Nell’ambito del programma della Commissione Europea denominato “Piano per la ripresa dell’Europa”, la Commissione ipotizza, quale possibile intervento per ottenere ulteriori risorse a beneficio del piano “Next Generation EU”, l’istituzione di una imposta digitale sulle imprese con un fatturato annuo mondiale superiore a 750 milioni di euro, imposta che – secondo le valutazioni della Commissione – potrebbe generare fino a 1,3 miliardi di euro annui[1].
Una cifra esigua, che probabilmente non giustificherebbe ulteriori contrapposizioni tra gli Stati membri e tra questi e la Commissione.
Appare quindi lecito chiedersi, prima ancora dal punto di vista “politico” che fiscale, se l’approccio della Commissione di utilizzare alcuni dei suoi poteri per andare ad incidere sulla fiscalità diretta, materia che ai sensi dei Trattati non è in via di principio di sua competenza, sia sostenibile.
Facciamo il punto.
L’accelerazione del processo verso una digital tax europea
In precedenti contributi si era già dato conto come in effetti la tassazione della digital economy avrebbe potuto rappresentare un canale aggiuntivo attraverso cui reperire risorse in grado di finanziare le rilevanti politiche connesse all’emergenza Covid-19, e tale approccio sembra essere quello effettivamente adottato in sede europea[2].
L’accelerazione del processo verso una digital tax europea, tuttavia, non si collega solo al reperimento di ulteriori risorse (peraltro, come si vedrà meglio in seguito, piuttosto esigue rispetto ad altri canali di finanziamento) ma è anche correlata alla sospensione da parte degli Stati Uniti delle trattative in sede OCSE volte al raggiungimento di un accordo globale sulla tassazione dell’economia digitale. L’Amministrazione statunitense ha infatti comunicato nello scorso giugno la volontà di concentrarsi sulla emergenza Covid-19 e di sospendere le negoziazioni su questioni ritenute meno urgenti[3].
Tali recenti vicende sono senza dubbio di particolare rilevanza poiché, com’è noto, il tema della tassazione della digital economy è ormai da tempo appannaggio anche della diplomazia e dei rapporti internazionali tra gli Stati, e non solo del “tecnicismo” tributario. A ciò consegue che anche il tema della tassazione dell’economia digitale è soggetto alle usuali dinamiche della politica internazionale: minacce più o meno velate di imposizione di dazi doganali, temporeggiamenti, dichiarazioni più o meno concilianti, e così via.
Gli ostacoli a una posizione unitaria Ue
È di qualche giorno fa, infatti, l’articolo del Commissario UE all’Economia, Paolo Gentiloni, pubblicato sul Financial Times, secondo cui “the commission stands as one” con gli Stati membri nei confronti dei quali l’Amministrazione USA ha paventato sanzioni collegate all’introduzione di singole web tax nazionali. Il Commissario ha aggiunto, peraltro, un perentorio “if needed, we will react as one”[4].
In via di principio, non si può che concordare con le affermazioni del Commissario all’Economia. Del resto, è ormai evidente che il tema della tassazione, e soprattutto della tassazione dell’economia digitale, è una delle principali priorità della Commissione[5].
Tuttavia, dal punto di vista pratico, è piuttosto dubbio che l’Unione possa reagire e comportarsi all’unisono, quantomeno nel contesto attuale. In questo particolare periodo, trovare un consenso all’interno dell’Unione Europea su questi temi fiscali non sembra infatti meno difficile che raggiungere un accordo a livello OCSE.
Inizialmente l’emergenza Covid-19 sembrava un’occasione per trovare velocemente un punto di accordo tra tutti gli Stati membri circa l’implementazione di una web tax europea, riprendendo l’originaria proposta di Direttiva europea del marzo 2018, sulla base della quale diverse web tax nazionali sono già state strutturate (ad esempio, le imposte italiana e francese).
Tuttavia, il percorso sembra decisamente più in salita rispetto a quanto ci si poteva attendere fino a poco tempo fa: anche su questo argomento – come nella nota vicenda relativa al Recovery Fund – si manifestano profonde differenze, se non vere e proprie spaccature, tra i diversi Stati dell’Unione. A differenza dei negoziati relativi al Recovery Fund, in cui la principale opposizione al programma europeo veniva dai Paesi cosiddetti “frugali”, nella questione relativa alla digital tax il dibattito vede contrapposti la Commissione (insieme a gran parte degli Stati membri) e gli Stati che più si sono avvantaggiati negli ultimi anni di una politica fiscale aggressiva e concorrenziale.
Ad ulteriore dimostrazione del fatto che un accordo unanime su questi temi sembra molto difficile da raggiungere in sede europea, vi è l’ipotesi ventilata dalla Commissione di superare il principio dell’unanimità in materia fiscale avvalendosi di quanto previsto dall’articolo 116 del Trattato di Lisbona, secondo il quale in relazione a «una disparità esistente nelle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri [che] falsa le condizioni di concorrenza sul mercato interno e provoca, per tal motivo, una distorsione che deve essere eliminata» non occorre il voto all’unanimità ma è sufficiente il voto a maggioranza qualificata[6]. Il fatto che sul punto la Commissione non intenda cedere è reso ancor più evidente dal fatto che lo stesso Paolo Gentiloni ha ammesso che sarebbe la prima volta in cui l’articolo 116 trova applicazione, e che pertanto essa dovrebbe essere basata su fatti inconfutabili[7] – e ciò dimostra anche che la Commissione è consapevole che questo approccio può essere percepito quale un tentativo di “forzare la mano”.
