Centotrentottomila citazioni realizzate da oltre quindicimila autori unici che hanno coinvolto circa 2.1 milioni di persone in una singola settimana. Un numero che si aggira attorno a 269.1 miliardi di impression, di esposizioni potenziali a contenuti: parliamo di AstraZeneca e del suo vaccino anti-covid, al centro della bufera dai giorni precedenti al 15 marzo, quando l’AIFA ha deciso di sospenderne in tutto il territorio nazionale la somministrazione, seppur sottolineando che la decisione era presa esclusivamente in via precauzionale. [1]
Una bufera che continua in questi giorni, per i continui sospetti che il vaccino possa causare trombosi.
E abbiamo riportato, ovviamente, solo una parte dei numeri sulle conversazioni in rete su AstraZeneca, analizzate da Ansa e DataMediaHub al fine di comprendere quale fosse l’orientamento degli italiani rispetto al vaccino. Le analisi segnalano che senza alcun dubbio il sentiment è negativo, andando a sommare le centinaia di migliaia condivisioni relative a “morti sospette”, effetto ADE, lotti difettosi, correlazioni con reazioni pericolose che hanno trovato sostegno dalla notizia del ritiro del vaccino in altre nazioni del vecchio continente. Nella maggior parte dei casi si tratta di pura disinformazione.
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Il caos informativo
La cosa più grave è vedere titoli di giornali piegati alla logica dell’engagement con notizie da clickbait, sbandierati in nome dell’etica del “dare la notizia”. Andiamo da insinuazioni allarmanti “Prof muore a 10 giorni dal vaccino, inchiesta a Bologna”, “Campania, paura per AstraZeneca: la Regione sospende il vaccino. Poi ci ripensa” ad altri, ancora peggiori, dove l’associazione tra vaccino ed evento nefasto è del tutto privo di supporto logico, “Pavia, coppia di anziani in ospedale per il vaccino anti-covi: travolti dall’ambulanza, lui è grave”.
C’è senza dubbio un problema. Questo problema è il caos, un corto circuito nella comunicazione pubblica che stressa utenti già sopraffatti dalla mancanza di certezze che alimentano un vociare urlato attorno ad un tema delicatissimo ed importantissimo per il bene comune. Le notizie vengono riportate in forma sensazionalista, espressamente manipolate per innescare una risposta emotiva che possa spingere all’azione (click, like o condivisione), andando ad impattare sulla capacità del lettore di elaborare una riflessione sistematica.[2]
A questo si aggiunge una comunicazione ufficiale che, auto delegittimandosi, non riesce a gestire le informazioni, alternando eccesso di dettagli tecnici incomprensibili ai più, a posizioni contraddittorie che vengono mal argomentate. Non è una situazione semplice, questo è scontato, ma è proprio nell’emergenza che la strategia comunicativa va coordinata, gestita, anticipata.
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Lo squilibrio cognitivo tra epidemia ed infodemia
Ad oggi, grazie all’ampia letteratura scientifica che nell’ultimo anno ha studiato la relazione tra infodemia ed epidemia, sappiamo che le notizie inaffidabili ed allarmistiche hanno avuto un impatto concreto sulla salute pubblica in diversi paesi, andando ad influenzare la percezione dei comportamenti a rischio degli individui ed i relativi comportamenti.[3]
La disinformazione ha dimostrato il suo potenziale di aumentare in modo significativo l’esposizione al virus dal momento, come dimostrano Duffy ed Allington, le persone che credono alle teorie del complotto sul Covid-19 hanno maggiori probabilità di infrangere le regole ed di rifiutare di conformarsi alle indicazioni di salute pubblica come mascherine, distanziamento etc.[4] Le false narrazioni aumentano l’incertezza e la percezione di un rischio elevato, spingendo le persone a cercare con molta più probabilità risposte e rassicurazioni nelle conversazioni online e soprattutto nei social media.
