diritto d'autore

Direttiva sul copyright e libertà di espressione, tanto rumore per nulla?

Nonostante la preoccupazione degli utenti Internet, condizionati dal clamore mediatico, la Direttiva europea sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale non limita la libertà di espressione. Vediamo le due norme oggetto di polemiche e perché un primo bilancio è positivo

Pubblicato il 05 Giu 2019

Federica Minio

Responsabile del dipartimento IP, Morri Rossetti e Associati

Diritto d'autore, le nuove regole per le piattaforme di file-sharing

La nuova, contestata, Direttiva europea sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale, checché se ne sia detto, a una prima analisi non sembra porre limiti alla libertà di espressione.

Essa in realtà tra l’altro:

  • applica al mondo digitale le regole valevoli per quello reale, per cui se riproduco e diffondo un’opera altrui a scopo di lucro devo chiedere l’autorizzazione all’autore e remunerarlo;
  • recepisce i consolidati orientamenti giurisprudenziali in merito alla responsabilità dell’hosting service provider;
  • supporta l’editoria e il sistema dell’informazione;
  • facilita l’utilizzo di materiale protetto da diritto d’autore per la ricerca che si basa sull’estrazione di dati;
  • consente l’utilizzo gratuito di materiale protetto da copyright per preservare il patrimonio culturale.

Di seguito vogliamo comunque soffermarci sulle due norme oggetto di maggiore dibattito, sulle limitazioni ed eccezioni alla normativa ai fini di promuovere la ricerca scientifica, l’insegnamento e l’istruzione e la conservazione del patrimonio culturale, e infine sulla norma relativa alle opere delle arti visive di dominio pubblico.

La direttiva sul diritto d’autore

Dopo un travagliato iter legislativo durato oltre quattro anni, fra aspre polemiche e “scioperi” (cfr. l’oscuramento di Wikipedia in prossimità dell’approvazione), modifiche e correzioni, la nuova Direttiva sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale è stata approvata lo scorso 26 marzo dal Parlamento Europeo e il 15 aprile dal Consiglio, con il voto contrario di Italia, Svezia, Finlandia, Polonia, Olanda e Lussemburgo. La normativa entrerà in vigore 20 giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE e i principi in essa contenuti saranno immediatamente applicabili in ogni stato membro, che avrà poi due anni di tempo per recepire le nuove norme nel proprio ordinamento nazionale.

Il testo si compone di 32 articoli e di ben 85 considerando (il cui numero è una dimostrazione delle grandi difficoltà incontrate dal legislatore europeo).

Gli articoli 15 e 17

Tutti i giornali ne hanno parlato: le norme maggiormente discusse e oggetto di polemiche da parte dei sostenitori del “web libero” e della “libertà di espressione” (guarda caso non gli autori dei contenuti e le relative associazioni di categoria, favorevoli all’approvazione della Direttiva, ma i grandi aggregatori di contenuti come Google e Facebook) sono stati gli attuali articoli 15 e 17 (nella proposta di Direttiva erano gli articoli 11 e 13), relativi rispettivamente alla protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo on line e all’utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi di condivisione di contenuti on line.

Per “prestatori di servizi di condivisione di contenuti online” si intendono, in base all’art. 2 n. 6, i “prestatori di servizi della società dell’informazione il cui scopo principale o uno dei principali scopi è quello di memorizzare e dare accesso al pubblico a grandi quantità di opere protette dal diritto d’autore o altri materiali protetti caricati dai suoi utenti, che il servizio organizza e promuove a scopo di lucro”: pensiamo a Youtube, Facebook o Google News.

Nonostante la (falsa) preoccupazione degli utenti Internet, condizionati dal clamore mediatico, le norme incriminate non sono volte a impedire il loro uso privato e non commerciale di contenuti, ma solo a disciplinare l’uso di contenuti da parte dei prestatori di servizi di condivisione di contenuti on line. Peraltro, questa definizione non comprende le “enciclopedie online senza scopo di lucro”, come Wikipedia, che tanto ha osteggiato l’approvazione della nuova normativa.

L’art. 15 riconosce espressamente in capo agli editori di giornali i diritti di riproduzione e di comunicazione relativamente all’utilizzo on-line delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte appunto dei prestatori di servizi di condivisione di contenuti online. Gli autori delle opere avranno diritto a loro volta a una “quota adeguata” dei proventi percepiti dagli editori. In altre parole Google News per poter pubblicare una notizia dovrà remunerare l’editore, che a sua volta darà un compenso all’autore dell’articolo.

La norma, come abbiamo accennato, non si applica agli utilizzi privati e non commerciali, né ai collegamenti ipertestuali e nel caso di “utilizzo di singole parole o di estratti molto brevi”.

Google News se intende riprodurre un articolo per intero dovrà perciò negoziare con gli editori i diritti di riproduzione e di comunicazione, rimanendo tuttavia libero di riprodurre frammenti di articoli (c.d. “snipped”). La Direttiva non quantifica espressamente la “brevità” degli estratti, sicché si può supporre che l’applicazione concreta della norma porterà a qualche problema interpretativo.

I diritti riconosciuti agli editori si estinguono dopo due anni (il testo originario prevedeva un periodo di 20 anni) dalla pubblicazione diventando dunque liberamente riproducibili da parte dei prestatori di servizi di condivisione di contenuti on line. La norma esclude poi espressamente che i diritti sopra visti riguardino le pubblicazioni di carattere giornalistico pubblicate prima dell’entrata in vigore della Direttiva (paragrafo 4).

