IL RAPPORTO

Digital government, il giudizio dell’Ocse sull’Italia: luci e ombre

Il rapporto “Government at a glance” dell’OCSE mostra significativi miglioramenti da parte di molti Paesi. Nel digitale, l’Italia è tra i più virtuosi sulle strategie di open government, sull’approccio all’e-procurement, con aree di miglioramento su project management, competenze e riuso dei dati. Ma la direzione è giusta

Pubblicato il 21 Nov 2019

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Maggior attenzione nell’adottare servizi pubblici centrati sulle persone, ma ancora tanta strada sul fronte delle competenze, del ruolo dei dati per migliori politiche pubbliche e del coinvolgimento degli stakeholder: un bilancio con luci e ombre quello che emerge dal rapporto 2019 dell’OCSE “Government at a Glance” sull’evoluzione delle politiche pubbliche e la loro rispondenza ai bisogni dei cittadini per i 36 Paesi OCSE.

Principali riscontri dal rapporto

Il rapporto mostra diversi progressi dei paesi OCSE sulle politiche pubbliche: Angel Gurria, Segretario Generale dell’OCSE, sottolinea, infatti, che “L’accesso, la capacità di risposta e la qualità dei servizi – in settori quali istruzione, sanità e giustizia – stanno migliorando nella maggior parte dei paesi”. Non solo, “nei loro sforzi per migliorare la trasparenza, la reattività, la responsabilità e l’efficienza del settore pubblico, i paesi dell’OCSE stanno sempre più rendendo disponibili i dati di enti pubblici in formati aperti, gratuiti e accessibili”. Inoltre, un numero crescente di paesi si sta concentrando sull’impatto delle decisioni di bilancio sui principali gruppi di popolazione e, ad esempio, il numero di paesi OCSE che effettuano il bilancio di genere è aumentato da 12 nel 2016 a 17 nel 2018, ma ancora solo il 25% dei paesi ha mappato il bilancio sugli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda 2030.

Rispetto al rapporto, molto ampio, ci focalizziamo qui sulle aree dell’open government e della trasformazione digitale.

Open Government

Consultazioni sulle norme

La consultazione degli stakeholder su progetti di leggi e regolamenti è diffusa nei paesi dell’OCSE, con un leggero miglioramento sui dati 2014, ma gli stakeholder raramente ricevono feedback sull’impatto dei loro commenti. Paesi come Israele, Italia, Corea e Paesi Bassi hanno ampliato le loro pratiche di consultazione e le hanno rese più accessibili alla popolazione.

L’indicatore composito che misura questi aspetti è l’Indicators of Regulatory Policy and Governance (iREG), che è composto da quattro categorie equamente ponderate: presenza di metodi e strumenti per la raccolta delle informazioni dagli stakeholder; definizione di monitoraggio e valutazione delle pratiche di coinvolgimento degli stakeholder; adozione sistematica dei metodi e delle pratiche di coinvolgimento; trasparenza sulle informazioni relative al processo. Il punteggio massimo per ciascuna categoria è 1 e il punteggio totale per l’indicatore composito varia da 0 a 4. Qui l’Italia raggiunge il buon punteggio di 2,6, migliore di Francia (1,8) e Spagna (1,7) e ancora lontano dal Regno Unito (3,2).

Strategia di Open Government

In ventuno paesi OCSE, il capo di governo è stato coinvolto nella progettazione di strategie e iniziative di open government e in venti paesi anche nella loro attuazione. Mentre la fiducia nel governo è tornata ai livelli pre-crisi, la valutazione di efficacia politica da parte della popolazione rimane bassa. In particolare, la fiducia delle persone nel loro governo, una misura che è peggiorata dal 2007, è tornata al 45% nell’area OCSE, un valore simile al livello pre-crisi. La fiducia nel governo è aumentata in 16 paesi come Germania, Giappone, Corea, Polonia e Svizzera. In media, nel 2016, solo il 37% delle persone nei paesi dell’OCSE ha sentito di avere un’influenza su ciò che fa il governo, e questa percentuale è scesa al 20% o meno in Italia e Slovenia.

