Beni culturali

Diritto d’autore sulle opere visive e librarie: i nodi ancora da sciogliere



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Si riapre il dibattito sulla libera utilizzazione, a beneficio dello Stato e dei suoi apparati, delle riproduzioni delle opere che rientrano nei cosiddetti “beni culturali”, anche nel caso in cui essi siano di proprietà di archivi, biblioteche e collezioni appartenenti al settore pubblico o privato. Vediamo perché

Pubblicato il 11 lug 2023

Luciano Daffarra

C-Lex Studio Legale



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La pubblicazione, avvenuta il 2 maggio 2023, del Decreto del Ministero della Cultura, dal titolo “Modifiche al decreto 11 aprile 2023, rep. n. 161, recante “Linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali”, apre nuovamente il dibattito sul tema della libera utilizzazione, a beneficio dello Stato e dei suoi apparati, delle riproduzioni delle opere facenti parte dei cosiddetti “beni culturali”, anche nel caso in cui essi siano di proprietà di archivi, biblioteche e collezioni appartenenti al settore pubblico o privato.

Le disposizioni della “Legge sul mercato e la concorrenza”

Per meglio chiarire il tema che andiamo qui brevemente ad illustrare, dobbiamo prendere come primo punto di riferimento alcune disposizioni introdotte dalla “Legge sul mercato e la concorrenza”, la n. 124 del 4 agosto 2017, la quale include, fra le molte di diverso tenore, una serie di norme riguardanti il settore delle arti visive che hanno modificato il “Decreto Art Bonus”, così denominato per avere sottratto dall’obbligo dell’ottenimento della previa autorizzazione dell’allora MiBACT (Art. 107 del D.lgs. 42/2004 – Codice dei Beni Culturali o CBB nel seguito di questo brano), la riproduzione delle opere rientranti fra quelle dell’arte visiva e dei beni bibliografici, rendendo leciti tali atti per talune finalità e qualora essi non siano attuati con lo scopo di lucro.

Quest’ultima disposizione, contenuta al comma 3-bis dell’art. 108 del CBC, nel testo modificato dall’art. 1, comma 171, della sopra ricordata legge sulla concorrenza e il mercato, recita: “Sono in ogni caso libere le seguenti attività, svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale”.

Le categorie di opere che rientrano nel novero delle libere utilizzazioni

La norma identifica quindi due categorie di opere rientranti nel novero delle libere utilizzazioni di cui sopra: 1) “la riproduzione di beni culturali diversi dai beni archivistici, attuata nel rispetto delle disposizioni che tutelano il diritto d’autore, e con modalità che non comportino alcun contatto fisico con il bene, né l’esposizione dello stesso a sorgenti luminose, né, all’interno degli istituti della cultura, l’uso di stativi e treppiedi”; 2) “la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali diversi dai beni archivistici sottoposti a restrizioni di consultabilità ai sensi del capo III del presente titolo, legittimamente acquisite, in modo da non potere essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro”.

Gli effetti della scelta legislativa

Sono stati quindi fatti rientrare nella libera riproduzione dei beni culturali anche i “beni bibliografici” che non erano precedentemente contemplati nella versione originaria dell’art. 108 del CBC approvata con L. 106/2014 (di conversione del “Decreto Art Bonus”). Per meglio comprendere gli effetti di tale scelta legislativa, dobbiamo percorrere due strade parallele. La prima riguarda l’identificazione della ratio delle norme introdotte dallo Stato in materia di “beni culturali” con il voto di fiducia intervenuto a seguito della discussione in aula del Senato della Repubblica del DDL S-2085[1]; la seconda ci conduce a comprendere in quale rapporto si ponga l’attuale disciplina in materia di diritto d’autore rispetto a talune opere che, oltre a essere “beni culturali”, rappresentano anche opere tutelate.