L’art. 17 regola l’utilizzo dei contenuti protetti da parte dei prestatori di servizi di condivisione on line, come sopra definiti, stabilendo che essi debbano ottenere l’autorizzazione da parte dei titolari dei diritti, a esempio tramite la conclusione di un accordo di licenza, al fine di comunicare al pubblico o rendere disponibili questi materiali. Si intende per atto di comunicazione o messa a disposizione al pubblico la concessione dell’“accesso al pubblico a opere protette dal diritto d’autore o altri materiali protetti caricati dagli utenti”.

Destinatari della norma sono quindi soggetti quali YouTube o Vimeo che, anche se espressamente esclusi da un obbligo generale di sorveglianza in merito ai contenuti caricati dagli utenti (punto 8), non saranno più sottoposti alla limitazione di responsabilità di cui all’art. 14 della Direttiva sul commercio elettronico (secondo cui l’hosting service provider non risponde dei contenuti caricati dall’utente a meno che non sia effettivamente al corrente del fatto che l’attività è illecita e che, non appena al corrente dei fatti, agisca immediatamente per la rimozione delle informazioni).

Secondo la Direttiva, in assenza di autorizzazione da parte del titolare di diritti i prestatori di servizi saranno responsabili per quanto caricato dagli utenti a meno che non dimostrino di: a) “aver compiuto i massimi sforzi per ottenere un’autorizzazione”; b) “aver compiuto, secondo elevati standard di diligenza professionale di settore, i massimi sforzi per assicurare che non siano disponibili opere e altri materiali specifici per i quali abbiano ricevuto le informazioni pertinenti e necessarie dal titolare dei diritti”; e, in ogni caso, c) “aver agito tempestivamente, dopo aver ricevuto una segnalazione sufficientemente motivata dai titolari dei diritti, per disabilitare l’accesso o rimuovere dai loro siti web le opere o altri materiali oggetto di segnalazione e aver compiuto i massimi sforzi per impedirne il caricamento in futuro” (punto 4).

È evidente come questa norma non faccia altro che recepire gli orientamenti costanti della Corte di Giustizia e dei nostri giudici di merito e di legittimità (da ultimo si veda la pronuncia della Cassazione n. 7708 del 19 marzo 2019 nel caso Mediaset vs. Yahoo).

La salvaguardia di PMI e startup

Per salvaguardare le imprese medio piccole e le start-up (piattaforme attive da meno di tre anni e che hanno un fatturato annuo inferiore a 10 milioni di Euro) il punto 6 dell’art. 17 prevede obblighi meno rigidi. Le condizioni di responsabilità di cui al punto 4 sono infatti limitate al compimento dei massimi sforzi per ottenere l’autorizzazione e alla circostanza di aver agito tempestivamente in caso di segnalazione sufficientemente motivata. Nel caso in cui il numero dei visitatori mensili superi i 5 milioni, esse devono anche dimostrare di aver compiuto i massimi sforzi per impedire l’ulteriore caricamento di opere e materiali oggetto di segnalazione.

L’art. 17 punto 7 prevede poi che gli Stati membri nell’implementare la Direttiva possano avvalersi di eccezioni e limitazioni affinché gli utenti siano liberi di caricare contenuti tramite servizi di condivisione on line a scopo di “citazione, critica, rassegna” e “caricatura, parodia o pastiche”, garantendo così che meme e GIF continuino a essere disponibili e condivisibili sulle piattaforme on line (norma c.d. “salva meme”).

Eccezioni e limitazioni

Veniamo infine brevemente alle norme che prevedono eccezioni e limitazioni all’utilizzo di materiale protetto da diritto d’autore che si basa sulla sua riproduzione ed estrazione per scopi di ricerca scientifica, insegnamento e istruzione e conservazione e tutela dei beni culturali.

L’art. 3 prevede che gli organismi di ricerca (come le università e le relative biblioteche) e gli istituti di tutela del patrimonio culturale (a esempio biblioteche, musei, archivi) possano liberamente, se per scopi di ricerca scientifica, riprodurre ed estrarre testi e dati da opere o altri materiali cui hanno legalmente accesso, mentre l’art. 5 prevede eccezioni e limitazioni per l’utilizzo digitale di opere per finalità illustrativa a uso didattico.

L’art. 6 si occupa di “conservazione del patrimonio culturale” e prevede eccezioni al diritto di riproduzione ed estrazione di opere protette “per consentire agli istituti di tutela del patrimonio culturale di realizzare copie di qualunque opera o altri materiali presente permanentemente nelle loro raccolte, in qualsiasi formato o su qualsiasi supporto, ai fini di conservazione di detta opera o altri materiali e nella misura necessaria a tale conservazione”.

L’art. 8 si occupa dell’utilizzo da parte degli istituti di tutela del patrimonio culturale di opere fuori commercio, prevedendo la loro messa a disposizione per fini non commerciali purché sia indicato il nome dell’autore e quando non esiste un’organizzazione di gestione collettiva che possa rilasciare una licenza.

Da segnalare infine l’art. 14 rubricato “Opere delle arti visive di dominio pubblico” secondo cui “Gli Stati membri provvedono a che, alla scadenza della durata di protezione di un’opera delle arte visive, il materiale derivante da un atto di riproduzione di tale opera non sia soggetto al diritto d’autore o a diritti connessi, a meno che il materiale risultante da tale atto di riproduzione sia originale nel senso che costituisce una creazione intellettuale propria dell’autore”. La norma, che sembra voler promuovere la diffusione delle immagini delle opere dell’arte visiva, in sede di attuazione della Direttiva andrà coordinata con quanto previsto nel nostro ordinamento dall’art. 107 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio relativamente alla riproduzione dei beni culturali.

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