PSICO-TECNOLOGIA

Digitale antidoto alla noia: psicologia ai tempi del Coronavirus

Il forzato isolamento accende un riflettore sulle caratteristiche di Internet: non solo “agente provocatore” di comportamenti asociali, ma anche fattore in grado di trasformare stati d’animo negativi. Il quadro psicologico che accompagna il super-ricorso ai media elettronici: dinamiche ed efficacia

Pubblicato il 19 Mar 2020

Roberto Pozzetti

Psicoanalista, Professore a contratto LUDeS Campus Lugano, Professore a contratto Università dell'Insubria, autore del libro 'Bucare lo schermo. Psicoanalisi e oggetti digitali', già referente per la provincia di Como dell'Ordine degli Psicologi della Lombardia

digital alienation

Gli schermi digitali stanno diventando centrali per gli italiani (ma non solo). Ed è proprio l’attuale condizione di auto-isolamento che fa emergere il lato positivo del loro utilizzo, grazie alle dinamiche che imprimono alla mente umana. Analizziamo lo scenario e i fattori che determinano l’attuale cultura digitale.

Il digitale provoca la noia: vero o falso?

In tempi di restrizioni delle consuete attività dovute all’epidemia del coronavirus, specialmente per chi come noi si trova nella “zona rossa”, l’esperienza della noia emerge in primo piano nella vita quotidiana. Trascorrere davanti agli schermi digitali i momenti liberi dagli impegni professionali, soprattutto quando molteplici opportunità ricreative e aggregative vengono vietate, è qualcosa che determina il vissuto della noia? Fare ricorso al mondo digitale impedisce di trovare modalità sane di divertimento?

Fra le considerazioni comuni quanto all’organizzazione della quotidianità nel mondo contemporaneo vi è quella relativa a una certa bulimica iperattività che va a colmare qualsiasi mancanza, qualunque faglia, ogni vuoto, impedendo di confrontarsi con dei frangenti di noia. Primo agente di questo riempimento maniacale viene ormai reputato il diffondersi degli schermi, televisivi e digitali.

La nostra tesi è che, in questo tipo di considerazione, si operi spesso un ribaltamento della causalità ovvero della consequenzialità logica fra causa ed effetto: ovvero il digitale viene in verità utilizzato come conseguenza della noia, come tentativo di ritrovamento di un oggetto. Si è semmai spinti a ricorrere al digitale dalla trama della noia stessa. La noia è ben più affine alla causa anziché risultare un effetto del posizionarsi dinanzi agli schermi. Ne scriveremo qui.

Rispetto alla tesi che affermiamo, fanno eccezione i bimbi nei primi anni dell’infanzia. Riguardo a questa fascia d’età, molti studi indicano una nocività del trovarsi spesso dinanzi agli schermi. E’ questa, per esempio, la posizione espressa dalla Società Italiana di Pediatria in un documento ufficiale del giugno 2018, dal titolo Bambini in età prescolare e media device. Vi vengono sottolineati i rischi, nei minori sino all’età di 8 anni, del frequente uso del digitale quanto ai progressi delle loro competenze cognitive, quanto a un sano sviluppo linguistico e affettivo. Nel documento, l’accento viene posto soprattutto sull’uso dei dispositivi touchscreen da parte dei genitori allo scopo di calmare i figli, per esempio per facilitarne l’addormentamento. A livello generale, viene dunque suggerito di limitare l’esposizione ai dispositivi multimediali a meno di un’ora al giorno, fino ai 5 anni, e a meno di due ore al giorno, fino agli 8 anni.

A proposito di bulimica iperattività, sin da bambini, ci si trova in effetti immersi in un vortice instancabile che aggiunge agli impegni scolastici lo sport agonistico dei pomeriggi e dei weekend, i corsi di lingue straniere, gli atelier musicali. Tutto questo giunge all’apice costituito da faticose e stressanti vacanze anch’esse niente affatto privi dell’uso dei dispositivi multimediali.

