La marcata prevalenza dei disturbi alimentari (anoressia, bulimia, obesità ma anche ortoressia e binge eating disorder ovvero disturbo da alimentazione compulsiva) nel genere femminile costituisce da tempo un dato. Ma come cambia il processo di ricerca dell’identità in un’epoca in cui il modello che prevale online propone esempi dall’effetto devastante sulle adolescenti?
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L’insorgenza adolescenziale dei disturbi alimentari
I clinici si accordano peraltro nel collocare l’insorgenza dei disturbi alimentari nel tempo dell’adolescenza e ancor più in quello traumatico della pubertà: in quel periodo appaiono i cambiamenti relativi al passaggio da un corpo ancora puerile, da un corpo infantile al corpo che diviene femminile. Gli anni che possiamo collocare intorno al periodo delle scuole medie sono in effetti quelli nei quali di solito divampa la preoccupazione per la propria immagine corporea. Si tratta di una stagione dell’esistenza in cui il legame con la famiglia d’origine e soprattutto con i genitori si incrina quando non diviene apertamente conflittuale a fronte di nuovi investimenti affettivi nei confronti dell’ambiente extrafamiliare. In generale, nell’adolescenza, l’amore per i genitori viene sostituito dall’amore per i coetanei, per i docenti, per figure del mondo dello sport, della moda o dello spettacolo; queste ultime sono molto importanti in quanto assumono la funzione di infatuazioni intermedie fra l’affetto per i propri familiari e l’investimento libidico rivolto a nuove persone che vengono incontrate nel percorso di crescita.
Il valore attribuito tradizionalmente a personaggi della moda o dello spettacolo ci permette di cogliere la rilevanza che hanno oggigiorno i cosiddetti influencer attivi sui social network, su YouTube o ancora su siti Internet specializzati in un certo argomento. Modelle che propongono reel (letteralmente, significa bobina) imperniati sullo sfoggiare il proprio corpo snello e slanciato su Instagram, influencer che spiegano nel loro canale YouTube come vincere i crampi della fame, ragazze che esaltano la magrezza estrema nei siti ProAna (pro anoressia) sono tutti esempi dell’effetto devastante determinato talvolta dal mondo del web sulle adolescenti che stanno cercando una propria identità.
La ricerca di un’identità è relativa alla comune domanda dell’essere umano “Chi sono io?”. Diviene tuttavia ancor più importante nella fase delle trasformazioni corporee in occasione della pubertà e in quello dell’inserimento sociale extrafamiliare specifico della fase di tempesta adolescenziale.
Il passaggio da bambina a donna
A partire dalle caratteristiche epidemiologiche sopra descritte, sorge spontaneo un interrogativo: perché risulta tanto complicata quella fase dell’età evolutiva nella quale una bambina inizia a diventare donna? Le risposte a questa domanda sarebbero molteplici e diverse concause di tale questione interagiscono fra loro. Ne indichiamo comunque tre, sicuramente fondamentali.
L’immagine
Il primo punto è il cambiamento della propria immagine corporea nell’età dello sviluppo. Possiamo facilmente scorgere nelle bambine brio, gioia, allegria, vitalità, calore e tenerezza. Spesso le bambine iniziano precocemente a dire le prime parole e a formulare le prime frasi. Jacques Lacan (psicoanalista, psichiatra e filosofo francese) affermò una volta che la bambina è più felice: la femminuccia è più felice del maschietto in quanto non è confrontata da subito con l’imbarazzo dell’organo sessuale che ingombra invece la vita del bambino. La ferita narcisistica relativa alle mestruazioni modifica la percezione della propria immagine corporea, proprio nella fase della pubertà. Da quel momento il cammino verso il divenire donna appare travagliato, inquieto, denso di angoscia. Il proprio corpo appare allora estraneo, insoddisfacente, detestato e una ragazza sovente non si riconosce in quel corpo che si trova ad avere. La propria struttura fisica viene recepita come un luogo da scolpire o da modificare; persino come un corpo da intagliare e lo si coglie nel fenomeno del cutting, del tagliuzzarsi, una forma di autodistruttività spesso accostata sui siti web e sui social ai disturbi alimentari. Il valore dell’immagine di altre ragazze, di altre donne, risulta preponderante quale modello: ecco allora l’importanza attribuita a social come Tik Tok e, soprattutto, Instagram nei quali l’esibizione del proprio corpo, spesso non molto vestito, risulta cruciale. Tutto questo può talora portare a un’amplificazione dell’investimento sulla cura della propria immagine allo specchio oppure, al contrario, a un’identificazione con figure di trascuratezza o di addirittura di autolesionismo.
