Frutto di elaborazioni dottrinarie, giurisprudenziali (in Europa ha assunto grande rilevanza il caso “Google Spain – Corte di Giustizia 13 maggio 2014” mentre in Italia assumono rilevanza alcune decisioni della Suprema Corte come Cass., 9/4/1998, n. 3679; Cass., 25/6/2004, n. 11864 e da ultimo Cass., 05/04/2012, n. 5525; Cass., 24/062016, n. 13161) e principalmente delle Autorità Garanti europee il diritto all’oblio è da intendersi quale diritto dell’individuo ad essere dimenticato; diritto che mira a salvaguardare il riserbo imposto dal tempo ad un notizia già resa di dominio pubblico.
Come fondamento normativo del diritto all’oblio, il Codice della Privacy prevede che il trattamento non sia legittimo qualora i dati siano conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo superiore a quello necessario agli scopi per i quali sono stati raccolti o trattati (art. 11 d.lgs. n. 196/2003). Lo stesso interessato ha il diritto di conoscere in ogni momento chi possiede i suoi dati personali e come li adopera, nonché di opporsi al trattamento dei medesimi, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta, ovvero di ingerirsi al riguardo, chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, ovvero la rettificazione, l’aggiornamento, l’integrazione (art. 7 d.lgs. n. 196/2003).
Inoltre il Regolamento UE 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla protezione dei dati personali riconosce il diritto all’oblio all’art. 17 dove viene sancito che l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali, se sussistono determinati presupposti.
Perché è importante il diritto all’oblio
Il diritto all’oblio si colloca, quindi, nel quadro dei diritti della personalità come una particolare forma di garanzia connaturata al diritto alla riservatezza e si distingue dal diritto all’identità personale che può essere definito come l’interesse di ogni persona a non vedere travisato o alterato all’esterno il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, professionale, a causa dell’attribuzione di idee, opinioni, o comportamenti differenti da quelli che l’interessato ritenga propri e abbia manifestato nella vita di relazione.
Il diritto all’identità personale è relativo alla tutela dell’immagine pubblica della persona, o comunque dell’immagine di sé che il soggetto intende proiettare nel mercato delle relazioni sociali (intendendo immagine in senso metaforico), mentre il diritto all’oblio attiene alla protezione di una sfera intangibile di intimità e riserbo dell’individuo, da mettere al riparo da intrusioni altrui.
Strettamente correlata alla propria identità personale, l’identità digitale viene a declinarsi quale interesse della persona alla non manipolabilità di quanto rappresentato virtualmente.
Come Rodotà ha affermato “Noi siamo i nostri dati”. Su Internet, le sfumature dei diritti della personalità risultano affievolite e diventano evidenti le affinità che vengono a crearsi tra diritto alla protezione della identità personale, diritto alla riservatezza e diritto alla protezione dei dati personali essendo quest’ultimo principalmente finalizzato alla tutela dei primi due. In questo contesto, ossia quello di internet e dei dati, il diritto all’oblio viene ad evolversi ed ad essere strumentale alla protezione dei propri dati personali in una prospettiva fortemente dinamica che ha come suo epicentro l’identità della persona. Dapprima inteso come al “diritto di un soggetto a non vedere pubblicate alcune notizie relative a vicende, già legittimamente pubblicate, rispetto all’accadimento delle quali è trascorso un notevole lasso di tempo” ed attinente per lo più alle ragioni della riservatezza, nel mondo del cyberspazio, viene a declinarsi come il diritto alla cancellazione dei propri dati personali qualora essi siano stati trattati in violazione di legge, non siano più pertinenti o non più necessari rispetto le finalità per cui sono stati raccolti. Su internet non si tratta più necessariamente di una ripubblicazione dell’informazione, piuttosto di una permanenza della stessa. Non si tratta di una notizia o di una foto ripubblicate, bensì di una notizia o di una foto che permangono sempre accessibili. Non si tratta di un evento che si ripropone all’attenzione del pubblico, bensì di un evento che potenzialmente non è mai uscito dall’attenzione del medesimo.
La presenza di un continuum temporale rende necessario una riqualificazione del diritto all’oblio. E’ per questo ordine di motivi che alcuni autori parlano di una seconda accezione del diritto all’oblio trovando le sue fondamenta all’interno del diritto all’identità personale inteso quale diritto ad esercitare una forma di controllo sulla propria immagine sociale e che può giungere fino a pretendere che alcuni eventi siano dimenticati perché non più attinenti alla propria persona.
Il problema del diritto all’oblio nasce storicamente in rapporto all’esercizio del diritto di cronaca giornalistica.
