Un articolo di Technology Review, pubblicato lo scorso 3 agosto, ha riproposto il tema del gender gap nell’information technology oltre ad illustrare come le donne siano sempre state “silenziate” sin dagli albori del settore.
L’articolo fa riferimento anche al recente caso di TikTok che ha utilizzato per la propria funzione di sintesi vocale, senza permesso, la voce della doppiatrice canadese Bev Standing. La Standing non ha accettato passivamente il “furto di voce” (e quindi di personalità) e ha chiamato in giudizio il social network cinese, affermando di non aver mai accettato di essere presente nell’app e sostenendo, altresì, che il modo in cui veniva usata la sua voce – in particolare il modo in cui gli utenti potevano farle dire qualsiasi cosa, incluse volgarità –stava danneggiando la sua reputazione a livello sia personale sia professionale.
Donne e tecnologia: un contributo silenziato nel tempo
Non si tratta di un caso isolato in discussione. Infatti, già in precedenza, un’”indebita appropriazione” di voce sarebbe stata praticata da Apple, in occasione del lancio dell’assistente vocale Siri, quando adoperò la voce della doppiatrice Susan Bennett. Il fatto è, però, che la donna avrebbe appreso dell’uso della sua voce solo al lancio sul mercato del Siri. Ebbene, la doppiatrice, nonostante le prove raccolte, non è mai riuscita a far valere le proprie ragioni contro Apple, che si è tutelata includendo successivamente clausole di segretezza nei contratti dei doppiatori e, più recentemente, affermando che la nuova voce di Siri è “interamente generata da software”.
Questi episodi non fanno altro che evidenziare come il lavoro delle donne venga “cancellato” anche quando è visibile e “ascoltabile” da tutti. Un altro caso emblematico è quello della ricercatrice in informatica Timnit Gebru che, lo scorso anno, è stata estromessa da Google – dove aveva co-diretto un team di Etica dell’Intelligenza Artificiale – dopo aver espresso le sue preoccupazioni riguardo ai modelli linguistici utilizzati dall’azienda fornendo un’ulteriore conferma del fatto che le donne nel settore tecnologico sono spesso “silenziate” e licenziate a fronte del loro diretto o indiretto tentativo di fare il proprio lavoro e mitigare i “danni” avvertiti o nelle aziende tecnologiche in cui lavorano.
Il “caso” della Gran Bretagna
Ci si potrebbe chiedere come mai la Gran Bretagna, che nel 1944 era leader nel mondo dell’informatica elettronica, con il passare del tempo, non sia riuscita a mantenere tale supremazia sino ad assistere, nel 1974, ad una quasi totale estinzione dell’industria informatica del Paese. La risposta la dà la storia: mentre la Gran Bretagna lottava per utilizzare la tecnologia per mantenere il suo potere globale, si rivelava incapace, come nazione, di gestire la propria forza lavoro tecnica, ostacolando, così, la propria piena transizione nell’era dell’informazione. Di questo fenomeno ha scritto nel 2017 Mark Hicks, professore associato presso l’Illinois Institute of Technology, nel libro “Programmed Inequality”. Nel saggio Hicks illustra come a minare gli sforzi di informatizzazione della Gran Bretagna abbia avuto un ruolo determinante, paradossalmente, la “femminilizzazione” del lavoro.
Questa scelta a favore del genere femminile era tutt’altro che un riconoscimento. Al contrario, come spiega un altro interessante saggio il libro di Janet Abbate, intitolato “Recoding Gender”, la convinzione che accecò l’industria e gli enti pubblici fu che la programmazione, negli anni del dopoguerra, fosse un lavoro prevalentemente femminile rispetto a quello più “virile” svolto dagli uomini che costruivano i computer.
Ebbene, tornando al libro di Hicks, lo studioso illinoisano mette in evidenza come, di fronte a una forza lavoro nell’informatica quasi esclusivamente femminile, l’atteggiamento delle organizzazioni e del governo fu quello solitamente usato con le donne: la solita sistematica negligenza che per le donne il mondo maschile adotta da sempre. Nel decennio che va dagli anni Sessanta agli anni Settata del XX secolo, come mette in evidenza il libro di Hicks, si verificò una svolta di 180 gradi: dalla “donna nascosta” si passò, in Gran Bretagna (ma, secondo la Abbate anche negli Stati Uniti) alla identificazione dell’’informatica, tout court, come prerogativa maschile. A questo punto i problemi del settore divennero strutturali e la discriminazione di genere indusse il più grande utente di computer della Gran Bretagna – il servizio civile e il vasto settore pubblico – a prendere decisioni rivelatesi disastrose per l’industria informatica e la nazione nel suo insieme. La scomparsa delle donne dal campo tecnologico/informatico ha avuto gravi conseguenze macroeconomiche per la Gran Bretagna e lo studioso illinoisano invita anche gli Stati Uniti a riflettere sulle strategie odierne che rischiano di perpetrare quegli stessi errori dei cugini inglesi.
