre il 50% di aziende altamente digitalizzate e altri, tra i quali Spagna e Italia, dove oltre il 55% delle aziende è nella fascia di più bassa di digitalizzazione). Meno del 19% delle PMI europee vende online, dato ancora lontanissimo dall’obiettivo europeo del 33% che era da raggiungere entro il 2015 e allo stesso tempo evidenza lampante di una crisi stagnante;
servizi pubblici digitali – il numero di utenti Internet che ha utilizzato servizi di eGovernment (avendone necessità) mostra un buon progresso, raggiungendo il 64%, con un incremento di dieci punti. Questo risultato si correla con l’incremento di disponibilità e copertura di servizi digitali pubblici, oltre che con la loro qualità (misurata anche attraverso la User-centricity), mentre sull’integrazione e l’interoperabilità ci sono elevati margini di miglioramento. Nell’area della e-Health il dato più evidente è la divaricazione elevatissima tra alcuni Paesi in cui quest’area è in corso di sviluppo e altri in cui non appaiono riscontri significativi. Ad esempio, la percentuale di chi utilizza servizi di e-Health va dal 50% della Finlandia al meno del 5% della Germania, con una media UE del 18% e un’aspettativa della popolazione del 52%.
La situazione italiana
L’Italia mostra qualche progresso su connettività e servizi digitali pubblici, ma sostanzialmente conferma tutti i limiti di una crescita digitale ancora parzialmente supportata da strategie e interventi organici, e in diversi casi con iniziative ancora non mature al punto da dare effetti concreti (ad esempio, pensiamo al quadro di iniziative Impresa 4.0). Entriamo con maggiore dettaglio sulle cinque aree di valutazione:
connettività – non si riscontrano progressi significativi. Infatti, il rank italiano è migliorato di ben 6 posizioni, passando alla 19a, ma il salto è sostanzialmente addebitabile al nuovo indicatore sulla preparazione al 5G, basato sulla disponibilità dello spettro. Sugli altri indicatori l’Italia conferma la sua buona diffusione della banda larga mobile (comunque inferiore alla media UE), ma rimane molto indietro sulla diffusione della banda a 30Mbps (24% contro il 41% della media UE) e sulla copertura di quella a 100Mbps (24% contro il 60% della media UE). Certamente pesano i ritardi nell’attuazione del piano nazionale per la Banda Ultralarga;
capitale umano e uso di internet – di queste aree ho recentemente trattato in modo diffuso. Sulle aree di valutazione relative alle competenze digitali (Capitale Umano e Uso di Internet) l’Italia rispettivamente indietreggia di una posizione (26°) e mantiene la scomoda 25° posizione. C’è un buon progresso (4%), ancora insufficiente, nella riduzione chi non ha mai usato Internet, ma in generale si registrano dei dati coerenti con la percentuale del 44% di popolazione con competenze digitali almeno di base (rilevato nel 2016): gli utilizzi di Internet che richiedono maggiore competenza non vanno al di là di quella percentuale. Questo è il caso, ad esempio, dei servizi bancari (46% degli utenti Internet, che sono il 72% della popolazione tra 16 e 74 anni) e dello shopping online (47%), mentre arrivano poco sopra la soglia di competenza base (79% degli utenti Internet, quindi poco più della maggioranza della popolazione) lo streaming o il download di musica, guardare video e il gioco online;
integrazione delle tecnologie digitali – probabilmente non si sono ancora dispiegati gli effetti del piano Impresa 4.0 (incentivi anche per assunzione del manager dell’innovazione, presìdi di supporto come i centri di competenza e i punti impresa digitale, investimenti sulle tecnologie emergenti come blockchain e intelligenza artificiale,..), e anche probabilmente il ritardo sulla maturità digitale delle PMI italiane è così elevato che gli interventi di recupero devono essere ancora più consistenti e con dispiegamento nel breve termine. Sta di fatto che il rapporto DESI sull’Italia non può che sottolineare che “Solo il 10 % delle PMI vende online (ben al di sotto della media UE pari al 17 %), solo il 6 % effettua vendite transfrontaliere e solo l’8 % circa dei loro ricavi proviene da vendite online”. La posizione italiana è la 23a, stabile rispetto agli ultimi due anni;
