gender gap

Disparità di genere anche online: ecco come e perché si manifesta

È ancora lunga la strada verso una maggior parità di possibilità fra uomini e donne, tanto nei contesti offline quanto in quelli specifici del web. A rimanere diversi ma con uguali opportunità. Un argomento complesso. Vediamo qualche esempio del protrarsi di varie forme di disparità di genere, anche nell’ambito della rete

Pubblicato il 08 Feb 2022

Roberto Pozzetti

Psicoanalista, Professore a contratto LUDeS Campus Lugano, Professore a contratto Università dell'Insubria, autore del libro 'Bucare lo schermo. Psicoanalisi e oggetti digitali', già referente per la provincia di Como dell'Ordine degli Psicologi della Lombardia

Photo by Katherine Hanlon on Unsplash

Una diceria abbastanza diffusa concerne una presunta maggior uguaglianza di genere online, in un contesto libero da vincoli relativi a un datato patriarcato che tradizionalmente favorirebbe gli uomini. Su questo punto andrebbero ricordate le considerazioni dell’influente filosofo italiano, emigrato nel Regno Unito, Luciano Floridi: egli sostiene sia più preciso parlare di mondo onlife, superando le distinzioni fra online e offline. Dunque, sarebbe soltanto un’ingenuità quella del credere in un abbattimento di tali disparità sul web.

Affrontiamo l’argomento attraverso degli esempi del protrarsi di varie forme di disparità di genere, anche nell’ambito della rete.

Equità di genere nella ricerca scientifica: approcci e politiche per favorirla (ma l’Italia arranca)

Normative e strategie di genere

Parità e uguaglianza di genere sono sancite dalla Repubblica Italiana attraverso un preciso quadro normativo che trae origine dalla legge costituzionale stessa, fin dai suoi noti Principi fondamentali; nello specifico, l’Articolo 3 recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

La Repubblica Italiana ha d’altronde ratificato, nel 1985, la Convenzione relativa all’eliminazione delle discriminazioni nei confronti delle donne, adottata fin dal 1979 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

In tempi più recenti, per la prima volta, nell’agosto 2021, un documento per la Strategia Nazionale sulla parità di genere è stato presentato dalla Ministra per le Pari Opportunità e la famiglia. Tale documento risulta ispirato dalla Gender Equality Strategy approvata dall’Unione Europea nel gennaio 2021. La Strategia, in linea con il PNRR, individua le seguenti cinque aree critiche: lavoro, reddito, competenze, tempo e potere.

In effetti, le condizioni di parità e uguaglianza fra i generi a oggi non sono ancora del tutto state raggiunte. Ne costituiscono alcuni esempi fra gli altri la rarità di figure femminili situate in posizioni apicali nelle organizzazioni e nelle Pubbliche Amministrazioni, la discrepanza a livello retributivo tra uomini e donne che si trovano a svolgere mansioni professionali analoghe, il perdurare dell’attribuzione alle donne della maggior parte degli oneri domestici e di accudimento dei figli.

Che cos’è il genere?

A proposito del termine genere, che qui discutiamo, nulla va dato per scontato. Proponiamo allora una succinta digressione.

Sicuramente, il libro più famoso e che maggiormente sta orientando il dibattito intellettuale su questo argomento è Gender Trouble (tradotto in italiano con il titolo di Questione di genere), scritto dalla filosofa statunitense Judith Butler nel 1990.

La questione del genere e dell’identità di genere era stata già sollevata dallo psicologo e sessuologo neozelandese John Money le cui teorie, nella loro applicazione clinica, hanno suscitato controversie ed esiti talora drammatici come il suicidio del suo paziente David Reimer dopo molti anni dalla sua riassegnazione di genere.

Di solito, genere è un termine che viene contrapposto a sesso, a partire dal famoso lavoro dello psichiatra statunitense Robert Stoller la cui principale pubblicazione si intitola appunto “Sesso e genere” e risale al 1968. Per sesso, si intende il sesso anatomico, biologico; per genere, si considera una posizione soggettiva determinata dal contesto culturale nel quale si cresce e ci si sviluppa.

