L'ANALISI

Digital tax rompicapo contabile, il valore nascosto dei dati personali

“I dati sono moneta corrente”, dice Margrethe Vestager. Stabilirne il peso fiscale è la vera sfida per riequilibrare i mercati nell’attuale rivoluzione industriale. Ecco una serie di ipotesi in grado di rilanciare strategie alternative. Che possano individuare le leve economiche “blindate” nei server delle big tech

Pubblicato il 23 Apr 2020

Ottavio Ziino

Presidenza del Consiglio dei ministri

Trade-Secret1-2000x1200

Se i dati sono moneta corrente, la loro raccolta da parte delle imprese digitali è equiparabile a valore accumulato. Ovvero a disponibilità liquide. Partiamo da qui per costruire una suggestione fiscale riequilibrante degli elementi identitari espropriati in rete e aprire la strada a efficaci soluzioni di digital tax.

Questo articolo è una sintesi del capitolo V del testo Ragione(ria) della quarta rivoluzione industriale. Asimmetrie e spossessamento nella rete, Capponi Editore, gennaio 2020.

Quanto riportato è espressione di libera manifestazione del pensiero, da contestualizzare rispetto all’approccio volutamente provocatorio utilizzato per la trattazione degli argomenti proposti in lettura. Le opinioni espresse non riflettono posizioni, punti di vista etc. dell’Amministrazione pubblica presso la quale lo scrivente presta servizio, né gli argomenti trattati hanno specifica attinenza con i compiti svolti. L’articolo non impegna minimamente le Istituzioni e gli Autori citati.

Si ringraziano i Proff. Stefano Mannoni e Paolo Quattrone e i dott.ri Alessandro Gattuccio e Guido Stazi per le occasioni di confronto e approfondimento.)

Dati personali: i moneta-dati

Gli acquisti di servizi informativi attraverso internet, definiti in buona parte dalle piattaforme, avvengono tramite cessione di dati personali, di cui non si ha piena consapevolezza.

Nel seguito chiameremo moneta-dati i dati ceduti dagli utenti per acquistare servizi informativi. Per moneta-denaro intenderemo la moneta corrente con la quale si paga.

I rapporti tra le piattaforme e gli utenti sono così schematizzabili

Web tax, un utopistico intervento tributario

Il dibattito sull’imposizione tributaria delle aziende leader del digitale si è arricchito d’importanti contributi, volti a tenere conto della ricchezza rappresentata dai dati.

Il professor Franco Gallo propone la bit tax[2]. Questa imposta, tuttavia, non considera il differente valore dei dati trasmessi, sicché trasmissioni di elevate dimensioni, ma con esiguo valore, sarebbero assoggettate a un maggior prelievo tributario rispetto a trasmissioni di ridotte dimensioni, ma di rilevante valore.

Nel seguito si illustrerà un utopistico intervento tributario.

Preliminarmente va chiarito che la creazione di valore da parte delle aziende leader del digitale, intesa quale capacità di accrescere la propria capitalizzazione di borsa, appaia poco compatibile con le tradizionali metodologie di estimo. Ciò ha comportato un ripiegamento della teoria rispetto ai prezzi espressi dal mercato e, per questo motivo, si replicano i segnali provenienti dal mercato, caratterizzati da variabilità, che sono tradotti in moltiplicatori.

Il valore di un’impresa è infatti spesso quantificato moltiplicando il fatturato, l’ebit etc. per dei numeri, i moltiplicatori, al fine di stimarne l’ammontare, in ragione dei prezzi espressi dal mercato per imprese simili. I prezzi la fanno da padrone e la teoria li insegue, senza arrivare ad astrazioni concettuali completamente solide: perché il moltiplicatore di una posta di bilancio per calcolare il valore economico di un’impresa è 20, 25 o 30? Altre volte i consigli degli analisti poggiano sull’interpretazione di sentiment: tweet, pagine facebook etc.

Prezzi delle azioni e competizione algoritmica

Non sembra utopistico affermare che, più semplicemente, i prezzi delle azioni sono dovuti sia agli esiti di competizioni tra algoritmi di trading, sia al valore della moneta-dati, contenuta nei server delle imprese leader del digitale, ed entrambi questi elementi non sono conosciuti dagli analisti.

