Sulle esigenze di riforma del diritto d’autore in Europa si scrive ormai da anni; meno note – almeno ai non addetti ai lavori – appaiono invece le soluzioni di prossima adozione.
Come riportato nel sito istituzionale della Commissione europea, gli strumenti per la modernizzazione del diritto d’autore coincidono con una proposta di regolament e una di direttiva: la prima settoriale rivolta «a talune trasmissioni online degli organismi di diffusione radiotelevisiva e ritrasmissioni di programmi televisivi e radiofonici»; la seconda di più ampio respiro «sul diritto d’autore nel mercato unico digitale». A ciò si associano invero altre due proposte circoscritte «a beneficio delle persone non vedenti, con disabilità visive o con altre difficoltà nella lettura di testi a stampa».
Non è certo questa la sede per analisi di dettaglio; ciò che preme è identificare alcune linee di tendenza con cui occorrerà fare i conti nel corso del 2017.
In primo luogo appare ragionevole circoscrivere il campo della riflessione escludendo le ultime due proposte citate che, ancorché centrali per le alte implicazioni sul piano sociale, sono destinate ragionevolmente ad avere una scarsa incidenza sull’economia complessiva del mercato unico digitale.
Sicuramente più invasivo appare il contenuto della proposta di regolamento finalizzata a rimuovere gli ostacoli che intralciano la libera circolazione dei programmi televisivi e radiofonici all’interno dell’Unione. La complessità del tema sta nell’intreccio di licenze: si tratta di un «effetto matrioska» laddove il pacchetto offerto dall’operatore di servizi di ritrasmissione (A) si compone al proprio interno di programmi trasmessi da organismi di diffusione radiotelevisiva (B); e questi ultimi comprendono a loro volta al proprio interno contenuti protetti da diritti d’autore o connessi di terzi (C). Si pone dunque un problema evidente di costi di transazione per la negoziazione multilivello e l’acquisizione delle licenze da parte di una pluralità di soggetti coinvolti e rispetto ad insiemi alquanto eterogenei di opere protette; e ciò con l’ulteriore difficoltà legata sia ai profili transfrontalieri sia ad un estremo dinamismo del mercato di riferimento.
L’intervento si inserisce dunque in un contesto assai caotico e cerca di rimettere ordine in un settore lasciato inevitabilmente scoperto dall’ormai risalente direttiva sulla radiodiffusione satellitare e sulla ritrasmissione via cavo di cui vengono peraltro ampiamente mutuate alcune scelte di fondo.
Una prima linea di tendenza è dunque metodologica: si tratta dell’opzione per una regolamentazione settoriale e disorganica del diritto secondario d’autore ancorché improntata alla ricerca di un minimo di coerenza con il contesto normativo di riferimento.
Una seconda linea è invece di merito e si evince dal contenuto della proposta di regolamento, laddove si distinguono in modo netto due rapporti contrattuali: da un lato quello tra operatori di servizi di ritrasmissione ed organismi di diffusione (A – B), dall’altro quello tra operatori di servizi di ritrasmissione e titolari di diritti su opere incluse nei programmi da ritrasmettere (A – C). Nel primo caso considerazioni di opportunità legate alla dimensione degli operatori coinvolti hanno spinto ad escludere l’opzione per la gestione collettiva obbligatoria, che è stata invece prevista nel secondo alla luce della frammentazione dei titolari dei diritti. Ed è qui che la Commissione europea cerca di non toccare il nervo scoperto della liberalizzazione delle collecting optando a prima vista per una scelta pragmatica: il tredicesimo considerando si conclude infatti affermando che «Ciò non pregiudica la direttiva 2014/26/UE e, in particolare, le sue disposizioni relative ai diritti dei titolari dei diritti per quanto riguarda la scelta di un organismo di gestione collettiva». Sembra allora trasparire il tentativo di sottrarre la proposta di regolamento al dibattito infuocato sviluppatosi attorno al (preteso) superamento dei modelli monopolistici e territoriali di gestione collettiva; in questo senso potrebbe leggersi anche l’attuale formulazione dell’art. 3 che sembra enucleare diversi possibili criteri di individuazione dell’organismo di gestione collettiva incaricato optando così per uno schema flessibile adatto ad ogni stagione. Le scelte di compromesso lasciano tuttavia irrisolti alcuni problemi di fondo: se il dibattito non sarà distratto eccessivamente dall’introduzione del principio del «paese d’origine» si potranno infatti scorgere alcune semplificazioni arbitrarie operate dalla Commissione europea nel tentativo di rendere omogenea la categoria assai eterogenea dei titolari di diritti su opere incluse nei programmi da ritrasmettere. L’impressione è che le spinte modernizzatrici mal tollerino le fisiologiche lentezze e resistenze nell’armonizzazione dei modelli di gestione collettiva e tentino di gettare il cuore oltre l’ostacolo.
