Il ritardo tecnologico del Mezzogiorno italiano non rappresenta soltanto una rilevante questione nazionale, ma sta assumendo rilievo anche nell’agenda europea.
Sì perché il deficit del Sud Italia preclude l’effettivo raggiungimento della coesione sociale, economica e territoriale, costituente un valore globale dell’Unione.
Un obiettivo che richiede la realizzazione, mediante concrete e incisive politiche di sviluppo, dei principi di uguaglianza, equità e sostenibilità, attualmente vanificati nei contesti più arretrati del continente, con ripercussioni negative sulla stabilità generale del sistema.
Anziani e poveri esclusi dal digitale, il dramma ignorato dal Governo
Digitale, un’Europa a due velocità
L’Europa “a due velocità” descrive perfettamente lo scenario attuale del vecchio continente, ove, in presenza di un radicato gap socio-digitale, l’(isolata) intraprendenza tecnologica di alcuni Paesi leader all’avanguardia si contrappone al (dilagante) ritardo endemico di altri Stati, tra cui l’Italia in perenne stato embrionale “da anno zero” alla ricerca costante di soluzioni – sempre estemporanee – spesso soltanto annunciate e prive di una concreta progettazione applicativa.
Il nostro Paese così è destinato ad affondare nel “deserto digitale” a causa di un problematico deficit infrastrutturale, aggravato dal preoccupante analfabetismo cognitivo basato sulla assenza di competenze basiche ICT che si registra soprattutto nel contesto geografico del Mezzogiorno, in cui si accentuano i gravi fattori di esclusione sociale, povertà e discriminazione legati alla mancanza di adeguate politiche innovative.
Tutti i gap dell’Italia digitale
Già l’edizione DESI 2021 ha confermato, in perfetta continuità con le precedenti edizioni, le deludenti performance italiane nell’ambito di un evidente gap digitale europeo che formalizza la profonda frattura esistente tra Nord e Sud del continente.
Vero è che, in occasione dell’ultima edizione del DESI pubblicato dalla Commissione europea, la classifica generale europea colloca il nostro Paese al 20˚ posto (su 27 Stati) rispetto alle precedenti posizioni ancora più negative al punto da indicare l’Italia come fanalino di coda tra i Paesi peggiori tecnologicamente arretrati, secondo i risultati riscontrati in passato dal report.
Tuttavia, restano invariati i principali problemi riscontrati in termini di capitale umano: l’Italia addirittura precipita al 25˚ posto rispetto all’indicatore della cultura digitale, poiché solo il 42% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base (56% nell’UE) e solo il 22% dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (31% nell’UE).
Inoltre, la percentuale di specialisti ICT in Italia è pari al 3,6% dell’occupazione totale (ancora al di sotto della media UE del 4,3%), mentre le donne rappresentano il 16% della categoria degli esperti (la media UE è del 19%).
Parimenti problematico risulta l’uso, ancora modesto, dei servizi pubblici digitali: la percentuale di utenti online italiani che ricorre a servizi di e-government è passata dal 30% nel 2019 al 36% nel 2020 (ben al di sotto della media UE del 64%).
In tale prospettiva, la tendenza non varia alla luce delle evidenze formalizzate in numerosi casi di studio, report e relazioni settoriali dedicate a monitorare lo stato di digitalizzazione negli Stati membri dell’Unione europea.
Le disparità territoriali e regionali che preoccupano
Al riguardo, emblematico è il recente rapporto “Cohesion in Europe towards 2050” pubblicato dalla Commissione europea, che offre interessanti spunti di riflessione sulle attuali condizioni di sviluppo esistenti nell’UE, delineando al contempo le possibili prospettive di sviluppo per favorire, secondo standard omogenei, la crescita socio-economica generale in tutto il continente.
Al netto di una generale ripresa complessiva dell’Unione trainata dalle potenzialità del processo di transizione verde e digitale, il report descrive, come preoccupante aspetto negativo dell’attuale scenario europeo, l’esistenza di profonde disparità territoriali e regionali, ove si registrano condizioni di ritardo sempre più endemico, aggravato dagli effetti pandemici del “Covid-19” che, non a caso, ha avuto un impatto asimmetrico sulle regioni meno sviluppate dell’UE, colpendo gran parte del settore imprenditoriale, con conseguente decremento dei posti di lavoro, al punto da provocare la più grande recessione registrata dal 1945 in poi.
Pur intravedendo la possibilità di realizzare proficue evoluzioni di ripresa positiva legate alla capacità di sfruttamento delle opportunità offerte dalle tecnologie, anche grazie alla realizzazione di politiche di coesione in grado stimolare il PIL pro capite delle regioni meno sviluppate con stime attestate fino al 5% entro il 2023, lo studio della Commissione europea riscontra l’esistenza di una preoccupante stagnazione economica nel Mezzogiorno italiano (al pari di alcune regioni localizzate in Portogallo, Grecia e Cipro).
Conferma, tra le principali cause della capillare diffusione dell’innovazione, il problema di scarse competenze digitali nell’ambito di un generale basso livello di scolarizzazione, che impedisce di realizzare il definitivo salto di qualità nell’ambito di una strategia progettuale in materia di innovazione digitale indispensabile per definire, con lungimiranza, proficue condizioni di benessere diffuso come fattore di sostenibilità generale fruibile dalla collettività, in perfetta linea con le evidenze formalizzate dall’ultimo rapporto “DESI”.
Sebbene le regioni meno sviluppate stiano recuperando terreno rispetto al resto dell’UE, allo stesso tempo, tuttavia, esiste ancora, in molti territori a reddito medio localizzati soprattutto nell’UE meridionale e sudoccidentale, un declino economico che riflette un rilevante divario urbano-rurale, ove si assiste ad un incremento delle disparità regionali all’interno degli stessi Stati membri, a causa della mancanza di investimenti in R&S e delle debolezze strutturali riscontrate negli ecosistemi di innovazione meno sviluppati.
Ue, un divario digitale a macchia di leopardo
Non si riduce, ma anzi sembra stratificarsi, il divario digitale geograficamente diffuso a “macchia di leopardo” – tra e dentro gli Stati membri UE – con effetti negativi destinati a incrementare le diseguaglianze sociali esistenti.
Aumenta quindi il gap tra “cittadini di serie A” (inclusi digitali) e “cittadini di serie B” (esclusi digitali), ponendo ai margini sociali le categorie più povere e meno istruite a rischio di esclusione digitale.
Conclusioni
Il Mezzogiorno italiano continua a soffrire l’esistenza di una profonda situazione di arretratezza generale, su cui incide la mancanza di efficaci investimenti realizzati in attuazione di politiche lungimiranti pianificate nel medio-lungo termine con l’intento di colmare il gap digitale riscontrato.
Piuttosto che ridurre le criticità esistenti, si stanno accentuando le debolezze degli ecosistemi di innovazione regionali tecnologicamente vulnerabili, a causa di ritardi rilevanti nell’implementazione dell’Industria 4.0 e nella trasformazione digitale del settore pubblico, esposto a processi ancora troppo precari e instabili che non riescono a sfruttare le opportunità offerte dalle tecnologie per favorire la crescita socio-economica in condizioni eque, sostenibili e inclusive.