Adolescenti eterni connessi

Gli adolescenti sono sempre connessi: ricevono notifiche, pubblicano e visualizzano post e storie in un turbinio di iniziative. Una lettura ingenua, per quanto comune, della distinzione fra mondo reale e mondo virtuale in adolescenza si basa sul considerare maggiormente genuina la soggettività reale e fittizia l’identità virtuale, l’avatar. Si sottovaluta, dunque, il germogliare di spazi di spontanea manifestazione della propria soggettività proprio nel campo del virtuale.

Gli adulti hanno bisogno del digitale sia per le attività lavorative sia per lo stesso svolgimento dei compiti genitoriali. Ci basti ricordare com’è importante il digitale nei momenti di inquietudine relativi al succedersi delle notizie, sia quelle allarmanti sia quelle confortanti, relative oggi alla diffusione del Covid-19; ci sovvenga quanto i dispositivi multimediali risultano d’aiuto nel momento in cui le scuole sono chiuse, anzitutto per la didattica in forma telematica, e numerose attività pubbliche vengono rinviate.

Un’opinione ricorrente è che non vi sia più lo spazio per il dolce far niente. La noia verrebbe combattuta dalla nostra società. Siamo in linea di massima d’accordo con questa opinione. In effetti, non vi è tempo per annoiarsi. Viene meno il diritto di crogiolarsi nella noia. Sarebbe tuttavia ragionevole imputare alla diffusione del digitale questo riempimento dei momenti di noia? Peggio ancora, sarebbe convincente attribuire al ricorso ai dispositivi multimediali l’insorgenza della noia? Crediamo proprio di no.

La noia: panoramica storica e letteraria

Cos’è, dunque, la noia? Come definire la noia, come descriverla? Come leggere questo torpore dell’animo, quest’oppressione soporifera? Non si tratta certo di un’esperienza inedita, non è affatto uno stato d’animo peculiare dell’uomo moderno. Ne parlarono già a varie riprese i latini: Lucrezio nel suo De rerum natura, Seneca e Orazio. Questo termine deriva da in odio, come si coglie meglio nell’assonanza conservata dal vocabolo francese ennui a differenza dell’inglese boredom. I latini ne scrissero specialmente nella forma del taedium vitae. La noia, per Lucrezio, deriva dall’impossibilità di soddisfare i propri desideri, le proprie ambizioni e le proprie pulsioni. L’appagamento di desideri e pulsioni sarà comunque momentaneo; ben presto giungerà un nuovo desiderio e poi un altro ancora. Libera dalla noia soltanto l’atarassia di stampo epicureo ovvero l’imperturbabilità, la pace dell’anima. Ricordo gli anni di liceo nei quali, nelle discussioni con compagni e docenti, in filosofia ma specialmente nelle ore di latino, si studiava l’alternarsi di ansia e noia, di angoscia e tedio.

Se si evitano le situazioni che infondono emozioni intense e che sono motivo di ansia, si precipita ben presto in un plumbeo annoiarsi; se ci si sottrae alla fastidiosa monotonia tediante, ci si trova assaliti dall’affetto d’angoscia che fa soffrire in forme ancor più acute. L’oscillare fra noia e angoscia riconduce alla radice comune dell’attesa. Per Freud, l’angoscia è anzitutto angoscia dell’attesa, prima di un evento significativo; d’altronde, la noia si caratterizza come lancinante attesa di qualcosa o qualcuno che ci sottragga da tale condizione insopportabile.

La medievale accidia è un concetto che deriva da a-kedòs (a privativo e kèdos che significa cura): noncuranza, negligenza. Era frequente fra i monaci in convento. L’accidia appare qualcosa di persino peggiore della noia, gravata com’è da un’atmosfera di viltà morale e dalla susseguente colpevolizzazione.

La noia non è estranea al vissuto di un Giacomo Leopardi. Basti ricordare quanto scrive ne Lo Zibaldone e la quiete delusa, dopo l’affannarsi frenetico del sabato del villaggio, che è essa stessa noia.

Baudelaire, Heidegger, Moravia

Ricordiamo lo spleen di Baudelaire ne I fiori del male. Spleen che ci pare un vissuto ben peggiore della noia e più affine al tedio esistenziale non privo di una venatura malinconica. Immersi nello spleen, non ci si attende più nulla, a differenza della noia che si caratterizza anzitutto come attesa.

