l'allarme

Disabilità ai tempi del Covid-19: il governo è cieco, sordo e immobile

Il digitale non basta per sopperire ai problemi dei disabili, acuiti in questa fase. Nel 2020 non possiamo più dire che manca la cultura in tema di inclusione: esistono norme, regole che vanno applicate per evitare la discriminazione di persone con disabilità

Pubblicato il 08 Mag 2020

Roberto Scano

Esperto internazionale in materia di accessibilità ICT – Presidente Commissione UNI/TC 531 “eAccessibility”

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Ho letto con dispiacere le due lettere mandate nei giorni scorsi al presidente del Consiglio e alla ministra dell’istruzione da ANGSA Lombardia (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici), attraverso il suo socio Andrea Buragina, padre di un ragazzo autistico.

Si legge nelle lettere: “Se, nel caso di ragazzi realmente abili, le lezioni a distanza solo in parte compensano la chiusura delle scuole, lo stesso non si può dire nel caso di soggetti autistici che sono abituati alla loro routine e che, essendo l’uno diverso dall’altro, necessitano di percorsi personalizzati. Una personalizzazione che già a scuola è difficile assicurare per via del taglio progressivo delle ore di sostegno (non vi è di fatto mai un rapporto 1:1), cosa che rende sostanzialmente impossibile la sua implementazione a distanza. A questo si aggiunge il fatto che a molti soggetti autistici non è proprio possibile erogare delle lezioni in remoto”.

Se il Governo dimentica i disabili nel covid-19

Per l’ennesima volta conferma il perdurare dell’assenza di una strategia governativa rispetto alle persone con disabilità, gli “invisibili”, quelle persone che soprattutto in questo periodo soffrono l’isolamento sociale dovuto al COVID-19 e spesso ad errate soluzioni, se non addirittura in alcuni casi proprio all’assenza di soluzioni, identificate da governo in giù sul tema dell’inclusione.

Il tema dell’inclusione, o della non esclusione (come preferisco definirla io) delle persone con disabilità è un argomento che viene gestito in modo diverso a seconda del periodo storico. Vi sono governi che si interano di più del tema, altri che invece non la considerano priorità. Negli ultimi due governi, con medesimo premier, abbiamo avuto un governo con un sottosegretario delegato al tema mentre nel governo successivo lo stesso premier ha preferito tenere la delega per la materia specifica. Attualmente in epoca di COVID-19 nella miriade di task force non ne esiste una specifica per il tema anche se in alcune task force sono stati inserite delle persone con competenze verticali in alcuni settori della disabilità.

Se ci limitiamo al mondo del digitale ed alla mobilità delle persone con disabilità, applicando dei principi generali che esistono dallo scorso millennio, si potrebbe garantire una vita quasi normale alle persone con disabilità anche in epoca di contenimento (lockdown) come quella attuale, dove la minima interazione richiede accorgimenti specifici.

La difficile vita di ogni giorno

È proprio nelle azioni di ogni giorno che una persona con disabilità esige di svolgere in autonomia che bisogna partire per garantire la non discriminazione. Pensiamo solo alle linee guida uscite da una delle tante task force relative al distanziamento sociale, all’obbligo di stare dietro una riga per terra o dentro un bollino adesivo, così come di sedersi nei mezzi pubblici solo nei posti senza bollino. Mi chiedo ad alta voce: ma chi ha scritto queste regole si è posto il problema delle persone non vedenti che in autonomia si muovono? Avete mai notato che in alcuni casi ci sono i percorsi tattili? Porre adesivi quantomeno con minimo rilievo sarebbe stato troppo complicato? Se poi passiamo alla necessità, in molte città, di prenotare il posto nel mezzo pubblico è necessario garantire che le soluzioni prescelte non discriminano le persone con disabilità: un prodotto che non consente ad un non vedente di prenotare in autonomia un posto in un mezzo pubblico, acquistare un biglietto per un bus o per un treno, rientra nella discriminazione.

Se passiamo invece alle informazioni erogate con canali tradizionali, ci ritroviamo la comunicazione istituzionale tramite TV che all’inizio in parecchi casi era puramente “visiva”, con testo scritto e con della musica di fondo. Anche in questo caso la notizia non può giungere alle persone non vedenti che, sfatiamo un mito, interagiscono anche con la TV.

Il digitale non è per tutti

Passiamo invece al mondo digitale, dove nell’ambito della PA dal 2004 esistono delle regole di accessibilità web che sono applicabili anche dal settore privato, ossia una serie di requisiti per lo sviluppo di contenuti web definiti a livello internazionale. Mentre rispetto alla PA è possibile avviare un procedimento di segnalazione in prima istanza all’amministrazione ed in seconda istanza al Difensore Civico per il Digitale, nel settore privato si applica una norma sulla discriminazione delle persone con disabilità (Legge 67/2006). Quindi attenzione perché anche il privato, nonostante non vi sia attualmente una legge che obbliga allo sviluppo di soluzioni accessibili, è comunque obbligato a non discriminare le persone con disabilità in qualsiasi settore, compreso quello del digitale. Durante la fase 1 di COVID-19 abbiamo assistito alle diverse problematiche causate dalla mancata conoscenza del tema anche a livelli “alti”. Chi non si ricorda il decalogo del Ministero della Salute, condiviso come immagine in ogni tipologia di media. Immagine, e come tale sempre descritta come: ecco le dieci regole che dovete seguire. Chiaramente, un non vedente non è in grado di leggere quelle dieci regole se non vengono scritte come testo, in quanto la tecnologia assistiva che utilizza interpreta il testo e non le immagini. E come dimenticarsi dei numeri verdi nazionali e regionali per avere informazioni su COVID-19 e su come comportarsi. Peccato che un numero verde non è utilizzabile da una persona non udente e con tale unica modalità si è creata discriminazione delle persone con disabilità, la cui consolazione è stata data con un interprete di lingua italiana dei segni durante tutte le dirette importanti (un segno di civiltà che dovrebbe permanere e non essere “eccezionale”). E che dire dei documenti scansionati pubblicati in rete, a partire dai primi DPCM che il Presidente Conte invitava a leggere per capire cosa avesse fatto il governo e cosa dovevamo fare noi cittadini. Anche questi documenti, come le immagini del decalogo, sono totalmente non leggibili dalle tecnologie assistive delle persone non vedenti.

