Le imminenti presidenziali americane rappresenteranno, senza dubbio, un rilevante banco di prova per verificare in che modo i social network, dopo gli errori del passato, saranno in grado di realizzare efficaci strumenti di controllo sul flusso di contenuti politici veicolati verso specifici “target” di utenti, grazie a sofisticate tecniche di marketing digitale come strumenti di propaganda elettorale in grado di “inquinare” il dibattito pubblico e alterare la libertà di scelta degli elettori.
Il report The Global Disinformation Order
In questo senso, il report “The Global Disinformation Order: 2019 Global Inventory of Organized Social Media Manipulation”, nel descrivere i risultati di un lungo studio di monitoraggio sulla disinformazione online, sottolinea da tempo il massivo ricorso a sofisticate strategie comunicative – talvolta predisposte nell’ambito di un’occulta cabina di regia transnazionale – per esercitare, mediante la “viralizzazione” di contenuti mirati e l’aumento di finti “followers” bot, azioni di disturbo sul dibattito politico interno di un Paese, al fine di influenzarne l’opinione pubblica veicolando l’attenzione su determinati focus di discussione così da compromettere il pluralismo dei mezzi di comunicazione e la salvaguardia della libertà di espressione, con ulteriori preoccupanti effetti di destabilizzazione del circuito democratico dell’ordinamento nazionale a causa di disordini e tensioni sociali che minacciano anche la sicurezza interna.
In particolare, a fronte di “campagne di manipolazione dei social media svolte in 70 paesi, rispetto a 48 paesi nel 2018 e 28 paesi nel 2017 […] in ogni paese, c’è almeno un partito politico o un’agenzia governativa che utilizza i social media per plasmare gli atteggiamenti pubblici a livello nazionale”, come tendenza che si riscontra soprattutto da parte di molti regimi autoritari, ove la propaganda virtuale viene utilizzata come “strumento di controllo delle informazioni in tre modi distinti: per sopprimere i diritti umani fondamentali, screditare gli oppositori politici e soffocare le opinioni dissenzienti”.
Il report, peraltro, individua come fattore preoccupante per la tenuta dei sistemi democratici il crescente ruolo della Cina nella disinformazione globale in virtù del frequente uso di tecniche di manipolazione politica predisposte su Facebook, Twitter e YouTube.
Sui social ci sono più contenuti falsi ora che nelle elezioni 2016: la ricerca
Malgrado l’impegno annunciato nell’adozione di “misure straordinarie” per evitare interferenze e manipolazioni durante le campagne elettorali al fine di contrastare la diffusione di notizie false e di pubblicità elettorali ingannevoli anche mediante la costituzione di team di fact-checker con l’ulteriore intento di vietare comunicazioni di propaganda elettorale durante la settimana antecedente al voto, sembra che, nello scenario attuale, la disinformazione risulti più popolare rispetto agli anni passati, secondo quanto riportato dalla ricerca realizzata da German Marshall Fund Digital, da cui si evince la costante tendenza alla condivisione incontrollata di informazioni false e fuorvianti con una percentuale addirittura “triplicata” dal terzo trimestre del 2016 al terzo trimestre del 2020, a causa della crescente proliferazione di “falsi produttori di contenuti” o “manipolatori” che si “mascherano”, nella veste di vero giornalismo, per operare come “cavalli di troia” sfruttando i meccanismi virali che caratterizzano i sistemi virtuali di pubblicazione dei contenuti, provocando un preoccupante incremento di notizie false attestato al livello del 102% rispetto alle precedenti elezioni del 2016.
Preoccupa, inoltre, anche la presenza di siti che non riescono a raccogliere e selezionare le informazioni verificate in modo credibile e responsabile è cresciuta del 293% rispetto al periodo elettorale del 2016.
Covid19 e disinformazione online
La pandemia “Covid-19” ha ulteriormente accentuato la circolazione, senza controllo, della disinformazione online, alimentata anche dalla condivisione di frequenti news su scenari “complottistici” alternativi alla descrizione ufficiale dell’emergenza sanitaria nell’ambito di un dibattito ancora più caotico caratterizzato dalla cosiddetta “infodemia” destinata ad incrementare l’accumulo di informazioni false e fuorvianti pubblicate sui social network e utilizzate come fonti primarie di notizie, alla luce dei risultati di uno studio pubblicato su Misinformation Review, che mette in evidenza l’incidenza dell’uso dei social network sulla diffusione di percezioni errate in grado di manipolare l’opinione pubblica.
Lo studio di Harvard: la fonte principale della disinformazione sono i canali mainstream e istituzionali
Il discorso è particolarmente complesso, sarebbe errato liquidarlo attribuendo la colpa (tutta) ai social. Un recente studio di Harvard segnala come la principale fonte delle fake news elettorali è di carattere mainstream (Fox News) o istituzionale (Donald Trump), anche se i social poi hanno un ruolo unico nell’amplificarle rapidamente.