Se n’è occupato Heidegger il quale ha parlato di “noia profonda” come elemento esistenziale, pochi anni dopo aver posto invece l’accento sull’angoscia quale chiamata verso l’autenticità nel suo celebre Essere e tempo.

Celebre è La noia di Moravia dal quale è stato tratto un film, con una giovanissima Catherine Spaak come protagonista femminile nei panni di Cecilia. La vicenda della noia intensa avvertita da un giovane rampollo borghese come Dino non è senza affinità con il torpore esistenzialista di un Roquentin ne La nausea di Sartre le cui giornate trascorrono talvolta immerse nel vuoto della pura esistenza. Dino, bel tenebroso e artista, non riesce a dipingere; non ha rapporti con gli oggetti del mondo né con gli oggetti della creazione artistica. Prova un desiderio tormentato, stenta a concedersi una sia pur parziale soddisfazione del desiderio a causa di dubbi e coazioni di coloritura ossessiva. Rimane indeciso fra l’ardente spinta pulsionale a fare qualcosa e il non voler fare alcunché, procrastinando in effetti l’atto. Tanto La noia quanto La nausea, in forme lievemente diverse, manifestano affinità con l’angoscia. Tuttavia, la noia non coincide con l’angoscia ma si alterna piuttosto a essa, come avevano già ben colto appunto i latini.

La noia prima del digitale: la psicoanalisi

Si dimostra impossibile imputare al digitale qualcosa che caratterizza da sempre la civiltà umana e che ora si staglia nella nostra esistenza, a causa del COVID-19.

Stupisce quanto la noia costituisca un argomento poco sviluppato nel campo della psicoanalisi, a fronte dell’enorme trattazione letteraria e filosofica di questo vissuto. Quello che è forse il più celebre fra i resoconti clinici di Freud, il caso della diciottenne Dora, nella realtà nientemeno che la sorella del leader del Partito Socialdemocratico austriaco, Otto Bauer, venne inviata dai familiari in Bergasse 19 dove il padre della psicoanalisi la riceveva per una serie di sintomi fra i quali appunto un taedium vitae probabilmente non del tutto sincero. Tedio che si presentava come più depressivo rispetto a una modesta noia e correlato all’intrigo della sua esistenza, fra la traccia dell’amore per il padre, la seduzione ricevuta da parte del Signor K e l’attrazione estatica per la Signora K, amante di suo padre e anzitutto per questo particolarmente adatta a rivestire le insegne dell’altra donna, alla quale Dora conferiva illusoriamente un sapere circa il mistero della propria stessa femminilità. A parte questo caso clinico, sono rarissimi i riferimenti freudiani alla noia.

La base delle elaborazioni psicoanalitiche sulla noia si trova in un testo di Otto Fenichel, psicoanalista viennese ebreo, allievo di Freud, il quale fuggì per tempo dalla barbarie nazista, prima nel Nord Europa e poi a Los Angeles dove fondò la locale società psicoanalitica. Secondo Fenichel, si tratta di un ingorgo del desiderio là dove vi è inibizione sia dell’attività sia dell’accoglimento degli stimoli proposti da altri. Dunque, vi è un desiderio vuoto, una spinta pulsionale generica senza un oggetto ben preciso.

Un recente pamphlet del 2017, che ripropone la traduzione del contributo di Fenichel, già tradotto in precedenza dal collega Alberto Angelini, si intitola appunto Noia. Nella noia vi è un ingorgo della libido, del desiderio. Dunque il soggetto non avverte desiderio nella situazione nella quale si trova. Per Fenichel, annoiarsi manifesta un franco conflitto fra un desiderio di attivarsi e una qualche forma di inibizione, endogena oppure esterna, che impedisce di fatto tale attivazione. L’Es, ovvero la parte pulsionale dell’essere umano, agogna l’azione volta alla scarica; l’Io, soprattutto per adeguarsi alle istanze della realtà e del mondo, inibisce tale azione e quantomeno la procrastina. Non a caso, quando ci si annoia, non si vede l’ora di sottrarsi a tale costrizione e di sfogarsi.