La Butler si nutre della cosiddetta French Theory e prende dunque come suoi punti di riferimento anzitutto la militante lesbica di sinistra Monique Wittig la quale, prima in Francia e poi negli Stati Uniti dove emigrò, criticò aspramente il cosiddetto contratto eterosessuale come svilente per le donne. La Wittig sottolineava come il termine straight, comunemente utilizzato in inglese per descrivere l’orientamento eterosessuale in contrapposizione a quello gay, starebbe ad indicare qualcosa di diritto, di corretto, di convenzionale, di giusto; questo implica che l’omosessualità venga intesa quale deviazione, stortura, scorrettezza, insomma come qualcosa di sbagliato. Altri fondamentali autori che hanno influenzato la Butler sono Simone De Beauvoir, Michel Foucault, Gilles Deleuze, Pierre Bourdieu, Jacques Derrida e lo stesso Jacques Lacan letto tuttavia in un modo discutibile.

La Butler riconosce a Lacan il superamento di qualsiasi impostazione fisiologica o relativa alla predisposizione a proposito del sesso e del genere. Criticabile è infatti il testo della nota canzone di Aretha Franklin che recita: “you make me feel like a natural woman” (mi fai sentire come una donna naturale); nessuna donna è donna per natura in quanto essere uomo o donna risulta comunque l’effetto di dispositivi linguistici, discorsivi e culturali. Trova che il limite di Lacan stia nel mantenere una teoria binaria, secondo la quale i sessi rimangono due anziché moltiplicarsi all’infinito. Quello che la Butler maggiormente imputa al mondo patriarcale, maschilista, fallologocentrico sta nella binarietà di maschile e femminile. Non vi sarebbe ragione di assumere che i generi dovrebbero rimanere due come la fluidità di genere tanto frequente fra gli adolescenti oggigiorno sembrerebbe dimostrare. A riprova di questa obsoleta binarietà porta la tendenza ad associare la mente alla mascolinità e il corpo alla femminilità; tendenza nella quale ricade anche un certo femminismo.

Eric Marty, eminente docente universitario a Parigi, si è dedicato a studiare la storia del gesto moderno che disgiunge il sesso e il genere. Rende ragione dei suoi studi nell’ampio, ricco e raffinato volume Le sexe des modernes, pubblicato dalla celebre casa editrice Seuil nel marzo del 2021. La sua tesi fondamentale è che il gender sia l’ultimo grande messaggio ideologico che l’Occidente invia al resto del mondo. Marty ne ha ampiamente discusso anche con Jacques-Alain Miller, erede testamentario di Lacan.

Una compendiosa rassegna sull’argomento si trova nel libro L’essere e il genere, uomo/donna dopo Lacan a firma della psicoanalista parigina Clotilde Leguil. Per la psicoanalisi, nell’inconscio, non esiste differenza dei sessi: ciascuno trova il proprio modo, singolare, di sbrogliarsela con il trauma del proprio corpo sessuato e della sessualità.

Le questioni di genere, dell’identità di genere, dell’eventuale disforia di genere si rivelano all’ordine del giorno. Si trovano al cuore del dibattito culturale e delle attenzioni volte al rispetto di ognuno. Una dimostrazione delle accortezze relative alla questione di genere sta nell’evitare di scrivere termini come care e cari, colleghe e colleghi; si sostituisce l’ultima lettera, la vocale di genere grammaticale, con un asterisco politicamente corretto.

Disuguaglianze di genere anche online

Lasciando aperta la questione sulla binarietà o molteplicità del genere, che andrebbe sicuramente approfondita in altra sede, focalizziamoci intanto su uomo o donna a proposito delle forme di parità o di disuguaglianza di genere nel mondo del web.