Il rapporto con i genitori
Un secondo punto concerne l’angoscia di perdere l’amore dei genitori non essendo più una bambina. Manifestazioni di affetto, baci, abbracci, contatti corporei tra genitori e figli in tenera età sono una consuetudine; più rari, quando non motivo di disapprovazione, lo sono dopo la pubertà. Un papà che accarezza e bacia il corpo della propria bimba viene apprezzato; lo stesso papà che compie i medesimi gesti sembrerebbe a distanza di anni anomalo, irrispettoso oppure persino incestuoso. Per questo, una delle ragioni dei disturbi alimentari nelle adolescenti sta in un tentativo di far ritornare la propria immagine corporea a un tempo mitico precedente la pubertà facendo sparire le forme femminili che potrebbero suscitare il desiderio dei coetanei ma potrebbero anche risultare un fattore respingente per i propri genitori e soprattutto per il padre. Sta nel desiderio di recuperare l’amore parentale e soprattutto quello paterno. L’immagine della magrezza di alcune ragazze reperita su certi siti e su specifici social diventa motivo di fascinazione anche per questa ragione, per il desiderio inconscio di ritrovare il tempo dell’amore dei genitori ormai inesorabilmente perduto.
Il significante
Terza ragione della complessità del passaggio da bambina a donna è l’assenza di un significante che definisca cos’è una donna. Freud stesso si era sempre scervellato sulla femminilità, si è sempre domandato cosa vuole una donna. Per sua stessa ammissione, non era mai riuscito a penetrare il segreto della femminilità. Lacan riformula in termini linguistici l’enigma della femminilità, il non sapere cosa vuole una donna freudiano. Mentre vi è un significante vale a dire un elemento linguistico in grado di definire un uomo ovvero il significante fallico quale significante della differenza sessuale fra maschio e femmina, non vi è nell’inconscio un significante adatto a definire in toto la femminilità. Se l’uomo è descrivibile sotto l’elemento fallico, non vi è alcun elemento che dica la femminilità in modo assoluto: dunque non esiste. La donna come universale mentre esistono le donne, ciascuna unica, ciascuna eccezionale, ognuna nella propria singolarità. L’itinerario di ricerca svolto da una ragazzina nel proprio cammino verso il diventare donna si manifesta allora spesso come frastagliato e trova degli ancoraggi nell’immagine tanto quanto nei modelli identificatori messi a disposizione dal web in modo fruibile. La prima forma del riconoscimento della propria corporeità è quella visiva e il pullulare delle immagini femminili sugli schermi costituisce un comune ormeggio per trovare una propria identità; il problema sta nel rischio di identità imitative sofferenti quando non autodistruttive come quelle imperniate appunto sui disturbi alimentari. Dire “io sono anoressica” o “io sono bulimica” va a corazzare un’identità quando non si sa come definirsi in quanto donna.
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La funzione degli schermi nella nostra epoca
Ci troviamo d’altronde in un mondo che, da molto tempo, pone gli schermi al cuore dell’esistenza: la televisione nelle generazioni dei boomers, poi il computer nei decenni scorsi e quindi lo smartphone oggigiorno sono oggetti cruciali per le nostre giornate. Fino a pochi anni or sono, un’affermazione acquisiva valore se veniva detta in TV; si credeva a qualcuno o a qualcosa semplicemente per aver sentito tale affermazione attraverso lo schermo televisivo. Attualmente, ormai, tutti ci rivolgiamo invece al web se vogliamo sapere qualcosa appoggiandoci alla navigazione sui motori di ricerca – per esempio con l’intenzione di autodiagnosticarci delle malattie e per avere aggiornamenti in diretta sull’attualità – oppure alle comunità specifiche dei social network come Facebook e Instagram o a quelli funzionali come Trip Advisor. In età evolutiva, gli schermi sembrano ancor più importanti che per gli adulti come possiamo vedere con i bimbi ipnotizzati dai cartoni animati e con gli adolescenti che non distolgono quasi mai l’attenzione dai loro cellulari. In primo piano vi è un’immagine riproducibile, padroneggiabile, che permette di interagire tramite le chat e di sublimare creando video, pubblicando foto, eccetera.