I social network come fonte di informazione
La centralità delle piattaforme sociali come primarie fonti di informazione cresce progressivamente: sebbene la televisione sia considerata ancora affidabile dal 69,1% degli italiani, al pari della stampa (64,3%) e della radio (69,7%), sono soprattutto gli anziani (78,2%) ad essere più diffidenti nei confronti dei social (ritenuti non del tutto affidabili dal 66,4% delle persone), anche in ragione del percepito rischio di manipolazione delle informazioni attraverso le fake news (40,4%), mentre il 45,8% dei giovani li considera molto o abbastanza credibili. Inoltre, una significativa percentuale di utenti esprime giudizi positivi sulla “disintermediazione digitale” della politica, ritenendo i social network strumenti “preziosi” che consentono ai politici e ai rappresentanti istituzionali di interagire direttamente, senza filtri, con le persone: il 30,3% degli italiani pensa che le piattaforme sociali siano utili, perché in questo modo i cittadini possono rivolgersi direttamente ai politici, mentre solo il 29,2% è convinto che siano dannosi, perché favoriscono il populismo attraverso le semplificazioni, gli slogan e gli insulti rivolti agli avversari (52ª edizione Rapporto Censis 2018 sulla situazione sociale del Paese, pubblicato il 7 dicembre 2018). Anche il più recente 16° Rapporto Censis sulla comunicazione del 20 febbraio 2020 conferma tale trend, enfatizzando la rilevanza di Facebook tra i principali strumenti di diffusione delle notizie, utilizzato, dopo i telegiornali, per scopi informativi dal 31,4% degli italiani, mentre il 20,7% ricorre ai motori di ricerca online.
L’impatto dei social network sulle dinamiche del sistema politico e delle elezioni sembra, dunque, avere nella concreta prassi una dimensione quantitativa sempre maggiore, determinando, al netto delle indiscutibili potenzialità divulgative offerte dal “Web 2.0”, il rischio di possibili effetti manipolativi delle informazioni a causa della circolazione incontrollata di fake news, come fonte preoccupante di “disinformazione”, suscettibile di alterare la formazione dell’opinione pubblica e le tradizionali dinamiche del circuito democratico su cui si fonda il funzionamento dell’attuale sistema istituzionale, anche mediante la creazione di cosiddette “bolle di filtraggio” che provocano una vera e propria “polarizzazione ideologica” degli utenti, attirati da informazioni (anche se false o distorte) corrispondenti alle proprie convinzioni personali.
Conclusioni: serve un approccio transnazionale
L’attuale ambiente digitale ha profondamente trasformato il tradizionale settore della comunicazione, facendo emergere non solo inedite opportunità di dialogo interattivo in grado di rendere “virali” i contenuti veicolati nello spazio virtuale, ma anche una serie di rilevanti criticità nell’uso “politico” dei social network in cui, rispetto alla configurazione monodirezionale dei mezzi tradizionali, si realizza una problematica commistione tra propaganda politica e comunicazione istituzionale mediante la condivisione di post e video che diffondono informazioni spesso semplificate e incomplete con toni esasperati e violenti per stimolare le reazioni “social” degli utenti.
Una delle conseguenze di questo meccanismo è la polarizzazione dell’elettorato, il che amplia il livello di tensione e divisioni sociali. Insomma, disinformazione a parte, anche la prassi di veicolare notizie e messaggi “forti” all’interno di gruppi suscettibili a quegli stessi messaggi – per esempio tramite behavioural advertising – porta di per sé potenziali problemi per la società e la tenuta democratica.
Sembra dunque, tra l’altro, definitivamente tramontare la prospettiva di sviluppare un modello di cyberdemocrazia fondato sul dialogo diretto e paritario come rigenerato sistema di democrazia partecipativa grazie alla facilità di condivisione dei contenuti generati dagli utenti nell’ambito di un’inedita “agorà elettronica” della Rete.
Si determina così un preoccupante peggioramento della qualità informativa veicolata all’interno dei social network, nati come piattaforme dotate di funzionalità interattive tipiche del cd. “Web 2.0” e divenuti progressivamente strumenti di manipolazione grado di influenzare con effetti manipolativi il giudizio dell’opinione pubblica.
D’altro canto, quanto le piattaforme sono lasciate a regolare direttamente i contenuti sospetti rischiano sempre di cadere nel rischio opposto, quello di censura, come dimostrano le polemiche intorno all’articolo del New York Post contro Biden, che Twitter prima ha bloccato, nei giorni scorsi, e poi ha riabilitato. Non era mai successo che un social bloccasse la condivisione di un articolo di un giornale mainstream (per quanto noto per sostenere spesso tesi infondate e faziose, pro-conservatori).
Di certo, il fenomeno della disinformazione online è destinato ad alterare il funzionamento del sistema democratico a causa di siti e piattaforme in grado di veicolare contenuti online fuori controllo approfittando della difficoltà del giornalismo tradizionale di “intercettare” il flusso di comunicazione fruito dagli utenti, anche a causa di un vuoto legislativo che rende estremamente problematico trovare soluzioni regolatorie adeguate a sostenere la costante rapidità dell’evoluzione tecnologica.
Ecco perché le istituzioni ue stanno proponendo ormai di adottare di un approccio sinergico coordinato a livello transnazionale per l’adozione di misure efficaci a garantire “l’integrità dei processi elettorali dalla disinformazione online e la trasparenza dei messaggi pubblicitari di natura politica online […] promuovendo ecosistemi digitali fondati sulla trasparenza e che privilegiano l’informazione di elevata qualità, offrendo ai cittadini gli strumenti per riconoscere e contrastare la disinformazione”, come si legge Comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni “Contrastare la disinformazione online: un approccio europeo”.
Nella stessa direzione la recente moratoria del Parlamento europeo sulla pubblicità comportamentale.