La proposta di direttiva appare invece di maggiore respiro pur caratterizzandosi per un contenuto alquanto eterogeneo: eccezioni e limitazioni per finalità didattiche, di ricerca e di conservazione del patrimonio culturale; licenze su opere fuori commercio; licenze su opere audiovisive per piattaforme video su richiesta; diritto connesso su pubblicazioni di carattere giornalistico; previsioni in tema di utilizzo di contenuti protetti da parte di talune categorie di prestatori di servizi online; disposizioni per l’equa remunerazione di autori ed AIE. Mutuando il linguaggio informatico si potrebbe parlare di un pacchetto cumulativo di aggiornamenti rispetto ad un quadro normativo che resta invariato nelle sue coordinate di fondo: appare in questo senso emblematico l’art. 17 rubricato «Modifiche di altre direttive» da cui risulta evidente la scarsa incidenza della proposta sulla nota direttiva Infosoc.
Senza dunque entrare nel dettaglio delle singole disposizioni, pare opportuno porre ancora una volta l’accento sulle linee di tendenza per il 2017. Ed in primo luogo occorre ridimensionare la stima dell’impatto di una proposta che non mira certamente a sovvertire l’impianto originario della direttiva Infosoc; e ciò con particolare riguardo per la previsione di una elencazione restrittiva di eccezioni e limitazioni al diritto d’autore su cui si è sviluppato negli anni un ampio dibattito dottrinale. La proposta apre all’introduzione di tre eccezioni obbligatorie per finalità didattiche, di ricerca e di conservazione del patrimonio culturale, formulate in modo restrittivo e con richiamo espresso al limite posto dall’art. 5 par. 5 dir. Infosoc (c.d. «three step test»).
Alla cautela dell’intervento sul diritto primario d’autore – con la sola eccezione forse per l’introduzione del diritto connesso su pubblicazioni di carattere giornalistico – si associa un’impostazione alquanto soft anche nella regolamentazione dei rapporti contrattuali: e così l’art. 10 prevede una mera facoltà di avvalersi «dell’assistenza di un organismo imparziale» nella negoziazione di licenze sulla messa a disposizione di «opere audiovisive su piattaforme di video su richiesta»; l’art. 13 fa riferimento a non meglio precisate «tecnologie efficaci per il riconoscimento dei contenuti» caricati dagli utenti senza però entrare nel merito della regolamentazione dei rapporti contrattuali che resta rimessa integralmente all’autonomia dei privati; gli artt. 14 e 15 tutelano autori e AIE introducendo obblighi di trasparenza ed un meccanismo di adeguamento contrattuale ma evidentemente non escono dal contesto tradizionale di un contratto negoziato. Tale approccio sembra dunque sensibile soltanto alle problematiche più contingenti legate all’implementazione del mercato unico digitale; predilige cioè una prospettiva di breve periodo senza considerare il cambiamento già in atto non soltanto sul piano dei rapporti contrattuali standardizzati tra provider e utenti-autori (licenze sugli user-generated content) ma anche in termini di una completa digitalizzazione della catena di produzione industriale (internet of things, industry 4.0) con conseguenze rilevanti sul piano autorale.
Parlare di svolta sembra dunque decisamente prematuro: il 2017 sarà piuttosto un anno di verifica il cui esito dipenderà inevitabilmente dalla caratura del dibattito parlamentare e dai nuovi equilibri che si verranno a delineare in seno al Consiglio laddove si preannunciano non poche resistenze. Sullo sfondo delle due proposte aleggiano infatti i fantasmi dell’incertezza sul piano applicativo con evidenti rischi di moltiplicazione del contenzioso dinanzi alla Corte di giustizia.