Molti studiosi affermano che ci troviamo nella fase della quarta rivoluzione della comunicazione. La prima rivoluzione è stata quella del passaggio dalla parola alla scrittura che, nella lettura compiuta dal filosofo francese Jacques Derrida del Fedro di Platone costituisce sia un rimedio che un veleno: è un rimedio per la memoria ma rischia di dimostrarsi un veleno in quanto porta a dimenticare e a eludere la verità; in questi termini, la scrittura appare come la prima forma di dipendenza, di gran lunga antecedente la dipendenza dagli oggetti digitali. La seconda rivoluzione della comunicazione è quella del periodo Gutenberg con l’invenzione della tipografia che ha permesso una democratizzazione dell’accesso alla lettura al sapere attraverso i libri scritti e la pubblicazione dei giornali in un superamento della figura dell’amanuense. La terza rivoluzione è quella della telecomunicazione che ha dato luogo all’invenzione della radio, a quella del telefono e appunto alla diffusione della televisione che ha portato il mondo nelle case dei cittadini di ogni dove. La quarta e attuale rivoluzione della comunicazione è precisamente quella di Internet e della digitalizzazione.
Cosa ci insegna questa digitalizzazione del mondo, accelerata dalla situazione pandemica? Credo stia a indicarci come quella fiducia che la psicoanalisi chiama transfert, già da tempo indirizzata verso le star degli schermi televisivi, si stia sempre più orientando verso quello specifico tipo di schermi che sono gli oggetti digitali.
La suggestione indotta dagli schermi
Il transfert si ritrova nelle relazioni umane significative, soprattutto nei confronti di chi viene collocato in una posizione di sapere, di autorità, di prestigio, di potere, nei confronti di chi si prende cura di noi: emerge il transfert nei confronti del docente di liceo o di università, dell’avvocato, dell’uomo di successo, del politico, del medico di base che sono in effetti tutti sostituti genitoriali. Il transfert è un fenomeno cruciale nella pratica della psicoanalisi e ha un elevato valore simbolico; essendo qualcosa di simbolico ha a che fare con una presenza in absentia ovvero con l’amore e l’odio nei confronti dell’analista in quanto inconsciamente prende il posto dei genitori. A fianco al transfert, si instaura il suo versante problematico che è la suggestione. La suggestione è qualcosa che attraversa le varie culture; un esempio eclatante di suggestione lo rintracciamo nell’efficacia degli sciamani come guaritori nelle società primitivi nelle quali si crede che essi abbiano capacità taumaturgiche relative al loro legame con entità sovrannaturali. Per questo, quando si crede nel valore di quanto appare oltre lo schermo, vedere la modella o la cantante su YouTube o su Instagram ha un effetto altamente suggestivo sulle adolescenti. Queste giovanissime ragazze proiettano su di loro una fiducia e delle aspettative analoghe a quelle che riversavano da bimbe sui genitori così come un nuovo amore che trae origine dall’amore originario per la mamma o per il papà.
Sarebbe tuttavia tentante ma errato attribuire soltanto all’immagine il potere di suggestione. Questo potere è una conseguenza del transfert che in precedenza era rivolto appunto agli sciamani o, per esempio, a chi parlava alla radio: si pensi alle reazioni indotte dai comizi di leader politici trasmessi alla radio o agli statunitensi che credettero con terrore alla “Guerra dei mondi” dopo l’omonimo programma di Orson Welles, nel 1938. Quello che ci sembra fondamentale da considerare è comunque lo speciale ruolo svolto dall’immagine in età evolutiva, in una fascia d’età nella quale, per le ragioni suddette, una ragazza si trova a investire molte energie sulla propria corporeità nel tormentato percorso che la conduce verso la costruzione della femminilità. L’immagine che si vede al di là dello schermo acquisisce un valore fondamentale nella strutturazione dell’identità delle ragazze adolescenti.