Con le misure di contenimento legate al Coronavirus assumono un’importanza ancora maggiore la comunicazione e l’informazione online e la possibilità per i cittadini di formarsi un’opinione corretta del fenomeno e delle sue evoluzioni, riconoscendo le notizie vere.
Non solo, l’immersione di queste settimane di una vasta popolazione in un contesto in cui la dimensione online viene anche forzata nell’ambito dell’istruzione e del lavoro, spinge a tornare in modo strutturato sul tema della disinformazione online.
Non tanto per identificare le false notizie che si propagano con facilità su un tema molto caldo, quanto per capire se possono essere identificate azioni e misure che rafforzino la capacità di discernimento della popolazione italiana e di resistenza alla disinformazione online. Indagando sugli elementi di sistema che devono essere costruiti per creare un ecosistema che sia da deterrente non solo alla disinformazione ma anche alla dispercezione (falsa percezione), che è una concausa di contesto molto rilevante.
Su questo fronte è molto utile il recente rapporto pubblicato da AgCom “Percezioni e disinformazione: molto razionali o troppo pigri?” nell’ambito dell’indagine conoscitiva “Piattaforme digitali e sistema dell’informazione” promossa da AgCom per “comprendere come gli utenti reagiscono rispetto a notizie di qualità differenti che essi ricevono e ad esaminare gli elementi che influenzano i processi decisionali”
Il Rapporto AgCom
La metodologia
La novità del rapporto è che l’analisi condotta punta a utilizzare il contributo interpretativo dell’analisi comportamentale e del metodo sperimentale, per ricostruire il processo cognitivo sottostante le decisioni dei cittadini, anche nell’ambito dei “mercati dell’informazione”. Nel far questo, punta ad approfondire le correlazioni e le influenze di due interpretazioni dell’impatto della disinformazione sugli individui:
- una ritiene che “l’efficacia dei contenuti di disinformazione nell’ingannare gli individui sarebbe legata ai processi mentali veloci, intuitivi, “automatici”, basati sui meccanismi analogico-associativi, sulle routine cognitive, e, quindi, sulla “pigrizia” della mente nell’attivare i processi “controllati””;
- l’altra, invece, ritiene che “gli individui potrebbero cedere alla disinformazione in ragione dell’attivazione di processi mentali analitici convergenti i quali, anche quando generati da una iniziale falsa percezione, finiscono per selezionare, nel contesto informativo, solo quegli elementi che confermano le proprie (false) percezioni”, utilizzando la motivazione razionale, di fatto, per avvalorare le proprie convinzioni e proteggere il proprio sistema di idee.
Il rapporto si basa su un “survey-esperimento” (che ha una sua evoluzione nel progetto Cartesio) con la somministrazione di un questionario che abbina componenti tipici dei sondaggi a veri e propri test sulla conoscenza dei fenomeni e sulla capacità di discernere la diversa qualità delle notizie.
In particolare, lo studio ha previsto, dopo l’identificazione dei temi valutati “importanti” (e che quindi permettono di identificare “l’agenda personale” di chi risponde) lo svolgimento di due sessioni di test:
- per l’identificazione del grado di dispercezione, chiedendo di quantificare la dimensione di un fenomeno (es. quantità di immigrazione, responsabilità umana nei cambiamenti climatici, ..);
- per l’identificazione del livello di capacità di discernimento tra notizie vere e false.
Il fenomeno della “dispercezione” è sempre più studiato (vedi ad esempio le analisi Ipsos), perché in molti Paesi, e l’Italia tra questi, si è riscontrato un divario notevole (e spesso crescente) tra “la percezione dei fenomeni sociali ed economici e la realtà dei fatti”. Questa situazione è particolarmente rischiosa perché la capacità di reazione dei cittadini rispetto alla diffusione di strategie di disinformazione diventa molto limitata. In Italia, in particolare, il fenomeno non solo è persistente, ma mostra anche “una sistematica propensione a dipingere la realtà in modo peggiore di quanto non sia”. E questo è da valutare considerando che la tendenza prevalente nei processi cognitivi è di elaborare le informazioni per raggiungere, o rafforzare, una conclusione che si desidera, “mediante una precisa strategia cognitiva definita ragionamento motivato direzionale”.
D’altro canto, la correlazione e la reciproca influenza tra dispercezione e disinformazione online sono evidenti e ad elevato impatto: le dispercezioni rendono meno riconoscibili i fenomeni di disinformazione, e le stesse strategie di disinformazione possono sfruttare le false percezioni dei fenomeni sociali ed economici e indirizzarsi su di esse alimentandole ulteriormente. Le scelte e le decisioni, ma anche lo stesso processo di formazione delle opinioni e lo stesso apprendimento sono quindi chiaramente influenzabili dal contesto così definito.