Presupposto perché un fatto privato possa divenire legittimamente oggetto di cronaca è l’interesse pubblico alla notizia. La collettività va informata con tempestività, in modo da poter conoscere l’accaduto in tempo reale e con completezza, così da fornirle una chiara visione del fatto. Se viene scoperto un giro di corruzione, è possibile che la notizia debba essere data a più riprese, secondo gli sviluppi graduali della vicenda. Il pubblico dovrà conoscere i soggetti coinvolti nella vicenda, la loro posizione istituzionale, in cosa consistevano i “favori” eseguiti in cambio di denaro, le conseguenze del giro di corruzione sul funzionamento dell’istituzione interessata e sulla pelle dei cittadini onesti, etc. Poi, potranno seguire dibattiti sulla vicenda. Insomma, la diffusione della notizia dovrà necessariamente perdurare nel tempo. Ma una volta che del fatto il pubblico sia stato informato con completezza, cessa l’interesse pubblico in quanto la collettività ha ormai acquisito il fatto. Non vi è più una notizia. Riproporre l’accadimento sarebbe inutile, poiché non vi sarebbe più un reale interesse della collettività da soddisfare. Non solo inutile per la collettività, ma anche dannoso per i protagonisti in negativo della vicenda. Qui la reputazione dei soggetti subirebbe una ulteriore lesione. E se la lesione è inizialmente giustificata dall’esigenza di informare il pubblico su fatti nuovi, non lo è più dopo che la notizia risulta ampiamente acquisita. A partire dalla sua completa acquisizione, sorgono i presupposti del diritto all’oblio.
Il diritto all’oblio è quindi la naturale conseguenza di una corretta e logica applicazione dei principi generali del diritto di cronaca. Come non va diffuso il fatto la cui diffusione (lesiva) non risponda ad un reale interesse pubblico, così non va riproposta la vecchia notizia (lesiva) quando ciò non sia più rispondente ad una attuale esigenza informativa.
Ma come è possibile esercitare il diritto all’oblio?
La prima strada che può percorrere chi ritenga di avere subito pregiudizi dalla pubblicazione di contenuti in rete in violazione del diritto all’oblio è sicuramente la più semplice e in teoria quella di più facile risoluzione. Difatti occorre rivolgersi all’amministratore del sito che ha pubblicato la notizia e chiederne la rimozione. Questo può eliminare i tag che permettono l’indicizzazione della notizia, eliminare la notizia, eliminare i nomi dalla notizia.
Basterebbe, quindi, inoltrare una diffida al gestore del sito facendo leva sul suo senso di responsabilità, ma come si è avuto modo di vedere ultimamente, anche sulla base di più recenti pronunce della giurisprudenza comunitaria, l’amministratore di un sito tende ad essere deresponsabilizzato a danno dei provider che assumono sempre più responsabilità, anche per il solo fatto di gestire i relativi motori di ricerca.
Nel caso, quindi, l’amministratore della testata/sito non provveda, sulla base di quanto sostenuto in merito alla responsabilità del provider si può chiedere a quest’ultimo di rimuovere le informazioni ritenute lesive ed in effetti Google (come in seguito anche altri provider) ha già previsto uno specifico servizio di rimozione.
Inoltre, al fine di ottenere una tutela immediata l’interessato, nel caso di violazione del diritto all’oblio, può rivolgersi all’Autorità Garante mediante uno dei rimedi amministrativi previsti dagli artt. 141 e ss. del Codice in materia di protezione dei dati personali.
Altra soluzione che consente di ottenere una tutela rapida ed efficace nel caso di violazione di diritto all’oblio è il ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile che disciplina una specifica tutela d’urgenza, ossia con tempi relativamente brevi rispetto al processo ordinario.
Naturalmente la violazione in materia di protezione dei dati personali può comportare come conseguenze, al di là delle sanzioni penali ed amministrative previste dalla normativa, anche la configurazione di una responsabilità civile a carico del titolare o responsabile del trattamento con conseguente risarcimento dei danni. La medesima situazione si prospetta nel caso di violazione di diritto all’oblio.
In tale sede rileva, quindi, il danno alla persona in tutte le sue accezioni. Difatti il danno alla persona comprende tutti i danni, patrimoniali e non, che sono cagionati ad un essere umano.
Si tratta quindi di una macrocategoria, che racchiude al suo interno altre categorie: danno alla salute, danno biologico, danno esistenziale, danno morale, danno non patrimoniale, danno patrimoniale, danno all’onore, alla riservatezza, ecc. Qualsiasi danno che faccia capo ad un soggetto, di qualsiasi tipo o entità, è inquadrabile in questa categoria.