La tecnologia utilizzata in modo deliberatamente manipolatorio può avere effetti incredibilmente nefasti sulla società e sulle aziende. Gli ultimi esempi emergono dall’inchiesta del New York Times (della scorsa settimana) su come Facebook sia stata usata per manipolare l’audience per finalità di lobby e ideologici. Ma il quadro della disinformazione online (o dell’informazione manipolata con gli strumenti del digitale) è più ampio di così. E colpisce tutti: cittadini, istituzioni, aziende. Con danni politici ed economici.
Già, perché le distorsioni generate dalla disinformazione veicolata principalmente dai social network sta generando problemi importanti anche nel mondo aziendale, per il quale la veridicità delle informazioni è essenziale per la qualità di strategie e pianificazioni.
Da moltissimi fronti arriva quindi la richiesta di una serie di norme specifiche che possano tutelare gli utenti della rete dagli abusi di cui le piattaforme possono rendersi responsabili. Ancora più urgente è la necessità di riportare al centro del dibattito la qualità delle fonti informative. Occorre potenziare le competenze dei cittadini e aziende e rafforzare la capacità, sempre più flebile, di discernere verità e finzione. Un suggerimento per una possibile soluzione della problematica potrebbe arrivare da un rapporto del tavolo di lavoro sulle fake-news di Agcom, ma contro l’analfabetismo funzionale diffuso in ambiente familiare e, tristemente, sempre più anche in quello professionale serve una strategia nazionale.
Tutti gli scandali di Facebook
Per comprendere l’ampiezza e la complessità dello scenario che ci troviamo di fronte partiamo dalle vicende legate a quello che è il più conosciuto dei social network: Facebook.
In seguito allo scandalo di Cambridge Analytica, sono diversi i Paesi che hanno deciso di unirsi a quella che può essere definita una “grande commissione internazionale” dei parlamenti con l’intento di sollecitare risposte da Mark Zuckerberg, il padre fondatore di Facebook, che pare sempre più restio a partecipare alle convocazioni dei Governi nazionali. Zuckerberg infatti, è apparso ad oggi solo davanti a due legislature: il Senato americano e la Camera dei rappresentanti e il Parlamento europeo, respingendo ripetutamente gli inviti e i tentativi di convocazione per chiarimenti da parte di altri, inclusi i parlamenti del Regno Unito e del Canada.
Non c’è dubbio che per Facebook il 2018 sia stato un anno intenso, il culmine di una serie di circostanze che hanno negli ultimi tempi hanno compromesso alla base quella che da molti veniva considerata la piattaforma del futuro. Il social network ha dovuto infatti affrontare una serie di scandali: dal 2016 quando è stata accusata di influenzare l’esito delle elezioni presidenziali americane a favore di Donald Trump, allo tsunami di notizie sulla presunta interferenza russa nella campagna del 2016 (e nella successiva legata alla Brexit), alle fughe di dati sui propri clienti in favore della società di consulenza politica britannica Cambridge Analytica, alla aberrante rivelazione dell’uso della piattaforma per incitare alla violenza in Birmania, sino agli ultimi casi che hanno visto gli account di decine di milioni di utenti in balia di una realtà terza non meglio precisata.
A seguito della crisi politica, alimentata da un alone di diffidenza per gli ultimi accaduti, di cui i sopracitati sono solo alcuni esempi dei maggiori “colpi” alla reputazione subiti, Facebook ha lanciato un’aggressiva campagna di pubbliche relazioni e lobbying, i cui dettagli sono stati pubblicati dal New York Times mercoledì. Secondo le scottanti rivelazioni del quotidiano americano infatti, attraverso una società di PR di Washington fondata da figure riconducibili al panorama repubblicano Definers Public Affairs, il social network avrebbe diffuso anche contenuti denigratori nei confronti di altre aziende come Apple e Google nel tentativo deliberato di distogliere l’attenzione dai propri fallimenti, oltre a tentare di screditare gli attivisti critici contro Facebook anche insinuando presunti finanziamenti da gruppi collegati a George Soros, un noto investitore che aveva criticato pubblicamente il monopolio di Facebook.