Passando così all’analisi del processo cognitivo con cui si elaborano le informazioni, il rapporto afferma che “anche i device di lettura (dal cartaceo ai cellulari), e la struttura e i metodi di presentazione (editoriali e/o algoritmici) delle notizie (dai quotidiani ai social network) influiscono sulla capacità dei cittadini di comprendere le informazioni e sulle reazioni comportamentali degli stessi”. Per questa ragione non si può trattare il problema della disinformazione online se non considerando tutti gli elementi dell’ecosistema.
I risultati
I risultati dello studio sono di estremo interesse, anche se non sorprendono.
In particolare:
- per quanto riguarda le tematiche di maggior interesse, tra quelli proposti da Eurobarometro, la maggioranza della popolazione italiana (59%) ritiene che l’immigrazione sia un tema rilevante per l’Unione europea, seguito dalla situazione economica (49%) e dalla disoccupazione (47%). La tematica del clima è al quarto posto, poco sopra il 30%;
- il 60% della popolazione ha un livello di “dispercezione” superiore al valor medio (0,57). I cittadini in condizione di disoccupazione e coloro in possesso di un livello di istruzione più basso tendono a percepire la realtà in modo significativamente più negativo;
- solo una piccola parte della popolazione (il 2%) ha riconosciuto sempre le notizie vere da quelle false, mentre più del 50% è stato “ingannato” almeno in 3 casi su 10. Livelli elevati di scolarità sono correlati a minori probabilità di incorrere in errori;
- una maggiore “dispercezione” determina, in media, una maggiore difficoltà di riconoscere le notizie vere e false.
Spunti per una strategia
La valutazione di sintesi del rapporto AgCom è che “più disinformazione circola nel sistema e più è difficile per i cittadini avere un contesto chiaro da cui attingere informazioni per formarsi un’immagine “corretta” della realtà”. Il circolo vizioso tra disinformazione e dispercezione è evidente.
Gli interventi messi in campo da AgCom e già esposti su questa testata vanno nella giusta direzione, complementando il piano di azione europeo contro la disinformazione in cui sono coinvolti anche i principali operatori di piattaforme online.
Diventa però sempre più urgente uno sforzo complessivo che consenta un impatto elevato e veloce su una situazione molto critica (la metà della popolazione che in 3 casi su 10 non distingue una notizia vera da una falsa è più di un campanello d’allarme), agendo:
- da una parte, sullo sviluppo delle competenze digitali della popolazione (e in particolare su quelle informative, seguendo il framework europeo DigComp), tenendo conto che solo il 42% della popolazione possiede un livello almeno di base ;
- dall’altra sulla diffusione e il sostegno alla costruzione, suggerita dal rapporto AgCom, di “punti focali credibili, attendibili, verificabili rispetto ai dati di fatto e alle notizie fattuali sulle quali il cittadino ha diritto di essere informato al fine di costruire una propria autonoma visione”. In termini di diffusione di informazioni corrette, ma anche di esposizione di dati.
Sul primo fronte riscontriamo la novità dell’iniziativa strategica nazionale Repubblica Digitale , che si propone come risposta complessiva e organica a un problema che in Italia assume i caratteri dell’elevata gravità, in modo anche da connettere in un unico disegno interventi formativi e informativi, utilizzando presìdi e iniziative permanenti che permettano ai cittadini di sviluppare le competenze fondamentali per abitare la rete (a partire da pensiero critico, information e data literacy), come anche suggerisce l’utile contributo di AgID sulle competenze digitali dei cittadini, da poco pubblicato. E questo per far sì che tutti i cittadini posseggano la capacità di utilizzare gli strumenti cognitivi di contrasto alla disinformazione, oltre che quel livello di attenzione e di pensiero analitico che è un elemento chiave per la riduzione dell’errore di valutazione.
Sul secondo fronte è importante rendere sistematiche le iniziative pubbliche come quelle messe in campo in questa emergenza sanitaria dalla Presidenza del Consiglio e dal Ministero della Salute, con delle FAQ articolate e ragionate e in reale continuo aggiornamento, oltre che con la pubblicazione dei dati grezzi e di grafici esplicativi, finalizzati alla possibilità di “farsi un’opinione autonoma”. A queste iniziative potrebbero essere utilmente accompagnate delle pagine di informazioni relative alle false notizie diffuse dai social e spesso rilanciate da diverse testate giornalistiche. Al di fuori dell’emergenza, la cura e la promozione verso la popolazione (e non solo verso gli studenti) di guide semplici e chiare come quelle prodotte non molti mesi fa dal Ministero dell’Istruzione ( o dal sito factcheckers , oltre che le altre iniziative promosse sul sito Bufalopedia
La lotta all’analfabetismo funzionale e digitale è fondamentale per rendere efficace la lotta alla disinformazione online, e questa si basa su asimmetrie di mezzi. Combatterla, è utile ribadirlo, è fondamentale per la democrazia.