Nella maggior parte dei paesi dell’OCSE, il capo del governo svolge un ruolo importante nella progettazione, attuazione, comunicazione, coordinamento, monitoraggio e valutazione di strategie e iniziative di governo aperte. In Italia, Australia, Repubblica Ceca, Estonia, Israele, Lettonia, Lituania, Messico e Regno Unito, è coinvolto durante l’intero ciclo di vita di queste strategie. In Canada, Francia, Giappone e Slovenia, il capo del governo interviene solo in una fase del processo. In altri Paesi istituzioni diverse dal capo del governo hanno in carico le politiche di open government. Ad esempio, in Spagna, questo ruolo è svolto dal Ministero delle politiche territoriali e della pubblica amministrazione e in Finlandia dal Ministero delle finanze.

In 28 paesi OCSE, il capo del governo consulta direttamente gli stakeholder (cittadini, associazioni professionali, sindacati, istituzioni accademiche). Australia, Estonia, Grecia, Irlanda, Giappone, Lituania, Messico e Regno Unito svolgono consultazioni con una vasta gamma di stakeholder, tra cui organizzazioni della società civile, media, istituzioni statali indipendenti e rappresentanti dei livelli di governo territoriale. Per raccogliere suggerimenti o feedback sulle politiche proposte dai cittadini si utilizzano piattaforme digitali. Alcuni paesi, come la Lituania, hanno un’unica piattaforma pubblica aperta per tali scopi.

L’Italia fa parte del 49% di Paesi che ha una strategia di open government e, come ha testimoniato il rapporto indipendente sul terzo piano nazionale per l’open gov, è tra i Paesi più attenti al coinvolgimento degli stakeholder sia attraverso dei Forum permanenti sia attraverso la pratica sistematica di consultazioni online, che a breve si arricchirà di una piattaforma ad hoc, come annunciato dalla ministra Dadone.

Open government data

I paesi dell’OCSE continuano a mostrare progressi nel rendere i dati di enti pubblici disponibili a tutti in formati aperti, gratuiti e accessibili. L’indice OURdata utilizzato dall’OCSE valuta e confronta le politiche degli open data governativi e la loro attuazione. Il punteggio va da 0 (punteggio più basso) a 1 e l’indice è composto da tre indicatori, che hanno lo stesso peso di 0,33: disponibilità dei dati, accessibilità dei dati e supporto del governo per il riuso dei dati (non si misura quindi l’impatto effettivo del riuso).

I risultati dell’indice OURdata 2019, mostrano una maturità complessiva in crescita. La media OCSE è aumentata da 0,53 nel 2017 a 0,60 nel 2019, trainata dai miglioramenti dei tre indicatori: la disponibilità dei dati aumenta da 0,18 nel 2017 a 0,20 nel 2019, l’accessibilità dei dati da 0,21 a 0,23 e il supporto del governo da 0,15 a 0,17.

Conseguono ottimi risultati Paesi come la Corea (punteggio totale 0,93), la Francia (0,90) e il Giappone (0,75). La strategia nazionale per i dati aperti in Irlanda, il programma per i dati aperti pubblici in Polonia e la strategia di sviluppo della pubblica amministrazione slovena sono esempi di strategie che hanno portato a grandi progressi. Altri paesi mostrano significativi progressi dal 2017, come Paesi Bassi e Canada, segnando rispettivamente 0,65 e 0,73 nel 2019. Al contrario, la Finlandia e il Regno Unito, che erano tra i primi nel 2017, ora ottengono risultati più scarsi, in notevole regresso, dovuto a cambiamenti di priorità, riallocazione della responsabilità politica e riduzione del sostegno complessivo della politica pubblica.

Un quadro politico più forte e una crescente comprensione del valore dell’impegno degli stakeholder hanno aumentato la disponibilità di dati nella maggior parte dei paesi OCSE, con una menzione specifica per il miglioramento ottenuto dall’Australia, che quasi raddoppia il valore dell’indicatore dal 2017 al 2019.

