La Digital Emotion Regulation è la capacità umana di regolare le emozioni (e quindi anche i vissuti) all’interno degli ambienti digitali.
Lo screentime, il tempo speso online, è sensibilmente aumentato in questi ultimi anni, fino ad esplodere nell’ultimo periodo, complice la pandemia. Un aumento che ha fatto crescere la preoccupazione che l’attività online, soprattutto sui social network, possa avere effetti negativi per il benessere mentale.
I numeri parlano chiaro: secondo una ricerca di Technology Review, le persone contattate hanno dichiarato di trascorrere, nel mese di aprile 2020, in media 4 ore e 18 minuti sul loro cellulare: ben 45 minuti in più rispetto all’anno precedente, un aumento del 20%.
Fermarsi a considerare esclusivamente i rischi che i social network avrebbero sulla nostra salute mentale ci impedisce di vedere il fenomeno in tutta la sua complessità, che ha oramai un ruolo importante nelle nostre vite.
Digital Emotion Regulation: cosa ci spinge sui social network?
Per comprendere gli effetti reali dei social network sulle nostre vite occorre prima comprendere le motivazioni che ci spingono a frequentare questi ambienti: interazione sociale, ricerca e condivisione di informazioni, occupazione del tempo libero, divertimento, relax, convenienza professionale, possibilità di esprimere opinioni, possibilità di sorvegliare/conoscere gli altri.
Ancor più in profondità, prendiamo ad esempio i ragazzi e le famiglie in situazioni di disagio, che usano i social per una maggiore connessione con le proprie origini: in questo caso, i social network permettono di rimanere vicini con i parenti lontani, che nei ragazzi significa poter mantenere radici e storia familiare, con effetti positivi sulla loro identità. E fondamentali per quei ragazzi che vengono letteralmente strappati dai loro amici e dalle loro abitudini, sebbene spesso per motivi di sopravvivenza.
I social network inoltre consentono agli adolescenti di trovare online un supporto che potrebbe mancare nelle relazioni tradizionali: per i più giovani, poco avvezzi ai media tradizionali, queste piattaforme sono anche luoghi di informazione privi dei filtri di mediatori.
Aspetti decisamente più positivi di quelli che una certa narrazione vorrebbe farci credere.
Digital Emotion Regulation: l’importanza delle challenge
Oltre agli effetti positivi che riguardano il singolo individuo, è possibile rilevare effetti benefici per l’intera società attraverso la mobilitazione che si crea sui social network con le “challenge”, le sfide virali.
Ricordate la Ice Bucket Challenge, ossia quella “sfida” a favore della raccolta fondi per la ricerca contro la SLA? Lanciata dalla ALS Association nella metà del 2014 e diventata presto virale, la sfida consisteva nell’effettuare una donazione all’associazione, versarsi un secchio di acqua ghiacciata e nominare altre tre persone: chi era stato nominato aveva l’obbligo morale di accogliere la sfida, che avrebbe portato alla nomina di ulteriori tre persone con conseguenti donazioni, e così via. Solo in Italia, la Ice Bucket Challenge ha permesso alla AISLA di ricevere ben 51461 donazioni, per un totale di quasi 2,4 milioni di euro per la lotta alla sclerosi laterale amiotrofica.
Secondo i dati ufficiali diffusi dalla ALS Association, al 2015 erano stati raccolti 115 milioni di dollari in tutto il mondo su 220 milioni donati.
Un altro esempio è la Trillion Tree Campaign, nata per sensibilizzare al recupero di aree forestali, che vanta ben 144 progetti in tutto il mondo. In questo caso, si tratta ancora di una campagna “vecchio modello”, dove i social servono solamente come canale di promozione dell’iniziativa.
Si potrebbe obiettare che queste iniziative sono “challenge per grandi”.
Sempre in tema green, prendiamo quindi il caso Team Trees: lanciata dallo YouTuber Mr Beast e poi esteso ad altri influencer, si proponeva di raccogliere fondi per il recupero di aree verdi perdute a causa dello sfruttamento del territorio. L’interessamento da parte degli influencer ha portato alla mobilitazione di una fascia di età più giovane, notoriamente molto difficile da coinvolgere e mettere in moto. Il risultato: 22.664.741 alberi piantati in meno di due anni.
Troviamo poi le piccole challenge degli influencers del TikTok di turno, ossia quei balletti e altre coreografie tanto odiate da noi adulti e tanto amate dai nostri figli, soprattutto quelli più giovani.
Andando oltre le apparenze, è chiaro come queste piccole sfide quotidiane aiutino in realtà i ragazzi ad esplorare il proprio corpo, con le proprie potenzialità e i propri limiti. Per mezzo dei loro tentativi, tra grandi successi e piccoli fallimenti, i più giovani imparano a conoscere se stessi mettendo in moto le loro emozioni, in una fase della crescita in cui tutto è mediato dal proprio corpo: i sentimenti, la socializzazione, l’apprendimento. I social network come occasione e strumento di espressione di sé stessi.