Ora, è pur vero che, anche recentemente, la Commissione ha avuto conferma del fatto che alcuni sistemi normativi dell’Unione, quali quello relativo agli aiuti di Stato, possono essere utilizzati al fine di determinare se pratiche fiscali particolarmente “aggressive” degli Stati membri siano o meno conformi alla legislazione europea senza che ciò vada oltre le competenze ad essa attribuite dal Trattato sull’Unione Europea (che assegna agli Stati membri, e non all’Unione, la disciplina delle imposte dirette)[8].
Tale approccio della Commissione ha però ricevuto non poche critiche, sia a livello politico che nella giurisprudenza dell’Unione Europea, proprio in relazione alla problematica dimostrazione delle circostanze di fatto sulle quali si sono basate le decisioni della Commissione (in specie, nell’ambito della disciplina sugli aiuti di Stato, l’esistenza di un vantaggio selettivo); tant’è vero che sul punto la Commissione ha “incassato” dalla Corte di Giustizia e dal Tribunale UE più sconfitte che vittorie.
Conclusioni
Torniamo allora alla domanda iniziale: è sostenibile l’approccio della Commissione di utilizzare alcuni dei suoi poteri per andare ad incidere sulla fiscalità diretta, materia che ai sensi dei Trattati non è in via di principio di sua competenza? In questa prospettiva appare piuttosto comprensibile la reazione non positiva dell’Irlanda[9].
A ciò si aggiunge inoltre il fatto che il gettito previsto da una possibile digital tax europea potrebbe non essere così consistente da giustificare uno scontro tra Commissione e alcuni Stati membri: come già menzionato in precedenza, il gettito previsto da tale imposta potrebbe arrivare a 1,3 miliardi annui, importo piuttosto esiguo sia in termini assoluti (si consideri che la sola imposta di registro italiana nel periodo gennaio-maggio 2020 ha comportato un gettito pari ad euro 1,4 miliardi)[10] ma soprattutto in termini relativi, sia a confronto dei 750 miliardi di euro che la Commissione si prefigge di prendere a prestito nel periodo 2020-2024, sia avendo a riferimento altri interventi ipotizzati in sede europea.
Sembra potersi osservare, in conclusione, che se dal punto di vista della politica fiscale l’azione della Commissione sembra effettivamente procedere senza ulteriori rinvii (e ciò, in assenza di una soluzione comune a livello OCSE, è comunque da giudicare positivamente), dal punto di vista quantitativo gli introiti sopra rappresentati difficilmente possono giustificare l’alimentare ulteriori contrapposizioni tra gli Stati membri, nonché tra questi e le istituzioni europee, in un contesto attuale in cui i rapporti internazionali tra i Paesi risentono ancora dei serrati negoziati intercorsi nell’ultimo Consiglio Europeo.
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- Cfr. Commissione Europea, Finanziare il piano di ripresa per l’Europa, 27 maggio 2020 ↑
- A. Franco, Digital tax: così l’emergenza Covid-19 può spingere verso una soluzione europea, Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu), 21 maggio 2020. ↑
- Cfr. F. Meta, Stretta dell’Europa sulle big tech. Gentiloni svela il piano anti “paradisi digitali”, Corriere Comunicazioni (www.corrierecomunicazioni.it), 15 luglio 2020. ↑
- P. Gentiloni, An EU tax crackdown is essential for sustainable growth, Financial Times, 15 luglio 2020. ↑
- Anche nella lettera di incarico della Presidente Von Der Leyen al commissario Gentiloni, infatti, si menziona espressamente il compito di «garantire che le politiche fiscali siano eque e adatte all’economia digitale e facilitino le attività transfrontaliere delle imprese e delle persone. Dovremo adattare i nostri regimi fiscali a un mercato del lavoro in evoluzione e a modelli di business nuovi ed emergenti. Dovrà guidare gli sforzi internazionali volti a trovare un approccio concordato in materia di tassazione del digitale, collaborando con i nostri partner dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e del G20. Se entro la fine del 2020 non emergerà un consenso, dovrà continuare a lavorare sulla proposta di tassa europea equa del digitale». ↑
- S. Quintarelli, Niente fisco, siamo big tech: ecco regole innovative per salvare le democrazie, Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu), 16 luglio 2020. ↑
- S. Quintarelli, op. cit., Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu), 16 luglio 2020. ↑
- Si veda, con riferimento al caso Apple v. Commissione, parr. 123-124 della recente sentenza del Tribunale UE del 15 luglio scorso (relativa alle cause T-778/16 e T-892/16). ↑
- Cfr. S. Quintarelli, op. cit., Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu), 16 luglio 2020: «ovviamente l’Irlanda non è di questo parere, e lo ha fatto sempre presente sostenendo che per intervenire su qualsiasi proposta fiscale a livello UE sia necessaria l’unanimità. In una conferenza stampa il ministro delle finanze irlandese Paschal Donohoe ha detto che non avrebbe commentato una proposta finché non l’avesse vista in dettaglio ed ha altresì detto che “Le nostre preoccupazioni e le nostre opinioni in relazione al mantenimento dell’unanimità nel modo in cui vengono seguite certe procedure decisionali sono ben note”». ↑
- Ministero dell’Economia e delle Finanze, Bollettino delle entrate tributarie n. 219 – maggio 2020, pubblicato a luglio 2020. ↑