La pandemia covid-19 ha contribuito a rendere ancor più palese, me mai ce ne fosse stato bisogno, che internet non può più essere considerato uno strumento “nice-to-have”, ma un “must-have” necessario a livello sociale, un fattore discriminante che contribuisce a favorire l’uguaglianza e le pari opportunità tra la gente.
Tuttavia, non tutti hanno accesso a questo mondo connesso, c’è ancora una percentuale molto alta di persone che sono offline. Nel 2018, oltre la metà della popolazione mondiale utilizzava internet, ma circa 3,7 miliardi di persone sono rimaste offline. La condizione di questa consistente popolazione offline sta diventando sempre più difficile, poiché il digitale e l’online sono sempre più intrinsecamente connesse con l’accesso al lavoro, ai servizi e alla formazione. Una situazione che riguarda tanto i paesi in via di sviluppo, quanto quelli occidentali: basti pensare che circa il 13% della popolazione dei Paesi sviluppati rimane offline.
Pandemia e digital divide
La pandemia di COVID-19 ha ampliato il già esteso digital divide tra la popolazione online e quella offline, in quanto ha accelerato un cambiamento globale nel modo in cui le persone vivono, lavorano e socializzano: con l’aumento della disoccupazione e le misure di isolamento, un livello base di inclusione digitale è diventato quasi universalmente essenziale.
Un recente report di Capgemini, dal titolo “The Great Digital Divide: Why bringing the digitally excluded online should be a global priority”, evidenzia che già prima della pandemia il 69% delle persone senza accesso online viveva in povertà[1] e che il digital divide è legato a tre fattori: età, reddito ed esperienza. Come riporta lo studio, infatti, la fascia d’età con la più alta percentuale di componenti offline nel campione è quella tra i 18 e i 36 anni (43%); mentre per ciò che concerne il secondo elemento, quasi il 40% della popolazione offline che vive in condizioni di povertà non ha mai utilizzato internet per via del costo. Riguardo l’ultimo fattore, infine, questo particolare assume rilevanza per alcuni segmenti della popolazione offline: ad esempio la “complessità d’uso di internet” viene citata dal 65% delle persone offline con problemi di salute, mentre la “mancanza di interesse” legata a una sensazione di paura viene riportata dal 65% degli ultra sessantenni offline. Questa mancanza di competenze digitali e di accesso alle tecnologie può avere un impatto negativo su tutti gli aspetti della vita quotidiana di una persona: dalla socialità, alle opportunità di carriera, fino all’accesso ai servizi pubblici.
Accesso a internet ed esclusione sociale
Ad esempio, uno studio inglese ha rivelato che l’accesso a Internet (o la sua assenza) determina modelli di esclusione sociale. La popolazione offline è soggetta a maggiori sensazioni di isolamento, inadeguatezza o solitudine, poiché non può utilizzare i mezzi digitali per entrare in contatto con la famiglia, gli amici o la comunità. Questi sentimenti sono accentuati in una crisi come la pandemia globale di coronavirus, in cui la tecnologia digitale diventa un mezzo critico per rimanere in contatto. Quando l’accesso agli spazi fisici è limitato e la distanza fisica è necessaria per diminuire la diffusione del contagio, gli spazi virtuali favoriti dall’uso di internet offrono tra le varie cose l‘opportunità di lavorare e imparare a distanza, e di rimanere in contatto con amici e familiari. Lo studio di Capgemini evidenzia come il 46% degli intervistati offline ha dichiarato che si sentirebbe più connesso con gli amici e la famiglia se avesse accesso a internet.
Come ricordato in precedenza, il digital divide influisce anche nell’accesso ai servizi pubblici, escludendo le persone offline da diritti fondamentali. Capgemini ha rilevato che solo il 19% della popolazione offline che vive in condizioni di povertà ha dichiarato di aver richiesto un sussidio pubblico negli ultimi 12 mesi per motivi legati a reddito, età, disabilità o qualsiasi altro fattore. Questo potrebbe rappresentare un problema sempre più grave quando l’e-Government e i servizi pubblici online diventeranno ancora più diffusi. Come conseguenza della trasformazione digitale dei servizi pubblici e delle crescenti difficoltà nella gestione delle proprie pratiche, il 34% degli intervistati ha espresso interesse nell’utilizzo di internet per richiedere sussidi pubblici come quelli legati all’alloggio, ai beni alimentari e all’assistenza sanitaria.
Inoltre, la difficoltà a candidarsi online per un posto di lavoro e la mancanza di accesso a strumenti di apprendimento e istruzione online possono rendere la mobilità professionale più difficile per la popolazione non connessa, mentre il mancato sviluppo di competenze digitali può ridurre la possibilità di fare carriera.
