tecno-capitalismo

Noi non siamo macchine: ma è sempre più facile dimenticarlo



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L’avanzamento tecnologico, in particolare l’ibridazione uomo-macchina promossa da Elon Musk, rischia di alienare l’uomo da sé stesso e dalla natura. Perciò è urgente ristabilire una distinzione critica tra naturale e artificiale per contrastare l’alienazione tecno-capitalistica e salvaguardare l’umanità

Pubblicato il 2 feb 2024

Lelio Demichelis

Docente di Sociologia economica Dipartimento di Economia- Università degli Studi dell’Insubria



leading_digital-transformation

L’occasione per ragionare nuovamente su artificiale e naturale è offerta ancora una volta da Elon Musk.

Nei giorni scorsi la sua Neuralink – che si occupa di ricerca per collegare direttamente il cervello umano ai computer e alla IA – ha annunciato l’impianto di un chip nel cervello di un paziente tetraplegico, nel tentativo di permettergli di interagire in avvenire con un pc capace di captare i segnali elettrici dei neuroni e tradurli in comandi informatici (il chip infatti non permetterebbe ancora al cervello di dialogare con le macchine: quello iniziato sarebbe soprattutto un test di tecnica chirurgica, per altro assai invasiva e non priva di rischi[i]). Fin qui, la notizia.

L’ibridazione uomo/macchina e l’alienazione tecno-capitalistica

Ma Elon Musk ha sempre dichiarato che l’obiettivo è molto più ampio, puntando infatti a dotare le persone sane di nuove facoltà che uniscano la potenza del nostro cervello e quella dell’intelligenza artificiale – per esempio per accedere istantaneamente alle informazioni memorizzate su un pc, perché, come ha affermato Musk “vogliamo andare oltre le capacità di un normale corpo umano con la nostra tecnologia”. E qui le cose si complicano maledettamente, avendo a che fare con l’ibridazione uomo/macchina. Ibridazione o, meglio, sussunzione dell’uomo nella macchina – e qualcosa di analogo, anche se in altro modo e forma, accade con la delega cognitiva ed esistenziale (ma non solo) che stiamo dando sempre più alle macchine, agli algoritmi e all’IA, producendosi la più radicale auto-alienazione[ii] dell’uomo da se stesso, dalla sua vita, dalla conoscenza, dal libero arbitrio, dalla democrazia, dalla libertà, dalla socialità, oltre che, marxianamente, dal suo lavoro). Il tutto permesso/favorito/generato/ingegnerizzato dalla indistinzione e con-fusione crescente tra naturale e artificialee tra reale e finzione/virtuale – ormai data per avvenuta e incontrastabile e immodificabile (è un dato di fatto, punto! – il sistema non accetta pensiero critico e contestazioni o riflessioni filosofiche e meno che meno decisioni democratiche).

La necessità di ripristinare la differenza tra naturale e artificiale

E invece, la crisi climatica e ambientale che peggiora – con il capitalismo di rapina, fossile o digitale che sia, che in tutti i modi cerca di rimuoverla dal nostro orizzonte mentale e sociale e soprattutto politico (vedi il fallimento pianificato della Cop 28 o il glifosato ancora autorizzato dalla Ue o il Piano Mattei del governo), tutto combinato e pianificato per poter continuare nella sua massimizzazione del profitto privato – e insieme l’alienazione tecno-capitalistica dell’uomo ci impongono (ci imporrebbero) di ripristinare e soprattutto di radicalizzare la differenza e la distinzione tra natura e artificiale, tra tecnologia e biosfera, tra la razionalità strumentale/calcolante industriale e una ragione invece responsabile eticamente ed ecologicamente. Una distinzione/differenza semantica ma soprattutto filosofica, ontologica e teleologica fondamentale e appunto da ripristinare anche nel senso comune e nell’immaginario collettivo, perché quanto più viviamo nell’artificiale, quanto più accettiamo la con-fusione di significati tra naturale e artificiale, tanto meno potremo risolvere la crisi climatica e sociale strettamente collegata e tanto più invece permetteremo il trionfo nichilista del tecno-capitalismo. Perché certo, da sempre gli umani hanno bisogno di tecnologia, ma oggi è tutto diverso da ieri.

Il linguaggio della propaganda tecno-capitalistica

Pensiamo a termini come ecosistema digitale, reti neurali artificiali o appunto intelligenza artificiale, parti del lessico di una neolingua tecno-scientifica e soprattutto capitalistica che vuole farci credere – per farci accettare l’artificiale senza reagire e soprattutto senza pensiero critico e quindi senza intelligenza – che l’artificiale sia come il naturale, che anche il digitale sia un ecosistema (non lo è, per la contraddizione con non lo consente), che anche le macchine possano essere intelligenti e quindi umane (dimenticando che l’intelligenza umana è soprattutto qualcosa di sociale/comunicativo).