Gli algoritmi di trading azionario e la moneta-dati raccolta nei big data potrebbero volare sopra la teoria e le previsioni degli analisti che, dal basso, cercano di indovinare le traiettorie che imprimeranno ai prezzi delle azioni.

A supporto di quanto esposto si consideri che il 26 febbraio 2020 (questa data è stata scelta a caso, prima della volatilità della borsa per l’infausta pandemia di Covid-19), il prezzo di un’azione Amazon era pari a 15,9 volte circa l’importo del patrimonio contabile netto per azione, Microsoft 12,7 volte, Apple 14,4 volte, Google 4,75 volte e Facebook 5,57 volte (V. tabella 1). Ciò significa che il patrimonio contabile netto per azione era pari a una modesta frazione dei prezzi delle azioni (Amazon 6,30%, Microsoft il 7,87%, Apple il 6,96%, Google 21,05% e Facebook 17,97%).

Dato che, ceteris paribus, l’importo del patrimonio contabile netto per azione dipende dalle liquidità aziendali (> liquidità = > patrimonio contabile netto, per importi equivalenti), lo scollamento tra la metrica della ragioneria e i prezzi delle azioni è più marcato. Tutto ciò in virtù del fatto che, fermo restando che il prezzo di mercato delle liquidità contabili coincide con gli importi riportati in bilancio, il prezzo delle azioni è ascrivibile a una ancor più contenuta quota di patrimonio contabile netto. Anche le attività immateriali di bilancio accrescono lo scollamento tra prezzi delle azioni e importi delle voci contabili, in quanto le attività immateriali sono poste contabili caratterizzate da incertezze di realizzo nel caso di loro vendita, per cui si riducono le garanzie degli azionisti e dei terzi.

Nella successiva tabella sono riportati alcuni dati riguardanti le prime cinque aziende USA leader del digitale per mostrare elementi di scollamento tra la metrica contabile e i prezzi delle azioni.

tabella 1

Prezzi delle azioni delle big five del digitale

(le OTT, Over The Top)

e voci contabili riportate nei bilanci (a)

Società
AmazonMicrosoftAppleGoogleFacebook
APrezzo dell’azione ($)1.979,59170,17292,651390,47197,2
BPatrimonio contabile netto per azione ($)124,618513,388720,3653292,651135,4327
CLiquidità per azione ($)110,483917,508722,6315173,861619,2339
DB – C. Patrimonio contabile netto per azione meno le liquidità per azione ($)14,1346– 4,12– 2,2662118,789516,1988
EA – C. Prezzo dell’azione meno le liquidità per azione ($)1.869,1061152,6613270,01851.216,6084177,9661
FA / B. Prezzo dell’azione / Patrimonio contabile netto per azione15,885212,7114,374,75135,5655
GE / D. Prezzo dell’azione meno le liquidità per azione / Patrimonio contabile netto per azione meno le liquidità per azione132,2362– 37,0537– 119,150310,241710,9864
HCapitalizzazione di borsa, ossia valore di tutte le azioni in miliardi ($)985,46061.294,321280,484956,5748562,1089
(a) I prezzi delle azioni sono quelli rilevati alla chiusura delle contrattazioni di borsa del 26.02.2020. I dati contabili sono riferiti ai più recenti bilanci. Fonte Fineco

Alcuni chiarimenti:

  • A) nel primo rigo sono riportati i prezzi delle azioni delle OTT il 26 febbraio 2020;
  • B) il patrimonio contabile netto per azione esprime l’importo del patrimonio contabile netto di ciascuna azione;
  • C) le liquidità per azione sono uguali al totale delle attività liquide dell’azienda (cassa, c/c bancari attivi etc.) diviso per il numero delle azioni emesse. Questo importo dà evidenza dell’ammontare delle liquidità aziendali riferibili a ciascuna azione. L’importo delle liquidità riportato in bilancio è necessariamente identico al loro prezzo, perché 10 dollari rilevati nella voce di bilancio “cassa” non possono che valere 10 dollari ed essere prezzati 10 dollari;
  • D) il patrimonio contabile netto per azione meno le liquidità per azione fornisce la misura della quota del patrimonio contabile netto riferibile a ciascuna azione, qualora l’azienda si privasse della propria liquidità. Al netto delle liquidità aziendali, per le quali l’importo contabile è uguale al prezzo, a ciascuna azione Amazon era riferibile un patrimonio contabile netto pari a $ 14,1346, a ciascuna azione Google pari a $ 118,7895 e, nel caso di Facebook, a $ 16,1988. Il patrimonio contabile netto di ciascuna azione Microsoft e Apple, al netto delle liquidità per azione, era pari, rispettivamente, a – $ 4,12 e a – $ 2,2662, cioè gli azionisti avrebbero posseduto passività qualora Microsoft e Apple fossero state private delle proprie liquidità. A fronte di questa circostanza, il prezzo di una azione Microsoft meno le liquidità per azione era pari a $ 152,6613 (rigo E); $ 152,6613 (prezzo dell’azione meno le liquidità per azione) dei $ 170,17 del prezzo dell’azione Microsoft, vale a dire il 90% circa, erano a fronte di passività contabili, mentre la rimanente parte, cioè il 10% circa, era a fronte di liquidità che, come sappiamo, sono riportate in bilancio esattamente quanto le prezza il mercato e quanto valgono. I 9/10 del prezzo di una azione Microsoft, che il 26 luglio 2020 era l’azienda con la maggiore capitalizzazione di borsa del mondo, non sarebbero spiegabili con la metrica contabile, perché la spiegazione poggerebbe in corrispondenti passività contabili nette per – $ 4,12 che, per l’appunto, dovrebbero valere $ 152,6613 (idem nel caso di Apple);
  • E) il prezzo dell’azione meno le liquidità per azione esprime il valore di ogni azione, qualora l’azienda si privasse della propria liquidità;
  • F) il rapporto prezzo dell’azione / patrimonio contabile netto per azione misura quante volte il prezzo di un’azione sia superiore alla corrispondente quota di patrimonio contabile netto. Il 26.02.2020, il prezzo di ciascun titolo Amazon era pari a 15,9 volte la corrispondente quota di patrimonio netto aziendale (12,7 volte Microsoft, 14,4 Apple, 4,7 Google e 5,6 Facebook).
  • G) Il rapporto prezzo dell’azione meno le liquidità per azione / patrimonio contabile netto per azione meno le liquidità per azione confronta due valori nettati dell’importo delle liquidità per azione. Si rapportano, quindi, due valori depurati degli stessi importi che entrambi li ricomprendono, permettendo un confronto al netto di importi duplicati al numeratore e al denominatore, che potrebbero alterare il valore segnaletico del risultato della divisione. Il 26.02.2020, il prezzo di una azione Amazon meno le liquidità per azione risultava oltre 132 volte di più della corrispondente quota del patrimonio contabile netto attribuibile a ogni azione defalcata dell’importo delle liquidità per azione (il patrimonio contabile netto di ogni azione Amazon meno le liquidità per azione spiegava appena lo 0,76% del prezzo dell’azione meno le liquidità per azione). Il rapporto in questione (e la quota del prezzo dell’azione spiegata dagli importi contabili) era pari per Google a 10,2 (9,76%) e per Facebook a 10,9 (9,1%). Microsoft ed Apple hanno un patrimonio contabile netto per azione meno le liquidità per azione negativo, sicché il mercato prezzava 37 volte le passività contabili nette di ciascuna azione Microsoft, pari a – $ 4,1, e 119,1 volte le passività contabili nette di ciascuna azione Apple, pari a – $ 2,3 (?).

Prezzi delle azioni e valutazioni degli investitori

Il patrimonio contabile netto di ciascuna azione delle imprese della tabella 1 è di molto distante dai prezzi delle azioni che sono molto più elevati. Queste divergenze sono più marcate qualora le poste contabili e i prezzi delle azioni fossero rielaborati per confronti più puntuali (ad es., al netto delle liquidità).

Un’ipotizzabile spiegazione potrebbe risiedere nella circostanza che la contabilità sia basata su una metrica di misurazione della situazione economica, finanziaria e patrimoniale aziendale che utilizza misuratori condivisi e noti ex ante, cosicché siano possibili confronti tra aziende e delle performance aziendali nel corso del tempo. La contabilità, pertanto, non considera le valutazioni soggettive degli investitori sulle prospettive aziendali che influiscono sui prezzi delle azioni.