L’accessibilità dei dati è forte in tutti i paesi dell’OCSE. Come nel 2017, Austria (0,32), Colombia (0,32) e Francia (0,31) sono leader nell’area. Oggi, 30 paesi OCSE su 33 richiedono che i dati governativi siano disponibili gratuitamente; 29 richiedono che i dati siano disponibili con una licenza aperta e 31 richiedono che i dati siano forniti in formati leggibili automaticamente. Il progresso dei portali degli open data pubblici ha anche contribuito ad aumentare i livelli di interazione con gli utenti grazie alla qualità e alla completezza dei dati.

In generale, i governi hanno anche intensificato gli sforzi per sostenere il riutilizzo degli open data pubblici. Ad esempio, 21 dei 33 paesi OCSE stanno dando la priorità alle competenze e alle capacità di realizzazione all’interno della pubblica amministrazione. Rispetto al 2017, un numero maggiore di paesi sta esplorando i potenziali impatti degli open data pubblici attraverso la ricerca o raccogliendo esempi di riuso.

L’Italia consegue un punteggio complessivo di 0,60, in linea con la media OCSE e in forte miglioramento sul 2017, con carenze soprattutto sulle politiche di sostegno al riuso. Il valore specifico sulla disponibilità dei dati è sopra la media OCSE, mentre è più basso riguardo l’accessibilità dei dati, a causa del coinvolgimento degli stakeholder sui temi della qualità e della completezza dei dati, valutato tra i più bassi nell’OCSE. In particolare, il basso valore sulle politiche per il riuso (circa la metà di quello conseguito dalla Francia) non è tanto dovuto alla promozione delle politiche open data e al monitoraggio, anzi in miglioramento, quanto ai programmi per l’alfabetizzazione sui dati, con un impegno governativo valutato tra i peggiori nell’OCSE e senza progressi.

Digital government

Il monitoraggio sulle raccomandazioni OCSE

L’area del rapporto sul digital government si basa sul monitoraggio periodico che viene effettuato rispetto alle raccomandazioni OCSE sulle strategie di Digital Government, che indicano l’obiettivo di massimizzare lo sfruttamento del valore delle tecnologie digitali per “governi più aperti, partecipativi e innovativi” attraverso più azioni:

  1. utilizzare la tecnologia per migliorare la responsabilità del governo, l’inclusione sociale e le partnership;
  2. creare una cultura basata sui dati nel settore pubblico;
  3. garantire un uso coerente delle tecnologie digitali in tutti i settori politici e livelli di governo;
  4. rafforzare i legami tra governo digitale e programmi di governance pubblica;
  5. utilizzare un approccio di gestione dei rischi per affrontare i problemi di sicurezza digitale e privacy;
  6. sviluppare business case chiari per sostenere il finanziamento e il successo dei progetti su tecnologie digitali;
  7. rafforzare le capacità istituzionali per gestire e monitorare l’attuazione dei progetti;
  8. valutare le risorse esistenti per guidare l’approvvigionamento di tecnologie digitali;
  9. rivedere i quadri giuridici e regolamentari per consentire di cogliere le opportunità digitali.

La governance

Secondo la survey del 2019 sul governo digitale, basata sulle raccomandazioni OCSE, 30 paesi dell’OCSE hanno assegnato il ruolo di guida e coordinamento delle strategie di governo digitale a livello centrale e/o federale a uno o più organismi. Nel 44% di questi paesi (tra cui Italia, Regno Unito, Francia e Spagna), l’ufficio/unità responsabile delle strategie di digitalizzazione riporta direttamente al capo del governo. In un altro 33% (tra cui Svezia, Norvegia, Finlandia e Germania), è responsabile il ministero di coordinamento e nel restante 23% (tra cui Estonia, Corea e Austria) è responsabile un ministero di linea. La gestione di questi organi/unità è affidata a un funzionario designato, spesso indicato come Chief Information Officer (CIO).

L’organismo responsabile del governo digitale può avere sia responsabilità consultive, sia responsabilità decisionali. In media, nei paesi dell’OCSE, questi organismi hanno sei delle sette responsabilità consultive e tre delle cinque responsabilità decisionali indagate nel sondaggio. Nella Repubblica ceca, in Ungheria, Islanda, Israele, Corea, Lussemburgo e Colombia, questi organismi hanno la più ampia gamma di responsabilità. Al contrario, in Belgio, Messico e Costa Rica, hanno solo un ruolo consultivo. Inoltre, il Messico ha assegnato solo tre responsabilità a tali organismi.