Una neolingua, appunto: come quella di Orwell, come quella del populismo, come quella dei totalitarismi politici del Novecento, utile a sostenere la propaganda (politica ieri, digitale-capitalistica, oggi), utile e necessaria appunto al tecno-capitale per im-porsi e farsi accettare come dato di fatto (e forma di vita/way-of-life) uni-dimensionale, immodificabile e necessario anche nella sua forma digitale. E per sua essenza e funzione la propaganda serve appunto a generare attitudini e automatismi mentali e comportamentali oggi rispetto alle macchine/algoritmi/IA, a familiarizzarci anche con il digitale, a generare stereotipi oggi digitali, a produrre un’opinione pubblica passiva che non deve riflettere su ciò che deve essere portata a credere – cioè, di nuovo, che l’artificiale sia come il naturale e che vivere nel metaverso o nella realtà aumentata sia meglio che vivere in un ambiente naturale sempre più degradato (dallo stesso tecno-capitalismo che produce e diffonde l’artificiale) – e tutti parlano e scrivono di innovazione tecnologica, di nuovo che non si può fermare, mentre nessuno o pochissimi, sui vecchi e nuovi media, riesce invece a fare  e a condividere pensiero critico e riflessivo sui processi di propaganda e di addestramento in atto.

La sussunzione dell’uomo nell’ambiente artificiale

Per evitare di morire ridotti a macchine, occorre dunque e invece andare alla radice del problema e della propaganda, provando a creare la massima distanza possibile (culturale, politica, antropologica, esistenziale, ontologica e teleologica) tra naturale e artificiale, tra umano e macchinico/digitale – analogamente a quanto suggeriva Claudio Napoleoni (1924-1988), cioè di mettere appunto la maggiore distanza possibile tra economia e società, avendo capito che l’economia capitalistica tende a occupare, mettere al lavoro e sfruttare la vita intera degli uomini, oggi il processo totalitario replicandosi, aggiungiamo, con il digitale.

Per farlo occorre sfidare il capitalismo[iii] e la tecnica in nome di un nuovo umanesimo e di una relazione tra umano e naturale che ci faccia capire, vivendolo e sentendolo, che noi siamo parte dell’ambiente naturale, che viviamo in relazione con gli altri e con l’ambiente naturale; un umanesimo (che non può che essere anti-capitalista) che quindi ci faccia uscire dalla nostra sussunzione nell’ambiente artificiale e capitalistico e ci faccia recuperare la relazione con il naturale.

La perdita del senso della relazione con la biosfera

Perché se accettiamo invece di vivere sempre più nell’artificiale in cui ci stanno portando il capitalismo e la tecnica, perderemo non solo il senso della nostra relazione vitale con la biosfera e del nostro dovere di essere responsabili nei suoi confronti e delle future generazioni, ma rimuoveremo sempre di più il senso di pericolo che dovrebbe portarci ad agire urgentemente contro il cambiamento climatico e la crisi ambientale (e sociale), ovvero contro quel tecno-capitalismo nichilista ed ecocida per sua essenza, ontologia e teleologia e che da tre secoli di rivoluzione industriale distrugge non solo società e socialità e conoscenza e pensiero critico (e infatti e funzionalmente alle esigenze del sistema, in tutte le scuole di ogni ordine e grado si insegnano, addestrando fin da piccoli, le competenze a fare, mai la conoscenza e il pensiero critico), ma soprattutto l’ambiente naturale.

Perché fossile o digitale che sia, è sempre capitalismo di rapina: di risorse, di natura, di lavoro, di dati personali (cioè, di libertà individuale e di vita), di responsabilità, di futuro, di cura, di precauzione, di democrazia, di libertà sociale e individuale. Rapina, cioè valorizzazione capitalistica di ogni cosa, della natura e di tutta la vita dell’uomo – e ricordiamo che il Garante della privacy ha recentemente notificato a OpenAI, la società che controlla ChatGPT, l’atto di contestazione per aver violato la normativa in materia di protezione dei dati personali, Open AI che dopo essere stata resa inaccessibile dall’Italia lo scorso 30 marzo aveva promesso di aumentare il livello di consapevolezza degli utenti; ma addestrare l’IA e aumentare i propri profitti presuppone una illimitata e compulsiva rapina di dati e di informazioni e di testi (si veda anche la denuncia del NYT contro OpenAI) per cui l’istruttoria del Garante ha infine concluso che “gli elementi acquisiti possono configurare uno o più illeciti rispetto a quanto stabilito dal Regolamento UE”.