Se passiamo al settore privato, le problematiche di accessibilità sono state legate spesso all’uso di soluzioni progettate in modo non corretto, perché va chiarito per l’ennesima volta che non bisogna produrre una soluzione e poi una versione accessibile, va ogni prodotto va sviluppato pensando a tutti, senza discriminazione. Così alcuni utenti con disabilità hanno avuto problemi nell’acquisto on line in alcuni supermercati o negozi di vicinato, non potendo quindi approvvigionarsi in autonomia di prodotti di prima necessità. È proprio in queste situazioni di emergenza in cui non ci si può muovere o ci si può muovere in modalità limitata che la tecnologia sostituisce il classico acquisto. Basti pensare alle “code virtuali” che si sono create nella consegna di prodotti acquistati on line. Anche se l’Europa ha indicato il 2025 come l’anno entro cui anche il settore privato dovrà adeguarsi ai criteri di accessibilità, ad oggi fornire servizi e vendere prodotti non accessibili significa perdere una cospicua fetta di mercato, oltre la discriminazione già citata.

Scuola, lavoro: una discriminazione che si poteva evitare

Quarantena significa tutti a casa che significa: lezioni a distanza, meeting, telelavoro. Anche qui un disastro che si sarebbe potuto evitare se PA e privati avessero acquistato prodotti accessibili. Tralasciando tutti i problemi correlati alla connettività spesso “ballerina”, nonché alla scarsa disponibilità di periferiche digitali a casa oltre il classico smartphone, qualche tablet e un PC da dividersi tra tutti i familiari in fasce orarie contingentate, il vero problema sono state spesso le soluzioni web o ICT scelte dalle aziende e dalla PA. L’uso di soluzioni di comunicazione non accessibili, nonché la mancanza di competenze formative in ambito digitale di molti docenti hanno portato all’esclusione di alunni con disabilità dalle lezioni on line. Nella nota del MIUR n. 388 del 17 marzo 2020 si affermava che “il dirigente scolastico, d’intesa con le famiglie e per il tramite degli insegnanti di sostegno, verifica che ciascun alunno o studente sia in possesso delle strumentalità necessarie allo svolgimento delle attività”. Il problema è che, anche in questo caso, l’inserimento di “contenuti formativi digitali” tramite piattaforme non sempre accessibili hanno creato ulteriori barriere per gli studenti con disabilità.

Parimenti, la medesima discriminazione è stata subita da diversi lavoratori con disabilità che non sono stati inseriti in attività lavorative per l’assenza di piattaforme accessibili. Si poteva evitare? La legge 4/2004, dal 2004, stabilisce che sia il settore pubblico che il privato deve garantire la postazione di lavoro, anche in ambito di telelavoro, in modo che sia accessibile anche a persone con disabilità. Quando si parla di postazione non si intende solo il personal computer ma anche gli applicativi: che la PA o un’azienda privata fornisca hardware accessibile ma che poi il sistema remoto a cui si collega il lavoratore con disabilità non è accessibile perché sviluppato non seguendo standard internazionali è comunque discriminazione, in questo caso in ambiente di lavoro.

Conclusioni

Ho provocatoriamente indicato nel titolo dell’articolo che il governo in questo caso si presenta come un soggetto con disabilità multiple: non reali, ma concettuali. È cieco, perché non vede, non si rende conto che molte azioni di comunicazione e di riorganizzazione della vita quotidiana a seguito di COVID-19 sono discriminatorie verso una fascia di popolazione. È sordo, perché non risponde alle istanze delle associazioni che quasi quotidianamente nei siti dedicati urlano lo stato di abbandono soprattutto per la fase2. È immobile, in quanto sembra non voler agire per evitare l’esclusione delle persone con disabilità, nonché per supportare la vita dei loro familiari.

Bisogna aggiungere che una buona parte della responsabilità ce l’hanno anche gli enti locali, le regioni nella fattispecie alle quali la costituzione delega diversi ambiti di intervento e che potrebbero avere un ruolo attivo e dovrebbero assumersi le loro responsabilità. Sembra quindi che anche le regioni soffrano delle stesse disabilità che attribuisce al governo centrale.

E pensare che solo per l’ambito digitale abbiamo moltissime eccellenze nel nostro paese. Così come abbiamo delle regole in tema di accessibilità da anni, basterebbe solo applicarle: non solo per il web e per il settore ICT, ma anche per il turismo, la mobilità e tutto quanto è vita quotidiana, perché per ogni settore qualcuno ha già scritto le regole di come evitare l’esclusione delle persone con disabilità.

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