fiscalità digitale

Digital tax: così l’emergenza Covid-19 può spingere verso una soluzione europea

L’introduzione di una digital tax europea in tempi ragionevoli potrebbe essere utile sia per risolvere i problemi di disallineamento tra le varie web tax nazionali sia per finanziare il bilancio dell’Unione in un momento particolarmente critico. I fattori a favore di una soluzione Ue in attesa di un accordo Ocse

Pubblicato il 21 Mag 2020

Alberto Franco

Professore a Contratto di Diritto Tributario presso l’Università di Torino, Ph.D. Of Counsel, Genta & Cappa

web-tax global tax

Alla luce del particolare (se non unico) contesto globale, forse è il momento più adatto affinché l’Unione raggiunga un accordo unanime sull’implementazione della digital tax. Ragionevolmente, nell’attuale situazione potrebbero bastare pochi mesi per apportare alcuni correttivi alla proposta di Direttiva del 2018 ed avere un’approvazione di tale misura entro l’anno, con un’entrata in vigore a partire dal 2021.

Nel frattempo, alla luce anche dell’impossibilità di raggiungere un accordo a livello Ocse entro la fine dell’anno (come era stato ipotizzato prima dell’emergenza) non pare esservi alternativa all’implementazione delle varie web tax nazionali.

Vediamo quali sono i fattori che spingono verso una soluzione europea.

Le conseguenze economiche del covid-19

L’emergenza legata al Covid-19 reca con sé pesanti ed elevatissime conseguenze sul piano economico per tutti gli Stati coinvolti e in questo quadro, la variabile fiscale viene inevitabilmente ad essere un fattore meno determinante.

Eppure, in tale contesto, appare chiaro che nei Paesi più colpiti dall’emergenza la tassazione della digital economy può essere un canale aggiuntivo attraverso cui reperire risorse in grado di finanziare le rilevanti politiche di sostegno al reddito ed alle imprese, politiche che ci si attende verranno implementate per un periodo di tempo non breve.

In una recente intervista al Financial Times, Mario Draghi, già Presidente della BCE, ricordava che nei periodi di guerra “inevitabilmente, in tutti i paesi, la base fiscale venne drammaticamente indebolita dai danni provocati dalla guerra e dall’arruolamento. Oggi, ciò è causato dalle sofferenze umane per la pandemia e dalla chiusura forzosa delle attività economiche”. Di conseguenza “è ormai chiaro che la nostra reazione dovrà far leva su un aumento significativo del debito pubblico. La perdita di reddito a cui va incontro il settore privato – e l’indebitamento necessario per colmare il divario – dovrà prima o poi essere assorbita, interamente o in parte, dal bilancio dello Stato”[1].

In contesto emergenziale come quello attuale, è chiaro che la principale funzione del sistema fiscale è di rendere fruibili gli incentivi fiscali per imprese e individui[2], non certo quello di imporre nuovi tributi nei confronti di un sistema economico in estrema sofferenza; è evidente, come appunto ha rilevato Draghi, che sarebbe insensato pretendere di finanziare l’incremento della spesa pubblica con una ulteriore imposizione fiscale in uno scenario economico in cui, secondo le previsioni più recenti della banca d’affari Goldman Sachs, il PIL italiano per il 2020 è previsto in contrazione dell’11,6% rispetto al 2019 (secondo le medesime previsioni, il PIL in Spagna sarà in calo del 9,7%, in Germania dell’8,9%, in Francia del 7,4%)[3].

Tali previsioni economiche, invero drammatiche, coinvolgono alcuni settori in misura maggiore, mentre altri, in ragione dei cambiamenti imposti dal cosiddetto lock down, sono suscettibili di mantenere (se non addirittura aumentare) i loro risultati. Se si considera il settore della digital economy, si registra infatti, per comprensibili ragioni, un elevato incremento dell’e-commerce, e più in generale delle transazioni attuate attraverso piattaforme digitali.

La tassazione della digital economy

Infatti, l’inevitabile aumento del debito pubblico prospettato da Mario Draghi non comporta certo la rinuncia a priori a qualsiasi intervento fiscale in grado di reperire risorse per finanziare l’aumento di spesa. Semmai, l’attuale situazione comporta l’esigenza di discriminare in misura maggiore i (pochi) settori che possono essere destinatari di una imposizione fiscale aggiuntiva – o meglio, alla luce dei tax rate medi del settore della digital economy, adeguata.

Si è scritto più volte in passato come in tema di tassazione della digital economy le soluzioni di carattere internazionale (OCSE, e in subordine UE) siano senza dubbio preferibili rispetto all’implementazione di web tax a carattere nazionale, sostanzialmente a causa dei problemi di disallineamento e di arbitraggio tra gli Stati che si vengono a manifestare tassando un settore tendenzialmente globale come la digital economy con norme aventi portata esclusivamente nazionale. Tuttavia, è evidente che i progetti intrapresi a livello internazionale hanno intrapreso una – si spera, momentanea – battuta d’arresto.

L’iter della web tax in Europa e Italia

La stessa OCSE, il cui progetto di tassazione della digital economy era giunto ad inizio 2020 ad un punto significativo con le consultazioni relative ai pillar della proposta OCSE pubblicata nell’autunno 2019, pur continuando l’attività relativa ai progetti di medio-lungo termine, si è in questa fase comprensibilmente concentrata sulle questioni di politica fiscale relative all’emergenza sanitaria in atto, anche al fine di fornire ai governi degli Stati membri una possibile mappatura delle misure utilizzabili quale parte della loro risposta immediata alla crisi[4].

