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Dipendenza dall’intelligenza artificiale: un rischio reale?



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L’intelligenza artificiale, sempre più integrata nella nostra quotidianità, porta con sé il rischio di dipendenza, simile a quello dei social network. Gli algoritmi personalizzati possono creare comportamenti compulsivi, influenzando negativamente il benessere individuale e sociale. La storia del mostro di Frankenstein ci avverte sui pericoli di una tecnologia fuori controllo

Pubblicato il 2 ott 2024

Marco Martorana

avvocato, studio legale Martorana, Presidente Assodata, DPO Certificato UNI 11697:2017



dipendenza digitale (1)

L’intelligenza artificiale è ormai una realtà consolidata e si prevede che diventi progressivamente più integrata nella nostra vita quotidiana. Nel contesto lavorativo, nei rapporti interpersonali e in tutti gli altri settori, gli algoritmi potrebbero evolversi in modo analogo ai social network, estendendo la loro influenza in maniera rapida e pervasiva, ma portando con sé anche interrogativi e preoccupazioni simili.

L’idea che la tecnologia possa degenerare e rivoltarsi contro i suoi creatori non è affatto nuova. Già più di 200 anni fa, Mary Shelley descrisse, nel suo romanzo, il mostro del Dottor Frankenstein, una creazione umana che, acquisendo sempre più potere e capacità sensoriali, finiva per ribellarsi al suo stesso creatore. Oggi, con l’espansione dell’intelligenza artificiale in quasi ogni aspetto della nostra cultura, emerge un concetto altrettanto inquietante: l’IA potrebbe diventare il prossimo “mostro tecnologico” con cui la società dovrà confrontarsi. Recenti studi suggeriscono che l’IA non solo potrebbe avere un impatto pervasivo sulla nostra vita, ma potrebbe anche creare una forma di dipendenza, rendendo gli esseri umani potenzialmente dipendenti da essa.

I fondamenti della dipendenza da IA

Le dipendenze tradizionali ruotano attorno a sostanze o comportamenti che rilasciano dopamina, un neurotrasmettitore che svolge un ruolo fondamentale nella produzione di piacere e senso di ricompensa nel cervello umano.         
Da questo punto di vista, l’intelligenza artificiale, attraverso algoritmi sofisticati e personalizzazioni tailor-made sull’utente, potrebbe replicare e potenziare questi meccanismi, generando potenziali dipendenze.

Questo rischio e deriva quindi dalla capacità della tecnologia di discernere ciò che gli utenti desiderano e di offrirlo in modi più convincenti. Nel commercio elettronico, ad esempio, l’IA crea esperienze di acquisto altamente personalizzate, suggerendo prodotti in linea con le abitudini e le ricerche passate, aumentando così la probabilità di acquisto impulsivo.

La stessa personalizzazione basata sull’intelligenza artificiale sfruttata nel mondo dell‘e-commerce può essere applicata anche ad altre piattaforme: le piattaforme di streaming possono utilizzarla per mantenere gli spettatori bloccati su determinati tipi di contenuti, le piattaforme di gioco, invece, adattano la difficoltà dei livelli in base alle performance del giocatore, incentivando un’interazione sempre più profonda.

Sebbene le visioni di un’umanità schiavizzata dall’IA possano essere un po’ distopiche, l’idea che l’IA possa condurci a modelli di comportamento malsani è qualcosa che gli esperti stanno comunicando chiaramente.

La preoccupazione che le persone possano diventare troppo dipendenti dall’IA è quindi comprensibile. Faremo sempre di più affidamento su di essa per svolgere un numero sempre crescente di compiti. Man mano che l’eccessiva dipendenza si sposta verso la dipendenza totale aumenta il potenziale di perdere prospettiva, saggezza e la capacità di svolgere competenze preziose ed essenziali.

Il più noto dei precedenti: la dipendenza da social network

Di recente, un ex direttore tecnico e consulente per Facebook, ha rivelato che la dirigenza di Meta ha per molto tempo chiuso gli occhi sugli effetti negativi dei social media sui giovani, scegliendo di ignorarne le prove mentre presentava pubblicamente dati attentamente curati per ridurre al minimo le preoccupazioni.

Il whistleblower ha altresì confermato la conoscenza di Meta sugli effetti negativi dei social media sui giovani. I dirigenti del colosso tecnologico, tra cui il CEO Mark Zuckerberg, erano stati infatti avvertiti per anni degli impatti negativi che le popolari piattaforme di social media dell’azienda come Facebook e Instagram avevano sugli utenti adolescenti, tra cui la crescente dipendenza.

Il dato fornito dallo studio dell’Università di Amsterdam del 2015 è estremamente significativo. Il 5% degli adolescenti già allora mostrava segni di dipendenza dai social media, un dato che lascia presagire un aumento nel corso degli anni, considerato il crescente utilizzo di queste piattaforme da parte delle nuove generazioni.