In ogni caso, dove persiste la permanenza della donna – documenta Hicks attingendo a file governativi (resi accessibili di recente), a interviste personali e agli archivi delle principali aziende informatiche britanniche – è sempre presente la finzione della meritocrazia tecnologica. Ovvero, ancora oggi, non è sufficiente per le donne possedere competenze tecniche per garantirsi di raggiungere i vertici nei campi della scienza e della tecnologia.
Il paradosso è che, nello stesso tempo, come rileva il report dal titolo “The key to designing inclusive tech: creating diverse and inclusive tech teams” pubblicato da Capgemini Research Institute, anche le aziende che sono riconosciute tra le migliori – in termini di ambienti di lavoro per le donne – devono affrontare una forte concorrenza per l’acquisizione di talenti femminili in campo tecnologico dal momento che non ci sono abbastanza donne candidate e qualificate per soddisfare l’elevata domanda odierna di profili tecnologici.
La strategia di Microsoft
Ne consegue che è quanto mai urgente e necessario ideare e migliorare i metodi di reclutamento per attrarre e reclutare i talenti femminili. A tal proposito risulta interessante la strategia di Microsoft che ha adottato un approccio olistico e articolato in termini di diversità e inclusione a livello di pipeline attraverso la creazione nuovi percorsi per le carriere tecnologiche, tenendo in considerazione le prospettive dei propri dipendenti e supportando la diversità nel modo più ampio possibile; al contempo, grazie a una serie di iniziative e partnership con le varie istituzioni scolastiche, sta cercando di “garantirsi” la futura generazione di talenti.
In Italia – dove il divario di genere in questo campo è particolarmente radicato – solo un laureato in STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) su tre è donna e quasi tutti gli informatici sono uomini. Ne consegue che è più urgente intervenire culturalmente per incoraggiare le giovani donne a diventare parte attiva di questo campo disciplinare garantendo una forza lavoro STEM diversificata e di talento, anche considerando il fatto che ciò porterebbe a un cambiamento positivo, non solo per le donne, ma per l’intera comunità.
Diversità e Inclusione: perché è così importante nel settore delle tecnologie?
Team tecnologici più inclusivi portano maggiore inclusività anche nella progettazione di prodotti e servizi tecnologici. Questo concetto è alla base del prima citato report dal titolo “The key to designing inclusive tech: creating diverse and inclusive tech teams” pubblicato da Capgemini Research Institute per analizzare il rapporto tra il livello di diversità e inclusione all’interno dei team tech ed il livello di inclusione nelle tecnologie che vengono sviluppate.
Dal momento che le tecnologie digitali sono sempre più integrate in tutti gli aspetti della vita umana, tali integrazioni hanno messo in luce limiti e pregiudizi di queste tecnologie soprattutto in termini di discriminazioni evidenziate e denunciate in algoritmi o sistemi di AI. Pertanto, è sempre più urgente e necessario garantire una maggiore Diversità, Equità e Inclusione (i.e. DEI) nel mondo del lavoro e, in particolare, nei team tech che sviluppano e implementano le tecnologie con cui interagiamo ogni giorno.
Questione di “inclusive design”
È ampiamente dimostrato da numerosi studi di settore che le organizzazioni che mettono in atto pratiche inclusive avanzate registrano una probabilità 4 volte maggiore di creare prodotti inclusivi. Secondo il report, infatti, il 40% delle aziende con una cultura inclusiva è in grado di coinvolgere i consumatori in ogni fase del processo di progettazione rispetto a solo il 6% del resto delle organizzazioni. Si tratta di mette in atto il cosiddetto “Inclusive Design”, i.e. una metodologia che ha lo scopo di creare soluzioni che possano essere adottate da un gruppo diverso di persone.
Il report rivela, altresì, che persiste un divario importante tra la percezione positiva dell’inclusione sul posto di lavoro da parte della leadership e la dura realtà vissuta dalle minoranze etniche e dai dipendenti del settore tecnologico. Di fatto, nonostante l’85% dei dirigenti intervistati ritenga che le proprie organizzazioni offrano eque opportunità di sviluppo di carriera a ogni dipendente, solo il 18% di donne e dipendenti intervistati ed appartenenti a minoranze etniche è d’accordo su tale affermazione. Inoltre, le aziende intervistate hanno confermato una scarsa diversità nei team tecnologici: 1 dipendente su 5 è una donna, e 1 su 6 appartiene a una minoranza etnica. Interessante notare come questo rapporto diminuisce ulteriormente nei team di sicurezza informatica: solo 1 dipendente su 8 è una donna o appartiene a una minoranza etnica. Di fatto, le donne sono fortemente sottorappresentate nei team tecnologici in tutti i paesi e, per quanto riguarda l’Italia, solo il 21% della forza lavoro femminile è impiegata nei team IT/tech.
È fondamentale per le organizzazioni affrontare le tematiche DEI e coinvolgere i leader tecnologici nella gestione in modo tale che abbiano maggiore consapevolezza, educazione e responsabilità sulle tematiche di inclusione dei loro team. Si tratta di: attuare vari processi e politiche per creare un ambiente sicuro ed equo per tutti i dipendenti; garantire che soprattutto le donne e i dipendenti delle minoranze etniche abbiano pari opportunità di crescita e avanzamento di carriera; garantire il dialogo e favorire un ambiente sano; promuovere l’equità nei sistemi di intelligenza artificiale; ridurre la discriminazione algoritmica.
