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Diritto all’oblio: le condizioni di tutela secondo la giurisprudenza

Si consolida l’indirizzo interpretativo della Cassazione nella definizione delle condizioni necessarie a garantire la protezione del diritto all’oblio, nella prospettiva di rafforzare la protezione sociale dell’identità personale

Pubblicato il 18 Gen 2016

Angelo Alù

studioso di processi di innovazione tecnologica e digitale

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Con l’avvento dell’era digitale, l’esigenza di tutela del diritto all’oblio assume una rilevanza problematica particolarmente significativa, alla luce della diffusione incontrollata di informazioni veicolate online e della condivisione interattiva di numerose notizie, in grado di lasciare una “traccia” permanente dell’identità personale di ogni individuo, con inevitabili ripercussioni sull’effettiva protezione della riservatezza individuale.

In tale contesto, emerge la complessa necessità di realizzare un efficace equilibrio tra la tutela della propria identità personale costituzionalmente garantita dall’art. 2 Cost. e dall’art. 8 Carta di Nizza e il diritto di cronaca, corollario della libertà di manifestazione del pensiero, proclamata dall’art. 21 Cost. e dall’art. 10 CEDU, nella prospettiva di realizzare un adeguato bilanciamento tra valori di pari rango costituzionale, meritevoli di protezione giuridica.

In primo luogo, infatti, viene in rilievo l’interesse pubblico al diritto all’informazione che può realizzare una legittima compressione del diritto fondamentale alla riservatezza, consentendo di pubblicare e memorizzare fatti di interesse pubblico, con conseguente restrizione della sfera della riservatezza dei soggetti coinvolti.

Al contempo, però, deve riconoscersi in capo ad ogni individuo la titolarità del diritto alla riservatezza, il cui ambito di applicazione è stato particolarmente ampliato dal D.lgs. n. 196 del 2003, allo scopo di garantire un’effettiva protezione del diritto alla protezione dei dati personali, in conformità a quanto previsto dall’art. 2 Cost. e dall’art. 8 Carta di Nizza, quale diritto a mantenere il controllo sulle proprie informazioni che, spettando a “chiunque” (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 1) e ad “ogni persona” (art. 8 Carta), nei diversi contesti ed ambienti di vita, “concorre a delineare l’assetto di una società rispettosa dell’altro e della sua dignità in condizioni di eguaglianza” (Cass., sentenza del 2011, n. 186).

Il sistema introdotto con il D.Lgs. n. 196 del 2003 è caratterizzato dalla necessaria rispondenza del trattamento dei dati personali a criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza e non eccedenza allo scopo e si sostanzia nel diritto di conoscere in ogni momento le modalità di trattamento dei propri dati personali, così da garantire un’effettiva compartecipazione dell’interessato all’utilizzazione dei propri dati, chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, ovvero la rettificazione, l’aggiornamento, l’integrazione (ex art. 7), nel rispetto della propria identità personale.

Il diritto alla riservatezza tutela situazioni e vicende di natura personale e familiare dalla conoscenza pubblica, che soltanto il diretto interessato può decidere di pubblicizzare o di difendere da ogni ingerenza, sia pure realizzata con mezzi leciti e non implicante danno all’onore o alla reputazione o al decoro, che non trovi giustificazione nell’interesse pubblico alla divulgazione (Cass., civ., Sez. III, sentenza del 2003, n. 4368).

In tale prospettiva, la narrazione di notizie risalenti nel tempo, dimenticate o ignote alla collettività, tali da arrecare pregiudizio alla propria identità personale, integra una grave violazione del diritto all’oblio, inteso come l’interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata (Cass., civ., Sez. III, sentenza del 1998, n. 3679).

Il diritto all’oblio può essere considerato uno efficace strumento di protezione sociale dell’identità personale, che soddisfa l’esigenza del soggetto di essere tutelato dalla divulgazione di informazioni (potenzialmente) lesive in ragione della perdita (stante il lasso di tempo intercorso dall’accadimento del fatto che costituisce l’oggetto) di attualità delle stesse, rendendo il relativo trattamento lesivo della propria personalità e incompatibile con la finalità rieducativa della pena ex art. 27, comma 3 Cost., nel caso in cui si tratti di un soggetto condannato per fatti oggetto di cronaca risalenti nel tempo e dimenticati dalla collettività, in quanto diversamente la perenne pubblicazione di un fatto remoto impedirebbe la risocializzazione del reo, precludendogli un effettivo reinserimento nella collettività.

Alla luce di tali rilevanti implicazioni e nel tentativo di realizzare un efficace contemperamento di interessi confliggenti, la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che il bilanciamento tra i valori di pari rango costituzionale, sottesi al diritto alla identità personale ed al diritto di cronaca, si risolve con la prevalenza del secondo sul primo solo nella ricorrenza della triplice condizione della utilità sociale della notizia, della verità dei fatti divulgati e dalla forma civile della loro esposizione e valutazione (Cass., civ., Sez. I, sentenza del 1996, n. 978).

La stessa Corte di Cassazione ha precisato che, fermo restando che la libertà di stampa, espressione del diritto di manifestazione del pensiero sancito dall’art. 21 Cost., comporta la compressione dei beni giuridici della riservatezza, dell’onore e della reputazione, riconducibili agli artt. 2 e 3 Cost., ove permanga o si riattualizzi l’interesse pubblico alla diffusione di fatti, oggetto di indagini di polizia giudiziaria, la notizia deve essere integrata dalla descrizione completa delle risultanze istruttorie, in quanto incombe sul giornalista il dovere giuridico di rendere un’informazione completa e di effettuare, all’uopo, tutti i controlli necessari per verificare gli esiti di una determinata indagine (Cass. pen., Sez. V, sentenza del 2009, n. 45051).

Ne consegue che, in assenza di un interesse effettivo ed attuale alla diffusione di notizie di rilevanza pubblica, tali da giustificare una legittima compressione del diritto all’oblio, è configurabile un’illecita lesione del diritto alla riservatezza, che consente al soggetto interessato di pretendere che proprie passate vicende personali siano pubblicamente dimenticate (Cass. civ., Sez. III, sentenza del 2013, n. 16111).

Il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità ha precisato che la diffusione di una notizia di cronaca giudiziaria nell’archivio storico di un giornale, attraverso la Rete Internet, accessibile illimitatamente, non contestualizzata e non collegata con altre informazioni idonee a registrare e diffondere la successiva evoluzione nel tempo di una vicenda, sia pure originariamente completa, diviene non aggiornata, risultando quindi parziale, non esatta e, in definitiva, non vera. (Cass. civ., Sez. III, sentenza del 2012, n. 5525).

In applicazione di tale principio di diritto, risulta del tutto evidente che, quando si tratta di fatti risalenti nel tempo e oramai definitivamente acquisiti dalla collettività, la permanenza pubblica della notizia potrebbe considerarsi inutile, per mancanza di un reale interesse pubblico alla sua reiterata diffusione, con conseguente riconoscimento del diritto all’oblio che, realizzando un progressivo anonimato a tutela dei protagonisti delle vicende narrate, comporta un affievolimento dell’interesse della collettività, una volta che essa sia stata ampiamente informata.

In questi casi, l’interessato ha diritto di ottenere dal titolare del sito l’aggiornamento e la contestualizzazione delle informazioni che lo riguardano, in modo da assicurare l’effettiva circolazione della notizia aggiornata, mediante l’integrazione (nel corpo o a margine della notizia) di un seguito e di uno sviluppo della vicenda, non essendo sufficiente la mera generica possibilità per l’utente di reperire nella Rete ulteriori notizie concernenti il caso di specie.

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