Reale e/o virtuale. Uomini e/o macchine

Per continuare la riflessione sul rapporto/conflitto tra artificiale e naturale potremmo guardare alla fantascienza, ricchissima di esempi in tal senso. Potremmo citare il film del 1927 Metropolis di Fritz Lang (che immagina il futuro del 2026 – ci siamo quasi) – dove un gruppo di ricchi industriali governa la città di Metropolis e impone un lavoro continuo alla classe operaia relegata nel sottosuolo cittadino – e questo accade anche oggi, lavoriamo infatti a mobilitazione totale e a produttività e a pluslavoro crescenti h24 grazie al digitale, sempre governati da un gruppo di ricchi industriali oggi digitali, in un sottosuolo esistenziale fatto di lavoro sempre più povero[iv] ma credendoci imprenditori di noi stessi (ancora la neolingua, ancora la propaganda – soprattutto la propaganda di integrazione di cui scriveva Jacques Ellul[v]), mentre siamo in realtà sempre forza-lavoro al servizio del capitale e alienata al capitale[vi]). Potremmo richiamare il Sei-Settecento e la modernità e le sue interpretazioni dell’uomo come macchina (l’artificializzazione dell’uomo e la matematizzazione del mondo – che è un altro modo di artificializzare la vita e la natura – nascono allora), uomo che deve funzionare appunto come una macchina e secondo i ritmi della macchina, per un nichilistico rovesciamento tra mezzi e fini (fordismo, taylorismo, oggi digitale, il sempre di più): perché se il corpo – ma oggi, anche la psiche – è inteso come una macchina, allora tutto (a questo servono management, marketing, social – con il contorno dell’ideologia neoliberale), tutto deve essere finalizzato (come ricordava Michel Foucault[vii]) al potenziamento delle sue attitudini, all’estorsione delle sue forze, alla crescita parallela della sua utilità e docilità e soprattutto alla sua integrazionein un sistema eteronomo sempre più governato (organizzato, comandato e sorvegliato) dalla tecnica, oggi appunto digitale e che incorpora in sé e nella propria razionalità strumentante/calcolante-industriale le forme e le norme di organizzazione/gestione/controllo-sorveglianza non solo del lavoro di produzione e del lavoro di consumo e di generazione dei dati, ma dell’intera vita umana, da dover valorizzare tecno-capitalisticamente.

L’esperienza onlife: l’unificazione di reale e virtuale

Partiamo invece da Luciano Floridi e Giuseppe Riva[viii]. Sostiene Floridi (ordinario di Sociologia della cultura e della comunicazione all’Università di Bologna, dopo essere stato a lungo docente di Filosofia ed Etica dell’informazione all’Università di Oxford): “Dovremmo superare l’idea che reale e virtuale sono separati. È quello che chiamo con un termine sintetico l’esperienza onlife, che significa esperienza unificata. Tanto la dimensione analogica offline quanto quella digitale online fanno parte della stessa, unica esperienza. Ovviamente, è articolata, ma non separata in due parti”. Sostiene invece Riva (docente di Psicologia all’Università Cattolica del Sacro cuore di Milano): “I creatori della realtà [virtuale] hanno cercato di simulare quello che accade di norma nel nostro cervello. C’è una scheda grafica che visualizza il mondo tridimensionale, un casco che viene messo davanti agli occhi con dentro sensori di posizione. Quello che fa il computer è prevedere, sulla base dei movimenti del soggetto, il cambio di punto di vista dell’immagine tridimensionale. Si prova a ingannare la percezione, riproducendo il cambio di punto di vista dell’immagine tridimensionale. Si inganna la percezione perché più il modello dello sviluppatore simula la percezione umana, più il soggetto si sente presente dentro l’ambiente virtuale. E il soggetto smette di essere presente all’interno dello spazio fisico in cui si trova. […] Chi la prova la prima volta capisce che non è la stessa cosa che guardare un monitor. Poi c’è un secondo passaggio: non solo sono presente nel mondo virtuale […] ma agisco attraverso il corpo virtuale dell’avatar, non il mio. […] Il senso di presenza nell’ambiente virtuale, combinato all’effetto Proteus (ovvero sentirmi l’avatar che io vedo) crea una forte connessione tra esperienza digitale e connessione della persona. […] Il limite è sempre quello della confusione tra virtuale e fisico ma se i piani vengono tenuti separati, vedo soprattutto opportunità”.