Soros, ebreo, è spesso il bersaglio di attacchi antisemiti dall’estrema destra, anche e soprattutto per il suo ruolo di finanziatore della organizzazione progressista Open Society che nel mondo supporta iniziative che mirano alla pluralizzazione delle voci ed alla trasparenza.
L’articolo del NYT ha inoltre descritto come Zuckerberg e il suo braccio destro Sheryl Sandberg abbiano assunto negli anni posizioni quantomeno discutibili, con decisioni critiche in materia di sicurezza e politica, ritardando in modo conscio e deliberato le risposte alle violazioni di Facebook o minimizzandone la portata.
Le ammissioni di Zuckerberg
A seguito di tali affermazioni Zuckerberg non ha potuto esimersi dal fornire risposte e giovedì ha tenuto una conference call con i giornalisti per discutere di come il social network gestisca i contenuti sulla propria piattaforma e gli standard di gestione della comunità utilizzati. Per più di un’ora Zuckerberg ha risposto a domande critiche sulla compagnia, mantenendo tuttavia una linea di difesa verso la rete sociale, Sandberg e il suo stesso operato.
Zuckerberg nelle dichiarazioni ammette i passi falsi ma declina la responsabilità di aver chiesto esplicitamente strategie e articoli diffamatori, precisando inoltre: “Ho grande rispetto per Soros, anche se abbiamo visioni diverse su internet e sulla società” ed aggiungendo “Abbiamo chiuso il nostro contratto con Definers Public Affairs ieri dopo aver appreso delle tattiche della società. Il nostro rapporto con Definers era ben noto ai media, non ultimo perché la società ha inviato per nostro conto, in diverse occasioni, inviti a centinaia di giornalisti per importanti eventi stampa”.
Ma le problematiche con Definers sono solo l’ultimo di una serie di problemi che il presidente di Facebook vede gestire: la piattaforma, il cui business negli ultimi anni è cresciuto enormemente, sta affrontando un lento ma deciso rallentamento della crescita. E gli inserzionisti, la linfa vitale dell’azienda da 40 miliardi di dollari, si trovano ad essere sempre più critici contro le scelte dei suoi principali attori.
Zuckerberg nel mirino di azionisti e Governi
Il mese scorso, diversi azionisti hanno presentato una risoluzione congiunta per rimuovere Zuckerberg dal ruolo di presidente del consiglio di amministrazione e a seguito dell’inchiesta, gli stessi hanno dichiarato di essere preoccupati per la concentrazione di potere di Zuckerberg su Facebook e il futuro della Società. Zuckerberg, ricordiamo, esercita un controllo pressoché totale del social network possedendo il 60% delle quote di voto.
Uno di quegli azionisti, Scott M. Stringer, amministratore del fondo pensione pubblico della città di New York che possiede 4,5 milioni di azioni di Facebook, ha affermato che la presa di Zuckerberg su Facebook lo ha protetto dall’essere responsabile degli errori della compagnia. “I dirigenti rinnegati che si concentrano solo sulla crescita indipendentemente dai rischi, e trattengono le informazioni dal consiglio, mettono in pericolo la loro azienda, gli azionisti e, nel caso di Facebook, la nostra democrazia”, ha detto Stringer.
Altri tre paesi, nel frattempo, si sono uniti alla “grande commissione internazionale” dei parlamenti, aggiungendo alle richieste per il capo di Facebook, quella di fornire prove sulla disinformazione adottate dalla piattaforma.
Brasile, Lettonia e Singapore portano a otto il totale dei diversi parlamenti in tutto il mondo con l’intenzione di inviare rappresentanti a Londra per ascoltare Zuckerberg; i legislatori di cinque paesi aderenti – Gran Bretagna, Canada, Argentina, Irlanda e Australia – hanno infatti invitato il signor Zuckerberg a testimoniare il 27 novembre, un invito in precedenza rifiutato dallo stesso.