Sempre secondo il report, il 65% delle organizzazioni all’avanguardia utilizza l’intelligenza artificiale per valutare il sentiment dei dipendenti rispetto al 46% del resto delle organizzazioni. Inoltre, i team devono assicurare che i set di dati esistenti non creino o rafforzino i pregiudizi esistenti.
La strada verso la parità di genere è ancora lunga
La parità di genere non è ancora stata raggiunta e questa realtà è dinanzi a noi quotidianamente: gli ultimi due anni di pandemia hanno ulteriormente evidenziato questa problematica. Inoltre, lo scenario storico in cui ci troviamo ad operare conduce alla consapevolezza che l’uguaglianza di genere, per lo sviluppo sostenibile, si è convertito in un tema strategico per trasformare la nostra società. È ormai risaputo che uno sviluppo realmente sostenibile è impossibile in presenza di disuguaglianze di genere ed è in tale ottica che l’obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030 si concentra su questa tematica ed anche il nostro Paese, durante il W20 dello scorso luglio, ha confermato il proprio commitment a superare tali ostacoli.
Le tecnologie possono convertirsi in leve strategiche per la crescita personale e professionale delle donne e accelerare la chiusura del divario di genere nelle discipline STEM.
Si tratta sempre più di attuare un cambio di paradigma: un lavoro di educazione e sensibilizzazione sin dall’infanzia per abbattere la diffidenza e i numerosi stereotipi che si manifestano a scuola, in famiglia, ovunque e che vanno a compromettere la fiducia in sé stesse delle bambine e delle ragazze verso le materie STEM. Ma servono, altresì, strumenti di welfare e infrastrutture sociali. Senza dimenticare quanto sia importante che le donne, con determinazione, riescano a dimostrare le proprie capacità, acquisire gli skill necessari e liberare maggiormente quell’energia che è dentro di esse. Le donne devono imparare ad “autorizzarsi” a non smettere di mettersi in discussione e ad imparare con serietà, tenacia, professionalità in modo tale da farsi ascoltare, non con forza, ma con autorevolezza e maturata assertività.
DEI: leve strategiche per garantire la resilienza dell’organizzazione
I concetti DEI, se correttamente implementati nel contesto aziendale, possono contribuire a garantire una corretta implementazione dei principi di Risk Management & Business Continuity dal momento che permettono di: anticipare le potenziali minacce; fare fronte efficacemente ad eventi imprevisti; imparare da questi eventi in modo tale da produrre una capacità dinamica atta a facilitare il cambiamento organizzativo.
Di fatto, la resilienza organizzativa scaturisce da un approccio collettivo e da una conoscenza nel suo complesso. Pertanto, è sempre più necessario comprendere il comportamento dei gruppi e delle funzioni che la compongono, acquisendo coscienza del ruolo delle tematiche DEI, ai diversi livelli all’interno delle organizzazioni, dato che offrono la base di condivisione di conoscenze e prospettive.
Conclusioni
Possiamo affermare che, in informatica, la discriminazione è antica quanto il settore stesso e si continua a ignorare il ruolo delle donne e di altri gruppi minoritari nei campi della tecnologia e l’impatto della tecnologia su quei gruppi minoritari.
Progettare team inclusivi e sviluppare prodotti inclusivi permetterà di dare più spazio all’innovazione, alla creatività e una maggiore scalabilità dei prodotti e servizi digitali, e le organizzazioni che non lavoreranno su questo, perderanno l’enorme potenziale che l’inclusione e la diversità comporta. La diversità è incredibilmente importante ma solo insieme all’inclusione è più efficace: la forza lavoro è composta sia da persone che hanno tutte qualcosa di diverso da offrire sia da tutte quelle persone si sentono partecipi e sono valutate allo stesso modo da loro datore di lavoro.
Un posto di lavoro diversificato in cui l’inclusione è al centro significa che c’è un maggiore accesso a diversi punti di vista, competenze, visioni creative, approcci ed esperienze che hanno maggiori probabilità di portare un’azienda tecnologica a produrre prodotti e servizi più innovativi per utenti e clienti.
L’empowerment delle donne nel settore tecnologico, la parità di genere, l’emancipazione e l’autodeterminazione è sempre più un tema strategico dal momento che nessuna società può prosperare se spreca, disperde, saccheggia la metà delle sue risorse umane. Pertanto, la società intera deve garantire l’inclusione delle donne nella rivoluzione tecnologica, non come spettatrici passive ma come partecipanti attive e in alcuni casi anche come vere e proprie leader attraverso azioni mirate nell’ambito dell’istruzione, nelle imprese, nelle istituzioni, con l’obiettivo di promuovere l’acquisizione di competenze e la riqualificazione di ragazze e donne verso professioni informatiche/tecnologiche.