Va in tal senso evidenziato che i “beni culturali” oggetto degli atti di riproduzione e di messa a disposizione del pubblico, di cui ci occupiamo, in base all’attuale testo del CBC sono quelli definiti come tali dal suo art. 10, norma che precisa che in tale accezione rientrano i beni mobili e immobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici e alle persone giuridiche senza fine di lucro, inclusi gli enti ecclesiastici, purché tali beni presentano “interesse artistico, storico, archeologico ed etnoantropologico”.

Il comma 2 del citato articolo 10 aggiunge ulteriori categorie di “beni culturali” a quelle sopra citate comprendendovi (lett. c) “i manoscritti, gli autografi, i carteggi, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni (…) aventi carattere di rarità e di pregio”. In senso contrario, il comma 5 della medesima disposizione esclude, con qualche deroga, dal novero dei beni disciplinati dal Codice le opere di “autori viventi” e quelle la cui “esecuzione” non risalga ad oltre settanta anni. Quest’ultima specificazione sembra volere richiamare la normativa della legge autore, la quale attribuisce una tutela dei diritti patrimoniali sulle opere creative ivi elencate agli artt. 1 e 2, che perdura per l’intera vita dell’autore e per i 70 anni successivi alla sua morte[2]. Nel testo del CBC invero non risulta affatto chiaro, anzi non è stabilito, che la durata di 70 anni dall’”esecuzione” dell’opera debba essere intesa post mortem auctoris, in quanto il decorso del tempo avente inizio dall’esecuzione dell’opera appare indubitabilmente un concetto diverso dal suo trascorrere dal momento dell’evento della scomparsa del suo autore.

Il tema della libera riproduzione dei beni librari

Seppure l’elemento fondante delle norme interne sull’utilizzazione dei “beni culturali” si incentri sull’interesse artistico delle opere che ne fanno parte, l’avere inteso rendere pubblica e liberamente riproducibile una serie sempre più estesa di tali beni, ci pone di fronte ad alcuni interrogativi che riguardano talune tipologie di beni, in particolare, quelli librari[3].

Infatti, pur essendo vero che l’art. 10 del CBC comprende nel proprio ambito, fra le opere che possono essere oggetto di riproduzione e di divulgazione[4] “le raccolte librarie delle biblioteche” (Art. 2 lett. c), “le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale” (art. 3, lett. c) nonché “i libri, le stampe e le incisioni, con relative matrici, aventi caratteri di rarità e di pregio”, il tema della libera riproduzione e comunicazione al pubblico di dette opere si pone, a condizione che siano trascorsi 70 anni dalla loro produzione o esecuzione, purché la loro provenienza sia legittima e lo scopo del loro impiego non sia lucrativo.

I parallelismi e le distonie con la legge sul diritto d’autore

Avuto riguardo alle ragioni che giustificano gli utilizzi dei “beni culturali” di cui al “Bonus Art”, la prescrizione che tali iniziative debbano essere “svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale” – come recita la norma – ci pone di fronte a un ulteriore tema evocato dal facile paragone di tale inciso con la norma dell’art. 70 L.D.A. ove l’utilizzazione di brani o parti di opere tutelate è ritenuta lecita nel  caso in cui sia effettuata “a fini di insegnamento o di ricerca scientifica”, a condizione che l’utilizzo avvenga “per finalità illustrative e per fini non commerciali” sempreché tali sfruttamenti non si pongano in concorrenza con i diritti del legittimo titolare (c.d. “three-step-test”). Questi stessi concetti sono stati in parte ripresi dal comma 1-bis dell’art. 70 LDA[5] ove si stabilisce che “è consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro”[6].

Rilevata l’esistenza di forti analogie fra le prescrizioni della Legge Autore nell’assetto che prevale sulle norme che consentono le libere utilizzazioni stabilite dal CBC, si pone poi il tema del coordinamento del dettato dell’art. 10 del CBC con la norma dell’art. 70-bis della stessa L. 633/1941 che pone limitazioni all’utilizzazione di opere protette da parte degli organismi di ricerca e degli istituti di tutela del patrimonio culturale. Tali enti includono le biblioteche nazionali, i musei, gli archivi nazionali e gli istituti per la tutela del patrimonio.