A Washington, Repubblicani e Democratici hanno minacciato sanzioni per Facebook attraverso le leggi sulla concorrenza e l’apertura di indagini su possibili violazioni. Il senatore Rand Paul, repubblicano del Kentucky, ha dichiarato in un’intervista alla CNN di essere preoccupato per il potere di Facebook come “monopolio”.
La senatrice Amy Klobuchar, democratica del Minnesota, ha dichiarato di aver pianificato di chiedere al Dipartimento di giustizia di indagare se l’assunzione di società di ricerca dell’opposizione da parte di Facebook per influenzare i politici, ha violato le regole del finanziamento delle campagne.
Manipolare opinioni e sentimenti: Facebook può
Facebook si trova in un contesto storico dove per varie ragioni, dalla polarizzazione alle bolle di contenuti date dalle personalizzazioni, manipolare l’opinione pubblica diviene sempre più semplice, soprattutto utilizzando le grandi piattaforme. Una condizione di privilegio dettato dalla rilevanza sempre maggiore che le informazioni diffuse online hanno sull’opinione pubblica e la, paradossalmente, sempre minore capacità dei cittadini di discernere in modo competente tra realtà e finzione, lasciandosi guidare delle informazioni non corrette o fuorvianti che si trovano nella rete, spesso create appositamente per distorcere la percezione della realtà.
Un problema sicuramente rilevante non solamente per Facebook, ma per ogni organizzazione che si trova a dover utilizzare la rete per informarsi: gli utenti italiani e quindi analogamente i dipendenti di azienda, non paiono in grado di distinguere sul web una bufala da una notizia affidabile, e a dirlo è oltre l’87% delle persone intervistate nel rapporto recente Infosfera, realizzato dal gruppo di ricerca sui mezzi di comunicazione di massa dell’Università Suor Orsola Benincasa, guidato da Umberto Costantini, docente di Teoria e Tecniche delle Analisi di Mercato, ed Eugenio Iorio, docente di Social Media Marketing.
In questo contesto manipolare l’opinione pubblica diviene sempre più semplice per chi vuole alterare le informazioni viste dai propri utenti, una realtà che Facebook conosce almeno dal 2014, anno in cui ha presentato i risultati di una “ricerca” nata in seno alla piattaforma stessa, che alterando le notizie viste da decine di migliaia di suoi utenti (non precedentemente informati) era riuscita a manipolare le emozioni in modo significativo. Esperimento, come facilmente intuibile, che non ha tardato a scatenare polemiche.
A ben vedere, buona parte dei problemi che il mondo dell’informazione online mediata dai social network sta riscontrando è legata, principalmente, ad un difetto di legislazione che lascia i nuovi mezzi di comunicazione in una sorta di regime di non punibilità e non responsabilità che difficilmente è possibile spiegare: la carenza endemica di legislazione specifica infatti, permette a Facebook, come altre piattaforme, di muoversi immune da regole presenti invece in altri media. Da moltissimi fronti arriva la richiesta di una serie di norme specifiche che possano tutelare gli utenti della rete dagli abusi di cui le piattaforme possono rendersi responsabili, anche se già si iniziano a scorgere spiragli di un possibile cambiamento: una apertura in tal senso arriva dall’Inghilterra dove, ad esempio, Ofcom il regolatore delle Comunicazioni del Regno unito, ha già più volte suggerito di regolare i social media equiparandone obblighi e doveri a quelli a cui sono assoggettati giornali e televisioni.
Fake news e processi di valutazione
Un panorama tetro quello in cui la tecnologia utilizzata in modo deliberatamente manipolatorio, può avere effetti incredibilmente nefasti sulla società e sulle aziende, alterando in modo significativo le modalità con cui ci si approvvigiona di informazioni per il proprio business.