Ne costituisce un esempio, nella fascia d’età della pubertà che è forse paradigmatica dell’esperienza della noia, lo stare seduti a scuola mal sopportando l’atmosfera imprigionante delle lezioni e anelando alla scarica motoria consentita liberamente nel momento dell’intervallo o ancor più al termine dell’orario scolastico non appena si sente suonare la campanella che ne annuncia la conclusione.

Anche Sandor Ferenczi, uno dei più prossimi collaboratori di Freud, attivo a Budapest dove analizzò molti colleghi fra cui la celebre esperta di infanzia Melanie Klein, scrisse della “nevrosi della domenica” ovvero di quei soggetti che vivono con inquietudine e con noia proprio la giornata libera dal lavoro.

Ricordo lo psicoanalista Zapparoli, il quale ha scritto un libro intitolato appunto La paura e la noia, parlarne in un convegno a Milano, a proposito delle reazioni controtransferali più comuni avvertite da uno psicoanalista nell’incontro clinico con alcuni casi di psicosi.

La noia: desiderio di un altrove

La noia ha dunque affinità con il desiderio, è spinta pulsionale ma indirizzata verso un altro luogo rispetto a quello in cui ci si trova. La pulsione si impernia per Freud su quattro componenti: fonte, spinta, meta e oggetto. La pulsione sessuale ha per fonte un’eccitazione corporea, come spinta la libido erotica, come meta il soddisfacimento e può scovare svariati oggetti anzitutto nel corpo del partner. Nel momento della noia, risulta assente l’oggetto; l’oggetto affiora soltanto nella fantasia che conduce altrove, che conduce verso una situazione altamente sensuale così come verso il tepore di un mare caldo.

La noia è desiderio d’Altra cosa, come sosteneva Jacques Lacan; ha a che fare con qualcos’altro rispetto a quanto risulta immediatamente attingibile. Infatti la noia rasenta le situazioni di assenza di un Altrove, di un Altro luogo qual è il luogo del linguaggio: c’è dell’Uno che si annoia. Ci si annoia quando vi è dell’Uno senza l’Altro del linguaggio, senza dialogo, senza dialettica. Non a caso, la noia viene descritta spesso attraverso delle frasi impersonali o persino indeterminato: “C’è il coronavirus! Tutto è chiuso! Piove! Non si può uscire! Non c’è nulla da fare!”. C’è dell’Uno in queste frasi mentre si stenta a cogliervi il soggetto, che rimane soltanto abbozzato, e ancor più l’Altro.

La noia viene rielaborata attraverso delle distrazioni, effettive o fantasticate. Chi si annoia, oltre a manifestare tale appesantimento con il linguaggio del corpo nella forma dello sbadiglio o persino assopendosi, appare a volte decentrato rispetto al contesto nel quale si trova e immerso in una florida attività mentale cioè in qualche tipo di fantasticheria. Ritrova del piacere proprio in un mondo immaginario, altrove rispetto alla realtà nella quale è costretto a stare ancora. Se oggi è bloccato in casa per evitare il coronavirus o se comunque non può uscire dalla zona rossa, non ha altri spazi ove recarsi, non ha altre persone da incontrare, non ha altri amici con cui entrare in contatto. Si annoia e coglie nel digitale un oggetto che gli permette di vedere altri luoghi e di coltivare i legami con gli altri.

Noia e immaginazione

La noia, in modo analogo a una più estesa insoddisfazione esistenziale, costituisce l’humus per lo sviluppo di una propria creatività e di una propria inventiva accostabile al concetto di sublimazione. La sublimazione è una delle vicissitudini della pulsione imperniata sul raggiungimento del soddisfacimento attraverso la creazione di un’opera, dalla più semplice alla più complessa, che offre un appagamento analogo a quello della pulsione. Attraverso gli oggetti digitali non si fa l’amore, a parte quando avviene con la masturbazione in webcam; non si fa l’amore ma ci si soddisfa comunque svolgendo un lavoro appassionante, cimentandosi nel ruolo di fotografi in erba, realizzando dei video, dedicandosi al piacere di scrivere e chattare con persone amiche o persino amate. L’oggetto della sublimazione ha pari dignità di un godimento assoluto.