Digital Emotion Regulation: gestire i propri stati emotivi con il digitale
Le attività sui social sono finalizzate alla gestione di uno stato emotivo e hanno un filo conduttore comune: risolvere uno stato di tensione interiore, sia esso dovuto ad una giornata particolarmente faticosa, alla mancanza di un contatto fisico o alla voglia di salvare il Mondo.
Le emozioni sono adattamenti che guidano le risposte alle sfide e alle opportunità: sono regolate costantemente per funzionare in modo più efficace sul lavoro, per comportarsi in modo più appropriato nelle situazioni sociali o semplicemente per sentirsi meglio. Parliamo di vere e proprie “tattiche”, che queste siano consapevoli oppure no, e nel 2021 prevedono anche l’utilizzo delle tecnologie digitali.
Grazie all’elemento mobile, ossia la capacità di avere queste tecnologie sempre con sé ad ogni ora del giorno, possiamo affermare che le tecnologie digitali stiano migliorando la capacità delle persone di regolare le proprie emozioni abilitando queste pratiche praticamente in qualsiasi momento e luogo.
E tutte quelle notizie secondo un consumo eccessivo di social network porterebbe a conseguenze spiacevoli come la depressione?
Sono vere, ma solo in parte. Infatti, secondo alcune ricerche, il vissuto sperimentato durante il consumo del digitale sarebbe fortemente dipendente non solo dal tipo di App utilizzata, ma anche da ciò che il soggetto prova nel momento in cui sceglie la App. Questo conferma altre ricerche sugli effetti dei cosiddetti “videogiochi violenti”, in cui si rileva che i ragazzi scelgono quei videogiochi spinti da uno stato di disagio già presente dentro di loro, e non viceversa. Si tratta quindi di un nesso causale che può avvenire sia in un senso che nell’altro, a seconda dei casi.
Non solo: secondo queste ricerche, maggiore è il numero di applicazioni aperte dai partecipanti, più ampia la gamma di emozioni sperimentate, ma in senso inverso rispetto a quello che ci si aspetterebbe. Un elemento corroborato da altre ricerche, per cui gli utenti con una forte tendenza alla socializzazione sono più orientati alla ricerca della varietà, e quindi tendono ad essere presenti su più social network, mentre quelli con una maggiore propensione alla relazione sono più orientati al rafforzamento delle loro connessioni, e quindi a preferire una presenza su un minor numero di piattaforme, ma più significativa.
Un’idea che si trova in linea con l’attitudine da parte dei più giovani ad essere presenti su più piattaforme e in modo più massiccio, e che si trova perfettamente d’accordo con il bisogno, nella loro particolare fascia di età, di socializzare e conoscere.
Digital Emotion Regulation: perché il tempo sui social non è sempre sprecato
Il tempo speso sui social network non è necessariamente tempo perso, in quanto spesso assolve ad una vera e propria funzione regolatrice per le nostre emozioni, la Digital Emotion Regulation, utilissima per il nostro benessere mentale.
Questo mette in dubbio il classico concetto di produttività e non produttività: il confine potrebbe essere molto più sfumato di quanto immaginiamo.
Anche i cosiddetti casual games, tanto odiati dai sostenitori della produttività-a-tutti-i-costi, hanno mostrato un potere di recupero affettivo rispetto alla condizione di semplice rilassamento. Non si tratta semplicemente di ridurre lo stress, ma addirittura di migliorare una condizione di benessere.
Molte attività nella vita richiedono risorse cognitive ad un ritmo sostenuto, stressante e che riduce le prestazioni, soprattutto in settori che richiedono alte prestazioni: i casual games possono avere una funzione riequilibratrice.
La prossima volta che vedrete vostro figlio o un vostro alunno perso nell’ennesimo giochino stupido, chiedetevi quale situazione di vita gli ha generato il bisogno di recuperare le energie mentali attraverso questo mezzo.
Rilassarsi guardando i video dei gatti può effettivamente essere un uso produttivo del tempo quando si tratta di regolare le nostre emozioni.
Conclusioni: non è lo screentime in sé a minare il benessere affettivo
Il nostro benessere affettivo non è minato dallo screentime in sé, ma da quello che facciamo durante lo screentime, e riguardo ai social network, dalla passività con la quale stiamo sui social network.
Le ricerche più recenti rimettono al centro un concetto che sembrava perduto: ogni persona è a sé, un concetto che non possiamo più ignorare.
Chiuderci in una visione negativa del Digitale a prescindere, ci fa perdere di vista le opportunità che questo ambiente stesso offre a noi e ai nostri figli.
Andare sui social, con consapevolezza, può anche significare ottenere dei benefìci per le nostre vite.
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