In particolare, è un dato che l’uso dei social media sia correlato positivamente alla diffusione di emozioni quali paura e rabbia, andando ad impattare sulla probabilità di adozione dei comportamenti preventivi; capire i processi in gioco può essere utile per migliorare la comunicazione a tutti i livelli.[5]
La letteratura psicosociale ci insegna che il contagio sociale ha come caratteristica principale proprio la rapidità di diffusione e l’ambiente digitale, con le dinamiche proprie dei social media, non ha fatto altro che amplificare la velocità epidemica di un virus sociale. Come sa bene chi utilizza professionalmente la manipolazione dell’informazione, creare fattoidi e utilizzare la leva della paura è uno degli strumenti più utilizzati nelle strategie di comunicazione persuasiva.[6] Le notizie sensazionalistiche tendono ad allertare, attivando la paura e irrompendo nell’equilibrio cognitivo del soggetto, destabilizzandolo e rendendolo più incline a credere alla probabilità di un evento avverso. Da un punto di vista evolutivo, la paura rende le persone più sensibili alle potenziali minacce, dal momento che il nostro sistema cognitivo si attiva in maniera più solerte verso potenziali minacce, soprattutto se impattano sulla sopravvivenza (bias di negatività).[7] Gli eventi negativi rispetto, a quelli positivi, comportano una maggiore mobilizzazione di risposte fisiologiche, cognitive, emotive e sociali dell’organismo; da ciò ne deriva che in una situazione in cui dilaga la minaccia di un pericolo – reale o presunto – così come nel momento in cui c’è, come in questo periodo, un vuoto di consenso scientifico o, ancor peggio, un dibattito aperto e contradditorio nelle voci, i sentimenti di incertezza e paura rendono difficile anticipare o pianificare azioni, così le persone cercano compulsivamente spiegazioni e tendono a basarle su notizie facilmente accessibili. Questo è il processo con cui si facilita la strada alla diffusione di informazioni pseudo-scientifiche e fake-news.
In questo momento ciascuno di noi deve scegliere a chi credere mentre prende quotidianamente decisioni su come vivere: i politici, gli scienziati, gli esperti di sanità pubblica, gli influencer, i parenti, il giornale in cui si ha fiducia o l’amico che “ne sa di più”. Il pensiero di ritrovare una “comfort zone”, una normalità pre-covid, in cui si vuole tornare al lavoro, fare un viaggio, sedersi a ristorante o andare a casa di amici è dissonante con qualsiasi informazione che suggerisca che queste azioni potrebbero essere pericolose, se non per sé stessi, poi per gli altri con cui interagiscono.
Il persistere del lungo periodo di incertezza, gli andamenti altalenanti e le decisioni in continuo mutamento inducono il soggetto – che è pur sempre un ricercatore di coerenza – in uno stato di profonda dissonanza cognitiva.[8]
Nel momento in cui prendiamo una decisione inizieremo a giustificare la nostra scelta e troveremo ragioni per disconfermare o denigrare l’alternativa. Lo scopo è ridurre l’ambivalenza che ci creava disagio, per ristabilire un equilibrio che trasforma in certezza le nostre credenze.
La complessità che stiamo affrontando è dovuta alla necessità di trovare un modo di convivere con l’incertezza, quella di prendere le decisioni più informate che possiamo, ed essere in grado di modificarle quando le prove scientifiche lo impongono. Ma la scienza si basa sulla falsificazione, su prove ed errori e questo è un processo che il “soggetto ingenuo” tollera molto difficilmente. Il problema è che, in quanto “cognitive miser”, non siamo orientati a prendere decisioni sistematiche ed analitiche, a maggior ragione se accade in un contesto di ambiguità.
Questa pandemia impone a tutti di accettare il cambiamento di idea frequente, man mano che gli scienziati fanno nuove scoperte e i governatori prendono decisioni consequenziali, difficili e, spesso, contraddittorie: oltre al fatto che ad accettare questo non siamo abituati e preparati, si aggiunge la velocità cognitiva del tempo social che ci sovraccarica di stimoli che, gestiti troppo velocemente, aumentano la probabilità di errore.