La differenza positiva tra prezzi di mercato delle azioni e corrispondenti quote di patrimonio contabile netto è generalmente chiamata “avviamento”.

L’avviamento può essere riportato in bilancio solo a seguito del pagamento di un prezzo, quindi unicamente in occasione dell’acquisto, da parte di un’impresa di un’altra impresa, per importi che eccedano il valore del patrimonio contabile netto dell’impresa acquisita.

L’avviamento, qualora fosse espresso dal mercato quale differenza positiva tra prezzi delle azioni e corrispondenti importi del patrimonio contabile netto, non figurerebbe tra le attività di bilancio, perché l’azienda non ha pagato un prezzo, né accrescerebbe, conseguentemente, l’importo del patrimonio contabile netto. In altri termini, l’avviamento è la risultante delle valutazioni del mercato sulle prospettive aziendali che prescinde dall’importo del patrimonio contabile netto e, addirittura, l’avviamento potrebbe essere negativo, sicché i prezzi delle azioni potrebbero essere minori delle corrispondenti quote di patrimonio contabile netto per azione (circostanza questa riscontrabile per molte imprese quotate).

Con riferimento alla tabella 1, la gran parte dei prezzi delle azioni non è comprensibile con la tradizionale metrica contabile, ma è dovuta a valutazioni del mercato. Ancora più consistente è la non comprensibilità dei prezzi qualora fosse riferita a prezzi delle azioni e importi contabili rielaborati per meglio confrontarli (ad es. al netto delle liquidità e/o delle attività immateriali).

Monete-dati contenute nei server

Senza che si voglia disconoscere la fondatezza dell’avviamento assegnato dal mercato alle imprese della tabella 1, si potrebbe ipotizzare di approfondire in cosa possano risiedere le positive prospettive aziendali assegnate dal mercato a dette imprese, che si traducono in prezzi delle azioni assai maggiori del patrimonio contabile netto per azione.

In pratica, l’avviamento potrebbe ipotizzarsi che sia dovuto, almeno in parte, al valore, espresso in moneta-denaro, della moneta-dati contenuta nei server delle imprese di cui si discute?

Atteso che I dati sono moneta corrente nel mercato (Margrethe Vestager, 2018), l’avviamento di queste società potrebbe essere ricondotto anche alle difficoltà della contabilità di valorizzare e riportare in bilancio i dati personali sugli utenti della rete contenuti nei server che consentono la produzione di informazioni che miglioreranno le performance aziendali in termini di utili, quote di mercato, controllo, raccolta di ulteriore moneta-dati etc.?

Se i dati sono moneta corrente, la loro raccolta nei server delle imprese è equiparabile a valore accumulato ovverosia, mutatis mutandis, a disponibilità liquide, che si appalesa in moneta-denaro tramite prezzi delle azioni notevolmente maggiori del patrimonio contabile netto per azione?

La contabilità che rileva le sole transazioni in moneta-denaro e che, quindi, tiene fuori quelle in moneta-dati, potrebbe contribuire alla distanza tra prezzi delle azioni e corrispondenti patrimoni contabili netti?

In sintesi, pertanto, la moneta-dati posseduta dalle imprese leader del digitale potrebbe concorrere alla differenza tra prezzi delle azioni e corrispondenti importi del patrimonio contabile netto?

Ipotesi di prelievo tributario

Qualora questi interrogativi possano suscitare elementi di condivisione, si potrebbe ipotizzare di sottoporre a prelievo tributario il valore della moneta-dati coerentemente con la valorizzazione di questo asset da parte del mercato. In questa prospettiva, l’imponibile potrebbe sostanziarsi in una percentuale del maggior valore dei prezzi delle azioni rispetto ai corrispondenti importi del patrimonio contabile netto o considerando configurazioni di prezzi delle azioni e importi contabili riclassificati, per essere più idonei alla definizione dell’imponibile.

L’imponibile di cui si discute potrebbe essere assoggettato a un’aliquota d’imposta periodica.