La popolazione offline viene esclusa dai numerosi posti di lavoro che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno creato. Una ricerca condotta dalla Internet Association stima che nel 2018 il settore internet abbia prodotto sei milioni di posti di lavoro solo negli Stati Uniti, pari a circa il 4% dell’occupazione totale del Paese.
Ma il digital divide non riguarda solo l’accesso online, bensì anche il miglioramento delle competenze e l’apprendimento. Sempre secondo i dati a disposizione di Capgemini, il 44% delle persone offline ritiene che, se avesse accesso a internet, sarebbe in grado di trovare un lavoro più remunerativo e di accrescere la propria formazione. Dati confermati dal nostro osservatorio, secondo il quale lo sviluppo delle competenze digitali può tradursi in un incremento dell’istruzione e in maggiori possibilità di trovare un lavoro ben retribuito, offrire ai figli maggiori opportunità, non avere difficoltà a pagare le bollette e ottenere benefici pubblici che attualmente non hanno.
La responsabilità dell’inclusione digitale
La responsabilità dell’inclusione digitale e dell’accesso a Internet ricade sia sulle organizzazioni pubbliche sia su quelle private, che devono collaborare per assicurarsi che l’accesso ai servizi essenziali venga garantito anche alle persone emarginate a livello digitale.
Le organizzazioni private devono riflettere sul loro ruolo nel mondo di oggi, sempre più responsabili non solo nei confronti degli stakeholder, ma anche verso clienti, dipendenti e comunità. Devono guardare in maniera più ampia a come possono apportare benefici alla società nel lungo termine, incorporando inclusione digitale e uguaglianza nella loro strategia di business. Esistono già diverse organizzazioni che stanno inserendo l’inclusione digitale e l’uguaglianza digitale nella loro strategia e nei loro programmi. Ad esempio, per contribuire a migliorare la vita degli 11,5 milioni di persone senza competenze digitali di base nel Regno Unito, il Gruppo Bancario Lloyds ha istituito nel 2015 un Digital Champions Program, che conta oggi oltre 25.000 campioni. Ogni Digital Champion si impegna ad aumentare le competenze digitali di almeno due individui, aziende o enti di beneficenza ogni anno, sostenendo una serie di campagne digitali attraverso partnership chiave e iniziative locali.
D’altro canto, anche governi e settore pubblico devono svolgere un ruolo di primo piano nel consentire l’accesso a internet e la sua disponibilità, soprattutto per le comunità emarginate. Questo può avvenire su più livelli, come l’accesso a internet in luoghi pubblici e abitazioni private, nonché l’acquisizione delle necessarie competenze digitali fondamentali, ma comporta un significativo miglioramento dell’accessibilità ai servizi pubblici online e il mantenimento di bassi costi per i consumatori. Un progetto che va in questa direzione è l’iniziativa WiFi4EU dell’Unione Europea per la fornitura gratuita di Wi-Fi in spazi pubblici, come parchi, piazze, biblioteche, centri sanitari e musei in tutta Europa. I comuni richiedono buoni per un valore fino a 15.000 euro e li utilizzano per installare hotspot Wi-Fi gratuiti nei loro spazi pubblici.
In conclusione, le organizzazioni e le istituzioni pubbliche devono collaborare per costruire azioni comuni a livello globale sull’inclusione digitale, mobilitando peer, ONG, accademici e governi per promuovere politiche concrete e collaborare con i partner per promuoverla attraverso progetti pro-bono che facciano leva sulle proprie competenze.
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- Per questa ricerca, abbiamo utilizzato la definizione di basso reddito o povertà di ciascun paese in Europa, negli Stati Uniti e in India:Per Francia, Germania, Svezia e Regno Unito, Eurostat e l’INSEE (National Institute of Statistics and Economics Studies) in Francia e l’European Statistical System a livello europeo ritengono che la popolazione a basso reddito sia definita come il tasso di rischio di povertà, ovvero la quota di persone con un reddito disponibile equivalente (dopo i trasferimenti sociali) al di sotto della soglia di rischio di povertà, che è fissata al 60% del reddito disponibile medio nazionale equivalente dopo i trasferimenti sociali.Negli Stati Uniti, il Federal Register del Department of Health and Human Services (HHS) pubblica ogni anno linee guida sulla povertà in base alle dimensioni della famiglia/del nucleo familiare. Le linee guida sulla povertà sono una versione semplificata delle soglie di povertà federali emesse ogni anno dal Census Bureau. La soglia di povertà del 2019 per una famiglia di quattro persone nei 48 Stati (escluse Alaska e Hawaii) è di 25.750,43 dollari.Per l’India, si rientra nella popolazione a basso reddito con un reddito familiare mensile inferiore a ₹20.000 al mese. ↑