Se è sicuramente vero che le fake news, diffuse su tutti i canali ed in primis sui social network, hanno un impatto significativo sulla democrazia, basata per decenni sulla trasparenza e pluralità dell’informazione, è anche vero che la integrità delle informazioni che vengono utilizzate per costruirsi una opinione informata su partner, persone, brand e prodotti è necessaria in tutte le industries ed è alla base delle procedure di verifica e di controllo dei partner.
Nella pratica la qualità delle informazioni (news, report, ricerche) che riceviamo e ricerchiamo, diventa la base su cui costruiamo le nostre idee ed opinioni sul mondo che ci circonda, sulla affidabilità dei nostri collaboratori e partner, sulla solidità delle aziende con cui andremo a collaborare e sulla strategicità (o meno) di taluni mercati e prodotti. La qualità delle informazioni che inseriamo in un processo di valutazione aziendale delle realtà lavorative che ci circondano, è la condizione prima e fondamentale per poter costruire in modo efficace strategie sinergiche.
Senza una informazione “integra” e non manipolata, scevra da fake news e rapporti compromessi e manipolatori – come invece pare essere ad oggi la normalità per le grandi piattaforme social – non possiamo pensare che i nostri processi di valutazione possano essere a loro volta liberi da condizionamenti.
E’ chiaro come sia assolutamente necessario potenziare l’approccio sul fronte della consapevolezza dei cittadini e delle aziende, riportando al centro del dibattito la qualità delle fonti informative che utilizziamo nei processi di valutazione e selezione.
Una possibile soluzione
Questo processo potrebbe, in realtà, essere più complesso di quanto pensiamo: proprio la mancanza di consapevolezza, di fatti, affonda le radici nell’analfabetismo funzionale diffuso in ambiente familiare e, tristemente, sempre più anche in quello professionale, con quindi conseguenze più profonde. Problematiche che è necessario affrontare con una vera e propria strategia nazionale, come i vari organismi internazionali richiedono da anni (Commissione UE – rapporto DESI, OCSE – rapporto PIAAC e altri rapporti sulle competenze nel nostro Paese).
Un suggerimento per una possibile soluzione della problematica, ci è indicato da un rapporto del tavolo di lavoro sulle fake-news di AgCom, e potrebbe basarsi sulla connessione in un unico disegno di interventi formativi e informativi, peer-to-peer e broadcast, utilizzando presìdi e iniziative permanenti che permettano ai cittadini ed ai dipendenti di sviluppare le competenze fondamentali per abitare la rete (pensiero critico, information e data literacy innanzitutto) e acquisire così la capacità di utilizzare gli strumenti di contrasto alla disinformazione.
Contro la disinformazione in azienda
Certo è che, anche nel panorama aziendale e oltre a quello di coscienza politica, diviene sempre più fondamentale non solamente l’addestramento e l’educazione di dipendenti e collaboratori su come discernere l’informazione di qualità e non cadere nei raggiri di adescamenti, propaganda, campagne di phishing o fake news, ma anche e soprattutto stabilire processi aziendali che abbiano alla base costante cura e controllo delle fonti informative che la nostra azienda utilizza per prendere decisioni strategiche per il nostro business. La qualità delle nostre strategie e delle nostre pianificazioni è, di fatti, direttamente legata alla qualità delle informazioni che riusciamo ad ottenere, prive di adulterazioni e fake news, per elaborare le nostre tesi.
E la scelta e selezione delle fonti informative su cui basare queste scelte più facilmente essere definita come uno dei problemi più importanti per il business di questo nuovo XXI secolo.
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Altri link utili
link cosa sono le fake news https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/le-fake-news-come-psico-socio-tecnologie-le-cinque-componenti-fondamentali/
fake news cosa sta facendo l’europa https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/fake-news-che-sta-facendo-leuropa-per-combatterle/