Questa discutibile suggestione d’imposizione tributaria consentirebbe, in ogni caso, il prelievo tributario sul valore della moneta-dati qualora fosse capitalizzata tra gli asset delle imprese ed esposta nei bilanci espressi in moneta-denaro, per evitare di sottometterla al prelievo tributario prima ipotizzato, perché queste decisioni contabili, qualora ammissibili, aumenterebbero gli utili espressi in $, euro etc. e, quindi, il prelievo tributario sugli utili rilevati con la tradizionale metrica contabile.

In parole povere, la privatizzazione dei dati personali degli utenti della rete nei server delle imprese leader del digitale, consentirebbe agli azionisti di queste imprese di beneficiare di extra valore economico, che potrebbe essere il riferimento per immaginare forme di prelievo tributario volte a introdurre elementi di riequilibrio tra le aziende leader del digitale e la collettività. Questa suggestione di prelievo tributario dovrebbe comunque riguardare le imprese che superino significative soglie dimensionali, al fine di: i) mitigare monopoli in settore del digitale; ii) ridurre le barriere all’entrata e favorire la crescita dimensionale delle imprese medio-piccole, con benefici effetti sulla concorrenza; iii) promuovere, conseguentemente, maggiori livelli di consumer welfare.

I beneficiari del prelievo tributario potrebbero essere le differenti amministrazioni finanziarie delle nazioni i cui cittadini hanno contribuito, con i propri dati personali, ad alimentare i big data delle imprese leader del digitale (es., numero utenti di nazionalità α contenuti nei server dell’impresa Z leader del digitale / numero totale di utenti contenuti nei server dell’impresa Z = quota del prelievo tributario a carico dell’impresa Z da assegnare all’amministrazione finanziaria della nazione α).

L’imponibile è immaginabile pari a una percentuale della differenza tra la capitalizzazione di borsa e il patrimonio contabile netto (previa eventuale loro rettifica). Fare riferimento, tout court, alla differenza tra la capitalizzazione di borsa e il patrimonio contabile netto significherebbe, infatti, omettere di considerare elementi che concorrano alla differenza in questione e che non siano riconducibili alla moneta-dati contenuta nei server delle imprese del digitale. Infatti, qualora non si tenesse conto di questa circostanza, si potrebbero penalizzare le imprese leader del digitale.

Ai fini della definizione della percentuale in discussione, si potrebbe fare riferimento alla differenza tra queste due aliquote percentuali:

Primo termine. Aliquota percentuale: Patrimonio contabile netto (eventualmente rettificato) dell’aggregato di imprese riportato al denominatore / Capitalizzazione di borsa (eventualmente rettificata) delle imprese del settore dei servizi, di altri settori, dell’intero listino azionario etc

MENO

Secondo termine. Aliquota percentuale: Patrimonio contabile netto (eventualmente rettificato) dell’impresa Z leader del digitale / Capitalizzazione di borsa (eventualmente rettificata) dell’impresa Z.

=

Risultato. Aliquota percentuale: Maggiore capitalizzazione di borsa, in termini relativi, dell’impresa Z leader del digitale rispetto a un aggregato di imprese di riferimento.

Il primo termine della sottrazione esprime l’incidenza percentuale del patrimonio contabile netto di un raggruppamento di imprese rispetto alla corrispondente capitalizzazione di borsa. Questo termine fornisce un’approssimazione di quale sia, nella media e/o in settori del mercato borsistico, l’incidenza percentuale del patrimonio contabile netto rispetto alla capitalizzazione di borsa.

Il secondo termine della sottrazione misura l’incidenza percentuale del patrimonio contabile netto di una qualunque impresa leader del digitale, rispetto alla propria capitalizzazione di borsa.

Il risultato della sottrazione esprimerebbe, in termini percentuali, la maggiore capitalizzazione di borsa di un’impresa leader del digitale rispetto a un raggruppamento di imprese di riferimento, che si potrebbe ricondurre, anche in parte, alla moneta-dati contenuta nei propri server.

Il risultato della sottrazione, moltiplicato per la differenza tra la capitalizzazione di borsa (eventualmente rettificata) di un’impresa leader del settore del digitale e il proprio patrimonio contabile netto (eventualmente rettificato), darebbe una possibile approssimativa misura, in valore assoluto, del valore, espresso in moneta-denaro, della moneta-dati custodita nei propri server.