Stante quindi l’assenza attuale di un framework condiviso a livello internazionale, e alla luce del fatto che il raggiungimento di un accordo a livello OCSE entro il 2020 (come si era ipotizzato ante emergenza) sembra oggi altamente improbabile, non pare esservi alternativa all’implementazione delle varie web tax nazionali.

Del resto, in Italia, come in vari stati europei, la digital services tax è già operativa, anche se sarebbe necessario che l’Amministrazione finanziaria provvedesse a chiarire alcuni aspetti, tra cui la determinazione della base imponibile rilevante[5]. Anche se questa soluzione, come più volte sottolineato da diversi commentatori, non è il migliore scenario, ad oggi non sembra esserci alternativa realistica.

Le considerazioni a favore di una digital tax europea

Ciò nonostante, si ritiene che nei prossimi mesi occorra procedere verso una digital tax comune a livello europeo.

A favore di una digital tax europea militano infatti diverse considerazioni.

Una prima considerazione attiene alle esigenze di bilancio. E’ significativo osservare che l’Unione Europea si accinge a varare un piano anti-disoccupazione da 100 miliardi di euro; se tale piano dovrà protrarsi nel tempo e – soprattutto – richiedere un incremento delle risorse, una digital tax europea potrebbe essere uno dei canali per il rifinanziamento dello stesso anche su base continuativa.

Una seconda considerazione riguarda la relativa facilità con cui si potrebbe implementare una digital tax europea. Si potrebbe in sostanza riprendere l’originaria proposta europea (proposta di Direttiva COM (2018) 148 del marzo 2018), anche alla luce del fatto che diverse web tax nazionali sono già state elaborate ricalcando tale proposta: ad esempio, le caratteristiche principali e la struttura sia dell’imposta italiana, sia della taxe sur les services numériques adottata dalla Francia nel luglio scorso, sono state modellate proprio sulla base della proposta di Direttiva.

Si potrebbe obiettare che poco più di un anno fa (il 12 marzo del 2019) non si è raggiunto un accordo su tale proposta di Direttiva, sostanzialmente per l’opposizione di alcuni Stati (tra cui Irlanda, Svezia e Danimarca) per cui non sarebbe praticabile procedere su questa strada. E’ altrettanto vero, tuttavia, che il contesto è radicalmente mutato, e le resistenze passate di alcuni Stati possono oggi essere superate facendo leva proprio sull’idoneità di questa imposta a contribuire al finanziamento del bilancio dell’Unione in un momento di particolare tensione finanziaria.

Infine, un’ultima considerazione è legata al fatto che, in assenza del raggiungimento di una soluzione comune a livello OCSE, la via europea consentirebbe di superare le molte tensioni internazionali che hanno caratterizzato nello scorso anno le implementazioni di diverse web tax nazionali, tensioni che hanno coinvolto soprattutto gli Stati Uniti d’America da una parte, e diversi Stati europei (Francia e Italia su tutti) dall’altra, specie in relazione ai dazi sull’importazione di beni paventati negli scorsi mesi dall’amministrazione USA.

E’ chiaro che una risposta comune a livello europeo sarebbe più efficace anche sul piano diplomatico, rispetto ad una serie di interlocuzioni bilaterali con gli USA in cui il “potere negoziale” dei singoli Stati europei sarebbe decisamente minore, tant’è vero che negli ultimi mesi si è assistito finanche ad alcuni significativi revirement da parte dei Paesi europei coinvolti nel prospettato aumento di dazi.

In conclusione, quindi, l’introduzione di una digital tax europea in tempi ragionevoli potrebbe essere utile sia al fine di risolvere i già menzionati problemi di disallineamento tra le varie web tax nazionali presenti all’interno dell’Unione Europea (e di scarso potere negoziale dei singoli Stati europei nel contesto internazionale) sia al fine di finanziare il bilancio dell’Unione in un momento particolarmente critico. Forse proprio l’esigenza del finanziamento della politica economica dell’Unione Europea in questo momento di crisi, preoccupazione particolarmente sentita da alcuni Stati del nord Europa, potrebbe essere la chiave per raggiungere il consenso da parte di tutti gli Stati membri e per implementare finalmente una digital tax sovranazionale.

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  1. M. Draghi, We face a war against coronavirus and must mobilise accordingly, in Financial Times, 25 marzo 2020. Le citazioni riportate sono tratte dalla traduzione del Corriere della Sera – L’Economia del 26 marzo 2020.
  2. Cfr. OCSE, Emergency tax policy responses to the Covid-19 pandemic – Limiting damage to productive potential and protecting the vulnerable, 20 marzo 2020.
  3. AGI, Per Goldman Sachs il Pil dell’Italia calerà dell’11,6% nel 2020, 24 marzo 2020.
  4. Cfr. Pascal Saint-Amans, Tax in the time of COVID-19, 23 marzo 2020: “While the OECD will keep working on long-term projects like tax co-operation among countries, international standards to eliminate double taxation, and the mobilisation of domestic resources, we have prioritised work on a range of targeted and temporary tax policy and tax administration measures governments could consider as part of their immediate response”.
  5. Cfr. F. Astolfi, Boom dell’e-commerce e del digitale, è ora di venire a capo della Digital Tax, in Corriere Comunicazioni (www.corrierecomunicazioni.it), 24 marzo 2020.

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