Oltre al contributo di Fenichel, questo breve libro collettivo propone saggi di Bruno Moroncini, Giovanni Pizza e Sergio Benvenuto. Quest’ultimo, dinanzi all’evidenza che vi sia dell’attesa nella noia, propone la tesi che la noia sia attesa della grande festa. A supporto di questa lettura vengono riportati stralci del celebre lavoro antropologico dell’équipe coordinata dall’antropologo Ernesto De Martino circa il fenomeno del tarantismo nel Salento, La terra del rimorso. I soggetti tarantolati, per la maggior parte donne, alternano stati di noia con fasi in cui ballano ininterrottamente per giorni e notti consecutive: secondo la tradizione quale effetto del morso di un ragno denominato tarantola; secondo l’équipe che li ha visitati, per il ri-morso dovuto a pulsioni inaccettabili per i rigidi costumi dell’entroterra pugliese di mezzo secolo fa.

Digitale, motore di desiderio

Certo ben peggiori della ricerca di un oggetto ravvivante attraverso il mondo digitale sono altri due tentativi di guarigione dalla noia stessa, tanto drammaticamente diffusi nell’adolescenza e nella giovinezza: ci riferiamo all’uso di droghe, maggiormente frequente nei maschi, tanto quanto all’abbuffata bulimica oppure al binge eating disorder (disturbo da alimentazione incontrollata) nelle femmine. In entrambi i casi, per sfuggire a una noia soverchiante e mortale, ci si aggrappa a un oggetto che induce un godimento effimero salvo tendere poi a indurre una dipendenza radicata e autodistruttiva. Queste due modalità denotano i punti in comune fra l’alternarsi della noia e dell’agitazione psicomotoria da un lato e l’oscillare fra la malinconia e la mania dall’altro: il termine tossicomania risulta esplicativo in questo nel mostrare il tentativo di risolvere degli stati depressivi attraverso il ricorso a un oggetto inebriante ma anche tossico utilizzato in quantità smodata, nocive e appunto maniacali.

Crediamo dunque davvero siano i dispositivi digitali a determinare la noia, specialmente nei preadolescenti e nei giovanissimi? Al contrario, vediamo spesso nella clinica, come la vita reale risulti annoiante e vi sia un rilancio del desiderio nella fantasia e nell’immaginazione correlate al mondo virtuale. Ne costituisce un esempio eclatante la navigazione nei siti pornografici, nei quali il soggetto ricerca sistematicamente un video il più possibile simile allo scenario che attiva la sua eccitazione a fronte di una noia relazionale nell’esistenza di ogni giorno.

Dove si situa il cuore della nostra essenza? Dove rintracciare l’essere del soggetto? Nella vita erotica morigerata della quotidianità o nella ricerca di un genere pornografico eccitante? Nella routine annoiante della vita offline oppure nei contatti e negli scambi che ravvivano il desiderio attraverso le connessioni online?

Vi è un trattamento dell’attesa nel tempo libero da impegni che viene trascorso nel mondo digitale. La persona annoiata attende “un oggetto per essere aiutata a trovare una meta pulsionale che manca” – sostiene letteralmente Fenichel. La nostra tesi fondamentale è che la noia si correli all’attesa del compiere un atto; atto preparato dalla navigazione nel mondo digitale. L’oggetto digitale si dimostra in questo efficace in quanto offre opportunità di trovare una meta; se ne veda un esempio eclatante nelle esperienze che fanno gli adolescenti online per prepararsi a viverle realmente. Nella reiterazione dei meccanismi e dei passaggi propri dei dispositivi digitali, si aprono degli spazi inediti ove rintracciare un oggetto e una meta.

Non vi è nessuna psicopatologia nella noia in quanto tale; la noia è ben diversa da un fenomeno che discrimina sanità e malattia. La noia è il desiderio di qualcos’altro, di un oggetto al momento inattingibile. L’uso del digitale, non senza una certa dose di sublimazione, facilita la ricerca di un proprio oggetto e permette di dare un nome e una meta all’oggetto pulsionale.

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