Primo fattore. Aliquota percentuale: Maggiore capitalizzazione di borsa, in termini relativi, dell’impresa Z leader del digitale rispetto a un aggregato di imprese di riferimento.

X

Secondo fattore. Valore numerico: Capitalizzazione di borsa (eventualmente rettificata) dell’impresa Z meno Patrimonio contabile netto (eventualmente rettificato) dell’impresa Z

=

Risultato. Prodotto Valore numerico: Imponibile dell’impresa Z leader del settore del digitale da assoggettare a prelievo tributario.

Il prodotto della moltiplicazione potrebbe essere l’imponibile da assoggettare a prelievo tributario[3], in quanto valore che sfuggirebbe alle tradizionali rilevazioni contabili, prefigurate per altri contesti e tipologie d’imprese. Questo valore è ben diverso dal rilevante minore valore di alcuni beni immateriali del periodo pre-digitale, anch’essi non rilevati contabilmente, quali i listini dei clienti e dei fornitori, perché questi ultimi non contenevano i loro comportamenti elaborati da software con finalità predittive e di controllo. Il valore in argomento è una conoscenza delle persone (Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, Luiss University Press, 2019):

  • che potrebbe oltrepassare la loro personale conoscenza di se stessi;
  • non strumentale agli utenti ma a beneficio delle imprese leader del digitale;
  • che, qualche anno addietro, non s’immaginava che esistesse e che potesse essere conosciuta.

L’arco temporale al quale fare riferimento potrebbe essere la media delle quotazioni delle azioni e degli importi delle voci contabili durante un esercizio, per evitare rilevazioni puntuali che potrebbero risentire dell’andamento contingente del mercato borsistico, delle quotazioni delle singole imprese leader del digitale, di variazioni delle voci contabili (pagamento di dividendi, aumenti/riduzioni del capitale sociale, etc., che modificano l’importo del patrimonio contabile netto) etc.

L’aliquota di prelievo tributario da applicare all’imponibile potrebbe essere:

  • proporzionale;
  • progressiva;
  • differentemente graduata sulla base della classe dimensionale delle imprese (fermo restando l’inapplicabilità del prelievo tributario per le imprese di medio-piccole dimensioni);
  • correlata all’entità dei big data posseduti, alle loro caratteristiche etc.;
  • applicata sul solo stock di imponibile o, con differenti aliquote, sullo stock di imponibile e sulle sue variazioni rispetto all’esercizio precedente, etc.;
  • più contenuta, qualora Istituzioni pubbliche potessero accedere a notizie sui big data, sugli algoritmi etc. delle imprese del digitale, al fine di comunicare agli utenti quanto ritenuto utile;
  • ridotta, qualora fossero rese obbligatorie significative certificazioni sull’utilizzo dei dati, i criteri di profilazione, il funzionamento degli algoritmi etc.

Con riguardo a quanto in ultimo riportato, potrebbe pienamente non comprendersi come mai a fronte dell’introduzione di certificazioni aziendali internazionali di vario genere (ISO 9001, ISO 14001, OHSAS 18001, ISO 27001, ISO 22000 etc), con impatti sulla collettività ritenuti meritevoli di tutele, non siano state introdotte certificazioni particolarmente stringenti per le imprese leader del digitale.

Ragioneria e digital transformation

In conclusione, un differente approccio della ragioneria potrebbe essere di ausilio ai fini della comprensione della rivoluzione digitale in atto. La ragioneria potrebbe inoltre approfondire la ragione – intesa come rapporto secondo il quale due valute si scambiano fra di loro – tra la moneta-denaro, ossia la moneta corrente, e la moneta-dati, cioè i dati raccolti dalle imprese leader del digitale rielaborati per finalità anche predittive e di influenza, attese le inedite modalità con le quali concretamente si regolano le transazioni in rete. In questa prospettiva, la ragioneria potrebbe contribuire alla definizione di modalità differenti da quelle attuali per assoggettare a prelievo tributario la moneta-dati espropriata dalle imprese leader del digitale.

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