Quanto incidono le dipendenze digitali sulle nostre vite

Caratterizzata da un uso compulsivo e incontrollato delle piattaforme digitali, questa dipendenza incide profondamente sulla vita degli individui, determinando una serie di comportamenti disfunzionali e conseguenze negative sulla salute mentale, a partire non solo dal trascorrere notevoli quantità di tempo sulle varie piattaforme, ma anche soltanto a pensare o fantasticare di utilizzarli quando non lo si sta facendo.

Gli utenti coinvolti sperimentano una serie di emozioni negative, come ansia, irritabilità e frustrazione, quando non possono accedere ai loro profili social. Fallisce ogni tentativo di interromperne, controllarne o ridurne l’uso, arrivando ad interferire anche con altre aree della propria vita, come le relazioni interpersonali, il rendimento scolastico o lavorativo.

L’uso dei social media può influenzare il cervello in modi dannosi

Come altri tipi di dipendenza comportamentale, l’uso dei social media può influenzare il cervello in modi dannosi. Tra queste forme di influenza, quella che maggiormente preoccupa la comunità degli psicologi è la perdita di contatto con la realtà e l’attribuzione di un’importanza vitale all’apparenza digitale. Sempre più giovani, infatti, vivono condizionati dai social media, dando un’importanza vitale alle interazioni virtuali, fondando la propria gioia o la propria tristezza sul numero di followers o di like ai contenuti.

Più elevati sono i numeri sui propri profili social, maggiore è il senso di ricompensa e piacere provato dal cervello umano, e maggiore sarà il grado di dipendenza rispetto allo strumento.

In questo senso, la cosiddetta social media addiction (dipendenza da social network) può essere considerata come precursore della temuta AI addiction (dipendenza da Intelligenza Artificiale), di cui si parla sempre di più e con sempre maggiore apprensione.

AI e dipendenza: il caso ChatGPT

Nel corso dell’ultimo anno, Mira Murati, una figura di spicco nell’azienda che ha sviluppato ChatGPT, ha sollevato preoccupazioni riguardo alla crescente attrattività e all’invadenza dei sistemi di intelligenza artificiale. La rapida evoluzione di questi strumenti, caratterizzata da funzionalità sempre più avanzate, come la memoria estesa e una maggiore personalizzazione, sta ampliando notevolmente le loro applicazioni e, di conseguenza, i potenziali rischi.

ChatGPT, dal suo rilascio iniziale, ha visto significativi progressi tecnologici, inclusa l’integrazione di modalità vocali che permettono agli utenti di interagire con la chatbot anche mentre sono in movimento. Murati ha discusso sul fatto che tali innovazioni potrebbero incrementare l’attrattività di questi sistemi al punto da poterne determinare una dipendenza eccessiva. La preoccupazione è che gli utenti possano diventare “schiavi” della tecnologia per svolgere attività quotidiane, una situazione che potrebbe avere conseguenze negative per il benessere individuale e sociale.

Comprendere meglio l’impatto dell’IA sul comportamento degli utenti

Per affrontare questo rischio, Murati individua l’obbligo per i ricercatori di essere “estremamente attenti” nel monitoraggio dell’uso dei sistemi di IA teso a comprendere meglio il loro impatto sul comportamento degli utenti, per prevenire potenziali conseguenze dannose derivanti da un “coinvolgimento intuitivo” e incontrollato.

L’esplosiva diffusione di ChatGPT e l’integrazione di modelli simili nei prodotti Microsoft hanno dato il via a una corsa agli armamenti tra le principali aziende tecnologiche, come Google, Amazon e Meta. Questo sviluppo ha spinto i legislatori a intervenire per regolamentare l’uso dell’IA e i rischi associati, tra cui la diffusione di disinformazione. I sistemi di IA, infatti, possono generare “allucinazioni” o risultati imprecisi, un rischio particolarmente preoccupante durante i periodi elettorali. Murati ha affermato che non ritiene realistico immaginare una situazione di “rischio zero”, ma l’obiettivo è ridurre al minimo i livelli di rischio massimizzandone i benefici.

L’attenzione si sposta poi, come sempre, ai più giovani. Una delle sfide più immediate evidenziate dal lancio di ChatGPT, infatti, è stata l’uso da parte degli studenti per i compiti scolastici, talvolta addirittura per imbrogliare. In questo senso, il rischio dipendenza è ancora più elevato se si considera il grado di soddisfazione che può provare uno studente che, grazie all’IA, vede avanzare il suo percorso scolastico con uno sforzo ridotto.

Conclusioni

In definitiva, le minacce legate all’uso di ChatGPT e di altre piattaforme basate su IA sono reali e rilevanti. È cruciale adottare misure adeguate per affrontare questi rischi e garantire un’implementazione responsabile e regolamentata di tali tecnologie. È essenziale bilanciare il potenziale positivo dell’IA, come l’automazione di compiti complessi, l’assistenza nelle decisioni e la personalizzazione delle esperienze, con i rischi di dipendenza, per evitare che la tecnologia, invece di migliorare la nostra vita, finisca per diventarne una fonte di disagio e isolamento.

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