Ma nel contesto digitale il processo di discernimento è tutt’altro che semplice a causa del “rumore di fondo”, del vociare di commenti, pubblicazioni, notizie, conferme e disconferme che fanno difficilmente comprendere quale sia la strada delle informazioni corrette.
Da qui la maggior presa che molta disinformazione riesce a fare nella massa a livello di comunicazione pubblica.
Alfabetizzare alla disinformazione
Il principio della razionalità limitata degli esseri umani, di Herbert Simon, si estende sia al tempo che all’energia mentale[9] ed in questa situazione i social non aiutano sicuramente a costruire processi sistematici e prendere decisioni ponderate per la tempestività con cui vanno prese in rete e per il sovraccarico cognitivo delle nostre interazioni online. In merito, Pennycook e colleghi hanno dimostrato alcune implicazioni importanti della condivisione di notizie scorrete sul Covid-19 sui social media.[10]
Secondo gli autori, la disattenzione gioca un ruolo importante nella condivisione della disinformazione in rete. Nel contesto dei social media, le persone vengono distratte rispetto all’affidabilità della notizia da indizi periferici e da altre caratteristiche proprie del mezzo, come la velocità della risposta sociale e la confusione rispetto al framing, che mescolando informazioni leggere con notizie importanti, abbassa la capacità di approfondimento.
La disponibilità immediata del feedback e la possibilità di quantificare il livello di approvazione delle proprie connessioni sociali sposta l’attenzione dall’accuratezza del contenuto alla riprova sociale: il focus si concentra sulle preoccupazioni relative alla convalida della notizia, piuttosto che sulla sua attendibilità. Inoltre, i contenuti delle informazoni su covid e vaccini sono mescolati con contenuti completamente differenti, leggeri, ironici, promozionali, in cui l’accuratezza non è rilevante e così gli utenti possono abituarsi ad un livello inferiore di considerazione di notizie importanti. Le domande vanno quindi a focalizzarsi non tanto e non solo sulla natura dell’ecosistema dei social media estendendosi, ma nel modo in cui vengono fruite e processate le informazioni.
L’attenzione e la competenza nel discernere i messaggi gioca ruolo fondamentale, ma gli strumenti, adattandosi a nuove necessità, devono e possono intervenire laddove la mente umana non sta al passo con le implicazioni sociali delle dinamiche tecnologiche.
Uno dei modi per affrontare il problema della disinformazione, ad esempio, può essere quello trovato da Facebook, che in questi giorni sta aggiungendo una etichetta alle discussioni sui vaccini con informazioni credibili provenienti dall’Oms.[11] Nello stesso giorno della sospensione del vaccino AstraZeneca, Zuckerberg ha annunciato la sua intenzione nel sostenere la campagna vaccinale, con l’obiettivo di arginare la disinformazione e diffondere contenuti informativi basati sui dubbi degli stessi utenti, a beneficio di tutti. [12]
Ugualmente, un’azione utile a sollecitare la riflessione sulla consistenza delle fonti è quella di Health Guard, l’estensione che ha l’obiettivo di difendere i lettori online dalla disinformazione su Covid e vaccini. Si tratta di una guida gratuita (fino a giugno per lo meno), che nasce da un progetto sulla disinformazione arrivato in Italia già nel 2019, che da febbraio 2021 è operativo per aiutare gli utenti ad orientarsi sui motori di ricerca ed avere chiare indicazioni sull’attendibilità delle informazioni sanitarie, distinguendo in modo semplice e chiaro quelle affidabili da quelli poco trasparenti, attraverso un semaforo di attendibilità. Le notizie vengono riportate ed argomentate con puntuali fact checking sul sito.
Spingere le persone a pensare all’accuratezza delle proprie informazioni e alla credibilità delle fonti è un modo semplice per migliorare le scelte su cosa condividere sui social media.[13]
In particolare, date le sfide pratiche del controllo dei fatti e la difficoltà di correggere la disinformazione dopo che il danno è già stato fatto, i ricercatori hanno iniziato a spingere sull’importanza del prebunking (debunking preventivo). [14]
La confutazione preventiva della disinformazione ne indebolisce l’effetto utilizzando le stesse armi della persuasione, attraverso un meccanismo simile a quello di un vaccino: esponendo le persone a esempi o tecniche di disinformazione li si aiuta a riconoscerli ed attivare una resistenza attiva.[15]
Un esempio pratico è il browser game online Bad News che consiste in una combinazione di avvertimenti sulle notizie false e pre-esposizione a dosi indebolite delle tecniche utilizzate nella produzione di notizie false.