Il dato italiano (in linea con la media OCSE) fa chiaramente riferimento a una situazione antecedente all’attuale, in evoluzione, in cui la ministra per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione Paola Pisano, che fa parte della presidenza del consiglio, sta assumendo responsabilità di coordinamento su materie che erano state delegate a ministeri di linea come ad esempio il MISE (vedi la recente assegnazione di coordinamento del tavolo per la Banda Ultra Larga), con un peso sempre maggiore del capo del governo.

Leve per la trasformazione digitale

Per supportare l’implementazione della strategia del governo digitale, tre principali leve di politica pubblica possono essere identificate secondo l’OCSE come strumenti sostanziali per il finanziamento e l’implementazione di progetti di tecnologie digitali: l’esistenza di una metodologia di business case, di un modello di gestione di progetti ICT e di una strategia a livello governativo per l’acquisizione di tecnologie digitali. Solo 11 paesi OCSE su 30 (tra cui Francia e Germania) e un paese in via di adesione (Colombia) hanno adottato le tre leve politiche nell’ambito della loro strategia. L’adozione di un modello standardizzato per la gestione dei progetti ICT è utilizzata da 21 paesi OCSE e da due paesi partner (Brasile e Colombia). Inoltre, 21 paesi OCSE hanno adottato un approccio con business case (ad esempio conducendo analisi costi-benefici e/o costi-efficacia) e 23 paesi OCSE hanno una strategia specifica in materia di appalti nel settore ICT per il settore pubblico, mentre altri 10 indicano di avere un strategia di appalti pubblici che copre gli appalti ICT.

L’Italia delle tre leve ha messo in campo solo quella relativa al procurement, come la Spagna.

E-procurement

I paesi dell’OCSE stanno integrando sempre più i loro sistemi di e-procurement con altri sistemi IT governativi, come sistemi di gestione del bilancio, registri delle imprese e delle imposte, sistemi per il welfare, sistemi finanziari pubblici e pianificazione delle risorse aziendali (ERP), dimostrando il rapido ritmo della trasformazione del governo digitale. Mentre solo il 37% dei paesi dell’OCSE ha segnalato una sorta di integrazione con altri sistemi IT governativi nell’indagine del 2016, questa percentuale è aumentata al 72% nell’indagine del 2018, seguendo la tendenza a coprire l’intero ciclo di appalti pubblici con soluzioni digitali, dalla pianificazione e preparazione all’esecuzione e al pagamento. L’Italia è tra le più virtuose nell’integrazione dell’e-procurement con gli altri sistemi centrali, nella valutazione e nella gestione dei rischi.

In Belgio, Cile, Francia, Israele, Portogallo e Slovenia, il sistema di e-procurement è collegato con il bilancio e l’ERP del governo centrale. Inoltre, in Austria, Estonia, Grecia, Lettonia e Repubblica slovacca, il sistema di appalti elettronici è integrato con il registro delle imprese. Estonia e Lettonia hanno integrato il loro sistema di appalti elettronici con il registro fiscale locale. Molti paesi hanno iniziato a integrare i sistemi di e-procurement con sistemi di firma elettronica e fatturazione elettronica. Anche se i sistemi di e-procurement sono i principali motori di efficienza negli appalti pubblici, solo una minoranza dei paesi OCSE misura tale efficienza.

Competenze e sistema educativo

La percentuale di giovani che non frequenta l’istruzione, l’occupazione o la formazione (NEET) è diminuita da 6,9 nel 2012 a 5,2 nel 2018. L’Italia mostra un valore molto alto (10%) e tra i peggiori dopo Turchia e Spagna, anche se è da registrare un miglioramento (era 12% nel 2012).