servizi pubblici digitali – l’Italia migliora la sua posizione di un posto, raggiungendo la 18a, con buoni risultati per quanto riguarda gli open data (quarta posizione) e i servizi di sanità digitale. Ma, come sottolinea il rapporto “Presenta tuttavia uno scarso livello di interazione online tra le autorità pubbliche e l’utenza: solo il 37 % degli utenti di Internet italiani che hanno bisogno di inviare moduli lo fa online”. Un dato che sembra inferiore anche a quelli non elevati di utilizzo di Internet per servizi comunque complessi come quelli bancari, e che potrebbe essere motivato non soltanto con l’effetto ancora non visibile delle azioni definite da AgID e Team Digitale per il supporto alle PA per la realizzazione dei servizi digitali pubblici, ma anche, forse, per i lavori ancora necessari per una strategia organica e una governance adeguata per l’accompagnamento alla trasformazione digitale delle PA.
Qualche suggerimento
Per la ripresa dell’Unione Europea vale quanto accennato all’inizio: per ottenere risultati significativi sull’intera area occorre fare un cambio di passo a livello di governance, rispolverando il senso di una strategia europea che si è andato via via smarrendo per mancanza di organicità negli interventi e carenza di reti effettive di collaborazione, mentre occorre focalizzare risorse e iniziative lì dove più gravi e di sistema appaiono le criticità. Naturalmente, tutto questo si innesta nel più ampio e movimentato contesto politico che è ancora in corso di assestamento. D’altra parte, riformulare il DESI in logica effettiva di maturità digitale consentirebbe di disporre di uno strumento più efficace per sostenere la crescita digitale europea, piuttosto che uno che sembra produrre ranking sempre meno affidabili mettendo in secondo piano la ricchezza dei report prodotti a corredo.
Per l’Italia, per l’ennesimo anno in sostanziale stagnazione su performance molto inferiori alla media UE, non bastano le singole buone prestazioni (come quella relativa al 5G o agli Open Data) per percepire un segnale di controtendenza. La situazione mi sembra ben riportata nel rapporto DESI 2019 sull’Italia, dove più volte si invocano strategie ed interventi di sistema. Questo avviene nell’area sulla digitalizzazione delle imprese “Al fine di rafforzare la trasformazione digitale dell’economia italiana, è importante accrescere la consapevolezza della rilevanza della digitalizzazione nelle PMI. Quello di rifocalizzare alcuni incentivi sulle PMI è un passo nella giusta direzione, ma sono necessari ulteriori sforzi sistemici per elevare il loro livello di digitalizzazione a quello dei principali concorrenti delle aziende italiane.”, ma anche in quello relativo alle competenze digitali “Oltre al Piano nazionale per la scuola digitale, l’Italia non ha una strategia complessiva per le competenze digitali; questo significa che i gruppi a rischio di esclusione sociale, quali gli anziani e i disoccupati, corrono anche il rischio dell’ampliamento del divario digitale”.
In un Paese che ha un forte ritardo sia nei laureati su materie STEM che sulla presenza di specialisti ICT, oltre che nel divario di genere su questi due ambiti, la strada dovrebbe essere ben delineata dalla consapevolezza che riduzione di divario di genere e sviluppo della maturità digitale sono driver fondamentali per la crescita. E questo dovrebbe condurre a una strategia nazionale di investimenti di sistema, che riconosca centralità al sistema educativo e all’abilitazione all’innovazione, in un quadro di coalizioni nazionali e territoriali che ridiano valore alla ricchezza dei talenti e delle iniziative che si sviluppano spesso con grande qualità, ma in modo spesso frammentario.