Il problema è invece proprio nel fatto che i piani non vengono tenuti separati (non ne siamo più capaci, ammesso che lo siamo stati nel passato – perché la cancellazione del confine tra reale e virtuale e l’artificializzazione positivista della vita umana era/è nel piano del tecno-capitalismo); non devono quindi essere tenuti separati – altrimenti addio alla realizzazione totalitaria della sovra-ordinazione dell’ordine tecnico e capitalistico a individuo, società e Stato, realizzabile appunto solo integrando la vita umana nell’ordo-macchinismo (l’ordine delle macchine e del sistema tecnico che deve sostituire l’ordine naturale, il libero arbitrio e la democrazia producendo una società automatizzata e amministrata da macchine/algoritmi[ix]), oltre che nell’ordo-liberalismo (l’ordine del capitale e della concorrenza, invece della libertà e della responsabilità). Sempre ricordando, con Herbert Marcuse, che “ogni tecnica è sempre un progetto storico-sociale; in essa si progetta ciò che una società e gli interessi che la dominano intendono fare di uomini e cose”[x]; e che la società tecnologica avanzata – come la definiva Marcuse – è totalitaria in sé e per sé e quindi contro l’uomo[xi].

Il bisogno di un nuovo umanesimo

Uguale è per il rapporto tra naturale e artificiale. La cancellazione del confine, della differenza e della distinzione tra biosfera e digitale, tra ecosistema naturale e (falso) ecosistema digitale è stata necessaria alla artificializzazione totale e totalitaria dell’ambiente in cui devono vivere gli uomini affinché producano profitto per il capitale. La differenza e la distinzione tra naturale e artificiale – come tra transizione ecologica e transizione digitale, come tra conoscenza e competenze a fare, come tra reale e virtuale, come tra ragione e razionalità strumentale/calcolante-industriale, come tra macchine e umanesimo – deve essere urgentemente costruita e poi mantenuta e difesa con le unghie e con i denti.

La difesa della distanza critica tra noi e i processi tecnologici

Una differenza/distinzione, cioè appunto una distanza. Perché, come scriveva lo scrittore portoghese José Saramago (1922-2010 – e premio Nobel per la letteratura nel 1998), se non si esce da sé stessi, non si vede se stessi[xii], così come occorre allontanarsi dall’isola per vedere come è fatta l’isola in cui si vive. E quindi, se non si esce dai processi soprattutto tecnologici in cui si viene integrati, cioè se non si pone una distanza riflessiva e critica tra noi e i processi indotti e governati da altri o da algoritmi, cioè se non ci si de-sussume dal sistema allora non si comprenderanno mai i processi tecnici e capitalistici che pure stanno modificando pervasivamente la nostra vita e distruggendo la biosfera. Se siamo incapaci di porre questa distanza tra noi e il sistema – se siamo incapaci di distinguere tra naturale e artificiale, tra reale e virtuale, tra vero e falso – se non siamo più capaci di vedere i processi di sussunzione nell’artificiale e di alienazione esistenziale che ci catturano e ci familiarizzano con la tecnica, allora davvero non siamo più uomini, ma parti funzionali di una macchina e di una società ridotta a fabbrica. Sussunti nelle macchine, nel rovesciamento ormai totalitario del rapporto tra mezzo e fine e tra soggetto e oggetto.

Bibliografia


[i] A. Capocci, “Chip nel cervello di un umano per parlare con le macchine”, il manifesto del 31/01/2024

[ii] L. Demichelis, “La grande alienazione. Narciso, Pigmalione, Prometeo e il tecno-capitalismo”, Jaca Book, Milano 2018

[iii] Per immaginare altro dal capitalismo, rinviamo a: B. Sanders, “Sfidare il capitalismo”, Fazi, Roma 2024

[iv] Da ultimo: A. Somma, “Abolire il lavoro povero”, Laterza, Roma-Bari 2024

[v] J. Ellul, “Propaganda”, PianoB Editore, Milano 2023

[vi] L. Demichelis, “La società-fabbrica. Digitalizzazione delle masse e human engineering”. Luiss UP, Roma 2023

[vii] M. Foucault, “Sorvegliare e punire”, Einaudi, Torino 2011

[viii] Intervistati da “il manifesto”, del 20 gennaio 2024, commentando la notizia di una ragazza aggredita e violentata nel metaverso

[ix] M. Horkheimer, “La nostalgia del totalmente altro”, Queriniana, Brescia 2008

[x] H. Marcuse, “Cultura e società”, Einaudi, Torino 1969

[xi] H. Marcuse, “L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino 2015

[xii] J. Saramago, “Il racconto dell’isola sconosciuta”, Feltrinelli, Milano 2015

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