Molto attuale è il riproporsi dei lavori domestici a carico delle donne, come si è riscontrato con la pandemia che stiamo ancora vivendo. Molte mamme si sono consacrate all’aiuto dei figli impegnati nella DAD (Didattica a Distanza) e nella DDI (Didattica Digitale Integrata) svolgendo le proprie attività professionali in smartworking oppure addirittura optando per licenziarsi al fine di essere mentalmente concentrate sulla formazione scolastica dei figli. L’occupazione femminile è stata una delle maggiori vittime della pandemia riportando purtroppo le occasioni di lavoro delle donne e la loro emancipazione indietro di qualche decennio. Una ricerca delle Nazioni Unite (Women Rapid Gender Assessments on the Impact of Covid-19) datata 25 novembre 2020, che ha coinvolto pure l’Italia, indica in 30,9 le ore settimanali dedicate dalle donne ai propri figli a fronte di 24,8 dichiarate dagli uomini.

D’altro canto, risulta che, sui social network, il corpo di atlete donne divenga oggetto di diffamazione per l’ammontare di un 11% dei commenti a fronte di un 4% di commenti insultanti nei confronti di atleti maschi.

EIGE (European Institute for Gender Equality), fondato nel 2010 proprio per promuovere uguali opportunità per tutti, si impegna a individuare i fattori di divario fra uomini e donne e ad analizzare dati relativi alla disuguaglianza di genere. Ogni anno, assegna un indice denominato GEI (Gender Equality Index) relativo al raggiungimento delle pari opportunità con un valore numerico che va da 1 a 100 là dove 100 indicherebbe l’aver ottenuto una totale uguaglianza. Considera anche manifestazioni drammaticamente estreme di queste disarmonie come la violenza di genere sino a livelli relativi alle lancinanti mutilazioni genitali sul corpo delle bambine.

All’Europa nella sua totalità è stato assegnato un punteggio di 67,9. Sul proprio sito web, EIGE riporta un dato assolutamente impressionante: nell’Unione Europea, stando ai ritmi lenti con i quali si riduce la disparità fra uomini e donne, una certa parità verrà raggiunta soltanto fra 60 anni. Le nazioni ai vertici di questo rating sono, nell’ordine: Svezia (83,8); Danimarca (77,4); Francia; Olanda. L’Italia sta a metà classifica mentre Grecia, Ungheria e Romania risultano le nazioni messe peggio. Non saranno dunque le nostre figlie a giovarsene ma, eventualmente, le nostre nipotine!

Nel 2020, non senza nessi con la pandemia, l’indice GEI rilasciato da EIGE si è focalizzato sulla digitalizzazione. Ha preso in conto tre fattori: utilizzo e sviluppo di competenze digitali; trasformazione digitale del mondo del lavoro; attività di cura e violenza contro le donne, a proposito della quale ricorre ogni anno la Giornata Internazionale del 25 novembre. Nonostante l’assenza di sostanziali differenze a livello di competenze, il dislivello si incrementa a proposito del mondo del lavoro e dei settori formativi: gli scienziati nell’alta tecnologia sono uomini per un 80% e analoga è la percentuale degli occupati nelle telecomunicazioni digitali. A livello occupazionale, le donne rischiano maggiormente di venire sostituite da robot. Vi sono inoltre meno start-up digitali avviate e gestite da donne che da uomini.

Conclusioni

Quelli riportati sono esempi, relativi ad ambiti vari e diversi fra loro, significativi di un perdurare delle disuguaglianze fra uomo e donna anche nel mondo online.

Vi è ancora molta strada da compiere per giungere a una maggior parità di possibilità fra maschi e femmine, fra uomini e donne. Si dovrebbe puntare ad apprezzare la singolarità di ciascuno, in quanto siamo tutti diversi e parimenti rispettabili nella nostra unicità, così come al riconoscimento e al conseguimento di un’effettiva uguaglianza tanto nei contesti offline quanto in quelli specifici del web. A rimanere diversi ma con uguali opportunità.

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