A tale stregua, pur essendo le norme della Legge Autore dirette a tutelare le opere non ancora cadute nel pubblico dominio, vediamo non poche distonie fra il sistema creato con il CBC e con il “Bonus Art” rispetto alla tutela garantita dal diritto d’autore, se ci riferiamo alle opere dell’ingegno non meramente di arte visiva o figurativa ma estendiamo l’esame alle raccolte di libri che sono state aggiunte con il più volte citato emendamento.

Le norme europee

Nel riferirci al tema della libera riproduzione dei beni culturali nella versione dell’art. 108 risalente all’agosto dell’anno 2017, va rammentato che questa stessa disciplina è stata oggetto di norme comunitarie europee successive alla suddetta normativa interna. Ci riferiamo in particolare alla Direttiva c.d. “Digital Single Market” e alla Direttiva “Relativa all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico”.[7]

La prima Direttiva si riferisce specificamente alle sole arti visive riportando le ragioni che sostengono la creazione di un’apposita normativa in materia nel “Recital” n. 53 il quale, avuto riguardo alle opere cadute nel pubblico dominio, evidenzia come “nel settore delle arti visive, la circolazione di riproduzioni fedeli di opere di dominio pubblico favorisce l’accesso alla cultura e la sua promozione e l’accesso al patrimonio culturale”, senza pregiudizio per l’uso commerciale di tali riproduzioni da parte degli enti deputati alla difesa del patrimonio pubblico. Di conseguenza, l’art. 14 della direttiva DSM ha stabilito che le opere delle arti visive cadute in pubblico dominio non debbano essere ulteriormente tutelate e, in aderenza a tale indicazione, l’art. 32-quater della L. 633/1941 ha provveduto, precisando peraltro che “Restano ferme le disposizioni in materia di riproduzione dei beni culturali di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42”, di talché viene consolidata quella inutile commistione fra norme disomogenee in materia di diritto d’autore e in tema di “beni culturali” che è stata evidenziata nel corso di questo scritto.

Un ulteriore spunto in tema di utilizzazione dei documenti e materiali in possesso delle biblioteche, dei musei e degli archivi ci viene offerto dalla Direttiva UE/2019/1024 che concerne il riutilizzo dei dati a fini commerciali da parte dei suddetti enti, con la precisazione che le sue disposizioni non incidono in alcun modo sulla tutela dei diritti di proprietà intellettuale spettanti a terzi su questi contenuti. Il fine di questa normativa è, da un lato, quello di facilitare l’interscambio di dati fra i soggetti pubblici operanti in seno all’Unione Europea, così da evitare posizioni monopolistiche o dominanti in un determinato stato unionista o da parte di un numero limitato ed accentrato di soggetti. Di tal guisa, gli enti pubblici sopra descritti mettono a disposizione degli altri soggetti operanti nell’Unione i propri documenti “in qualsiasi formato o lingua preesistente e, ove possibile e opportuno, per via elettronica, in formati aperti, leggibili meccanicamente, accessibili, reperibili e riutilizzabili, insieme ai rispettivi metadati”.

Questo provvedimento comunitario è stato oggetto di recepimento in Italia per il tramite del D. Lgs. N. 200 dell’8 novembre 2021. Con tale atto, nel conformare il nostro sistema giuridico al libero scambio di dati della pubblica amministrazione e degli organismi di diritto pubblico, all’art. 14 si è stabilito che l’obbligo di mettere a disposizione gratuitamente i propri dati non è applicabile alle biblioteche, comprese quelle universitarie, come pure ai musei e agli archivi, soggetti che possono applicare per la cessione dei loro dati (che comprendono senza dubbio i libri) tariffe che superino i propri costi marginali. Per essi sono applicabili quindi regole che prevedano la remunerazione dei beni in loro possesso, anche se contenuti in banche di dati.