Nel 2019, circa il 61% dei paesi OCSE (22 su 36) ha strategie di formazione o piani d’azione sullo sviluppo delle competenze del personale nel settore pubblico- un aumento sensibile rispetto al 2016 (era inferiore al 50%). Nel 2016, il Portogallo ha rivisto il suo approccio e l’attuale strategia comprende la formazione iniziale (obbligatoria per la maggior parte del personale), la formazione continua e l’auto-formazione. Inoltre, circa il 70% dei paesi sviluppa piani di apprendimento organizzativo all’interno della pubblica amministrazione centrale. Tuttavia, solo la metà dei paesi (18) richiede ai dipendenti pubblici stessi di sviluppare piani di apprendimento individuali.

I dati complessivi suggeriscono che è necessario concentrarsi sulla formazione dei dirigenti e sul coaching come priorità di formazione e che i modelli di apprendimento misto sono sempre più ricercati. Il coaching e il mentoring per i non dirigenti sono una priorità di formazione in undici paesi OCSE, come Germania e Corea.

Nei due terzi dei paesi dell’OCSE sono previste attività specifiche per i leader/dirigenti come catalizzatori di riforme strategiche. Ad esempio, la Germania ha istituito un pool di coaching per dirigenti, mentre gli Stati Uniti utilizzano il proprio Center for Leadership Development. Gli investimenti in iniziative di coaching e tutoraggio sono comunque ancora relativamente bassi.

Dalla rilevazione risulta che in Italia sono presenti iniziative per le strategie di formazione a livello di servizio pubblico, sviluppo di corsi online, formazione sulle competenze digitali ma non rispetto a piani di apprendimento organizzativo, progetti in cui i funzionari pubblici sono chiamati a sviluppare piani di apprendimento individuali, progetti di formazione e coaching per dirigenti, e in generale di coaching e mentoring.

Brevi considerazioni sull’Italia

Il rapporto è molto ricco e qui ne ho riportato brevemente solo alcune parti, soprattutto relative ai temi del digital government (inteso come utilizzo della tecnologia per politiche pubbliche e servizi più centrati sulle persone) e dell’open government. Rispetto alla situazione italiana credo si possano distillare alcune considerazioni e in alcuni casi anche delle possibili indicazioni di priorità:

  • dal punto di vista della digitalizzazione su specifiche aree i risultati sono molto positivi (come già affermato dall’eGovernment benchmark), e la situazione dell’e-procurement lo conferma, ma anche l’incrementata disponibilità dei dati è un buon segnale. Anche gli approcci al design dei servizi, centrato sugli utenti, sono pienamente in linea con quanto auspicato dalle raccomandazioni dell’OCSE;
  • le scelte di governance verso un ruolo sempre più marcato della presidenza del consiglio vanno nella direzione auspicata, e così anche la presenza di una strategia specifica sull’open government (forse però da raccordare in modo più organico con le politiche di trasformazione digitale e con il Piano Triennale ICT), oltre che un’attenzione per il coinvolgimento degli stakeholder nei processi di formazione di normative (anche se soprattutto di secondo livello e con una percezione opposta da parte della popolazione);
  • i risultati dell’Italia sono bassi su alcuni assi, tra cui in particolare emergono il project management delle iniziative di governo digitale, le politiche per le competenze digitali dei cittadini (sui dati, sui servizi digitali, su Internet in generale), l’approccio allo sviluppo delle competenze del personale e in particolare per i dirigenti pubblici (ad esempio per l’e-leadership, oggi principalmente confinata ai soli responsabili per la transizione al digitale), le politiche per il riuso dei dati e quindi per far sì che, come si legge nel rapporto, si costruiscano le condizioni per “alimentare un ecosistema in grado di fornire servizi innovativi e soluzioni politiche attraverso sforzi privati, imprenditoriali e della società civile”.

A fronte di buoni risultati e di miglioramenti visibili, che fanno affermare che sia giusta la direzione intrapresa anche con l’istituzione del ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, le carenze su questi assi fanno sì che il “potenziale” delle iniziative di digital government non sia del tutto sfruttato e non si riesca pertanto a ottenere l’impatto atteso.

L’auspicio è che nei piani strategici in corso di definizione questi assi trovino adeguata priorità.

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