La ricerca ha dimostrato che Bad News migliora la capacità dei giocatori di resistere alle tecniche di disinformazione dopo il gioco e aumenta la fiducia personale nell’individuare informazioni inattendibili.[16]
Il gioco offre un ambiente di social media simulato in cui le persone assumono il ruolo di creatori di notizie false e apprendono tecniche comuni di disinformazione nel corso dei livelli in cui si struttura il gioco. Nell’ultimo anno lo scenario di cospirazione è stato contestualizzato rispetto al tema del Covid-19, proponendo dosi indebolite di cospirazioni sul virus.[17]
Conclusioni
La sfida che stiamo vivendo è un esempio prototipico del ruolo della comunicazione di massa sull’equilibrio di un sistema sociale. Una infodemia incontrollata ha il potenziale di aumentare significativamente l’esposizione alla malattia Covid-19 e rallentare il percorso di vaccinazione, che resta l’unica speranza per uscire dall’incubo di questa pandemia. Tutto quello che va fatto per arginare disinformazione e panico va fatto considerando la fragilità della situazione sociale allargata e la peculiarità della comunicazione odierna, che può facilmente essere viziata dal cattivo uso della comunicazione di massa.
L’alfabetizzazione digitale, il debunking ed il prebunking sono fondamentali, ma contemporaneamente la comunicazione governativa, quella delle istituzioni sanitarie e degli organi di informazione, devono coordinarsi per arginare le contraddizioni e le confusioni generate da un registro incostante e da una delegittimazione dei rispettivi ruoli che destabilizza ulteriormente in un momento già di per sé estremamente complesso.
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Bibliografia e sitografia
- Fonte: https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2021/03/15/quanto-e-come-si-parla-online-di-astrazeneca_8d7c380e-0bfe-4d17-9abe-6563bb6fc341.html . (Il 18 marzo L’Ema si pronuncia a favore di AstraZeneca: https://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2021/03/18/astrazeneca-il-giorno-della-verita-il-parere-dellema-alle-16_5db5c73e-ff83-4dff-90cc-b1a08b78011d.html) ↑
- Gallotti, R., Valle, F., Castaldo, N. et al. Assessing the risks of ‘infodemics’ in response to COVID-19 epidemics. Nat Hum Behav 4, 1285–1293 (2020). https://doi.org/10.1038/s41562-020-00994-6 ↑
- Salvi C, Iannello P, Cancer A, McClay M, Rago S, Dunsmoor JE and Antonietti A (2021) Going Viral: How Fear, Socio-Cognitive Polarization and Problem-Solving Influence Fake News Detection and Proliferation During COVID-19 Pandemic. Front. Commun. 5:562588. doi: 10.3389/fcomm.2020.562588 ↑
- Duffy B, Allington D. 2020 Covid conspiracies and confusions: the impact on compliance with the UK’s lockdown rules and the link with social media use. London, UK: The Policy Institute, King’s College. https://www.kcl.ac.uk/ policy-institute/assets/covid-conspiracies-andconfusions.pdf ; si veda anche; Infodemic’ of COVID-19 disinformation bad for Ukrainians health, study for UN finds, 3 marzo 2021:https://www.unicef.org/ukraine/en/press-releases/infodemic-covid-19-disinformation-bad-ukrainians-health-study-un-finds ↑
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- Fonte ANSA: https://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/internet_social/2021/03/15/covid-da-facebook-etichetta-per-post-sui-vaccini_f3831eb2-1e9b-4b9e-bb52-2198d57625cc.html ↑
- Fonte: https://www.punto-informatico.it/facebook-instagram-vaccini-etichetta-contro-disinformazione/ ↑
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