A tale proposito entrano ora in gioco le “Linee guida per la determinazione dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali”, allegate al Decreto del Ministero della Cultura cui è stato fatto riferimento in apertura di questo lavoro. Detto documento riporta diverse possibili tipologie di sfruttamenti dei “beni culturali” come sopra illustrati, distinguendo fra le riproduzioni effettuate senza scopo di lucro e quelle con scopo di lucro, contemplando al contempo la concessione temporanea di spazi a terzi all’interno dei beni immobili rientranti fra quelli di competenza del M.I.C. in attuazione dell’art. 108, comma 6, del CBC[8].

Conclusioni

Il provvedimento in questione contempla altresì le modalità del possibile sfruttamento dei “beni culturali” da parte degli utenti prevedendo la possibilità di avvalersi di atti di riproduzione che vanno dalle stampe fotografiche, alle immagini digitali fino ai videoclip, agli e-book e ai Non-Fungible Tokens (NFT).

Precisa il provvedimento che le tariffe risultanti dall’applicazione dei criteri ivi previsti “non comprendono gli eventuali diritti dei terzi” connessi alla fornitura e alla riproduzione delle opere “che devono essere separatamente quantificati e liquidati agli eventuali titolari dei diritti”. Se questo è l’intento perseguito dalle norme regolamentari, si può prospettare la nascita di un giro d’affari di grandi dimensioni per la quantità e la qualità dei “beni culturali” del nostro Paese. C’è da auspicare che tutti gli aventi diritto, ivi inclusi i titolari di opere tuttora protette, partecipino a questa opportunità.

Note


[1] Qui si trova copia degli atti della 816a seduta pubblica del Senato del 3 maggio 2017 con il testo allegato del provvedimento assieme al suo resoconto stenografico (fra gli allegati vi è il testo di legge) https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/1021967.pdf

[2] Art. 25 Legge 633/1941

[3] Particolari regole e limitazioni sono previste dall’art. 11 del CBC avuto riguardo – fra le altre – alle fotografie, alle opere cinematografiche e alle sequenze di immagini in movimento.

[4] In tale accezione si fa rientrare anche la messa a disposizione al pubblico dei “beni culturali” attraverso le reti di comunicazione elettronica.

[5] Anche le norme introdotte con il D. Lgs. 177/2021 di implementazione in Italia della Direttiva EU/2019/790 (Direttiva DSM) prevedono che le ulteriori utilizzazioni libere ivi disciplinate debbano avvenire a precise condizioni e in un ambito limitato. L’art. 70-bis LDA consente l’uso di copie digitali delle opere protette per “finalità illustrative ad uso didattico” purché ciò avvenga “nei limiti di quanto giustificato dallo scopo non commerciale perseguito, nonché sotto la responsabilità di un istituto di istruzione, nei suoi locali o in altro luogo o in un ambiente elettronico sicuro, accessibili solo al personale docente di tale istituto e agli alunni o studenti iscritti al corso di studi in cui le opere o gli altri materiali sono utilizzati”.

Analoghe limitazioni sono poste per l’impiego di opere protette dal diritto d’autore dalle norme di cui all’art. 70-ter LDA che concerne le utilizzazioni poste in essere dagli organismi di ricerca e da istituti di tutela del patrimonio e all’art. 70-quater LDA che pone nette limitazioni alle riproduzioni e alle estrazioni da opere o da

altri materiali contenuti in reti o in banche di dati di cui il soggetto che si avvale dell’eccezione abbia legittimamente accesso ai fini dell’estrazione di testo.

[6] Di fatto questa disposizione non può trovare applicazione mancando il prescritto decreto ministeriale di attuazione.

[7] Ci riferiamo a due provvedimenti comunitari dell’Unione Europea dell’anno 2019. Si tratta, in ordine di tempo, della Direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019 “sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE” e della Direttiva (UE) 2019/1024 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 “relativa all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico”.

[8] Questo il testo della norma: “6. Gli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per l’uso e la riproduzione dei beni sono fissati con provvedimento dell’amministrazione concedente”.

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