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Diversity management: cos’è e perché è importante



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Il diversity management è l’insieme delle politiche adottate da un’azienda per promuovere la diversità all’interno dell’ambiente di lavoro. Il termine diversità, in questo caso, è inteso nel modo più ampio possibile e si tratta di una sfida manageriale e culturale

Pubblicato il 26 lug 2023

Giuditta Mosca

Giornalista, esperta di tecnologia



diversity management
(Immagine: https://pixabay.com/geralt)

Se ne parla da decenni, non è cultura imprenditoriale del tutto nuova e ha attecchito in modo eterogeneo nel mondo. Tuttavia, il diversity management non può essere racchiuso esclusivamente in una classificazione geografica, perché è una filosofia di conduzione d’impresa e ha più a che fare con il business che con le politiche di uguaglianza e integrazione, le quali ne sono all’origine.

La rivalutazione del ruolo di ogni persona, così come la promozione delle sue capacità, incarnano l’aspetto sociale di ogni professione e, in questa veste, hanno ricadute positive sia sulle imprese sia sulla collettività.

Non è quanto è successo in passato in termini di diversity management a fare la differenza, è il potenziale che può essere sfruttata nel futuro che dovrebbe diventare tema di discussione.

Cos’è il diversity management

Il diversity management è una strategia secondo la quale, all’interno di una qualsiasi organizzazione, vengono promosse le diversità, siano queste di genere, etniche, anagrafiche, di orientamento, culturali ma anche relative a disabilità o a particolari abilità fisiche. Lo scopo ultimo è quello di influire positivamente sull’identità e le prospettive delle persone a prescindere da qualsiasi altro elemento concorra a qualificarle.

A corredo di ciò vanno citate anche diversità meno evidenti che possono essere parte di una categoria a sé stante. Per quanto possa sembrare strano creare ripartizioni in una disciplina, quella del diversity management, che tende a non omologare categorie e classificazioni, si può dire che le diversità sono di due tipi:

  • diversità primarie: tutto ciò che rientra nel patrimonio personale di ogni individuo e che non può essere modificato. Ne fanno parte l’età, l’etnia, il credo, il genere, l’orientamento e così via,
  • diversità secondarie: rientrano in questa suddivisione il livello socioculturale, il percorso professionale e le specifiche reddituali del singolo individuo. Parametri che possono essere modificati.

Alla luce di queste considerazioni, si può abbozzare una definizione di diversity management che ancora non è strutturata nei libri di testo: è il processo manageriale che promuove l’accettazione delle differenze e che ne fa uso per dare una dimensione di valore aggiunto per l’impresa nel suo insieme.

Obiettivi del diversity management

A costo di snaturare modo di intendere l’impresa come entità dedita esclusivamente al profitto, gli obiettivi del diversity management tendono a dare un valore olistico a un’organizzazione, collaborando così a creare un’identità rinnovata la quale, al di là delle necessità e degli obiettivi di bilancio, partecipa all’inclusione delle collettività. Possiamo quindi stilare l’elenco delle quattro principali leve del diversity management.

  • inclusione: è la creazione di un ambiente di lavoro nel quale non vige pregiudizio e ognuno viene valorizzato e rispettato,
  • opportunità: a ogni dipendente vengono garantire le medesime opportunità di crescita professionale, di formazione e di carriera,
  • benefici: la diversità diventa processo aziendale e viene impiegato per trarne un beneficio aziendale fondato sulla creatività, le capacità di adattamento e la creatività di ogni dipendente,
  • responsabilità: l’inclusione e le opportunità garantite hanno ricadute sull’intera collettività e ciò è possibile soltanto in quei contesti aziendali nei quali prevalgono etica e morale.

Va da sé che, fino a questo momento almeno, si parla di principi e di linee guida teoriche. Ciò non toglie che gli atteggiamenti etici delle imprese, come per esempio le Benefit Corporation oppure i fattori Esg hanno ricadute positive sulle organizzazioni anche in termini di interesse da parte dei finanziatori e delle platee di riferimento, ossia partner e clienti.

Differenza tra diversity e diversity management

È la differenza medesima che suggeriscono i termini stessi: da una parte la diversità è afferente a ciò che crea differenze tra singoli individui anche in termini di prospettive, dall’altra parte il diversy management che si palesa come filosofia strutturata e intenzionale tesa a gestire le diversità come patrimonio aziendale con ricadute positive per tutta l’organizzazione.

Tre tipi di diversity management

La disciplina del diversity management è di fatto una filosofia di impresa e può essere approcciata secondo diversi punti di vista, improntati sia sul tipo di business sia sulle convinzioni interne all’azienda stessa. A prescindere dagli elementi soggettivi, questi devono convergere verso tre capisaldi:

  • riconoscimento: questo approccio si concentra sulla consapevolezza e sul riconoscimento delle differenze degli individui e include attività di formazione di sensibilizzazione alle diversità, entrambe ovviamente intese a migliorare la comprensione e il rispetto reciproco,
  • inclusione: questo approccio si concentra sull’eliminazione delle barriere e sulla promozione dell’uguaglianza di opportunità per tutti i dipendenti. È di per sé una politica aziendale che si fonde con la filosofia di fondo dell’impresa e che include politiche e pratiche di assunzione, promozione e sviluppo che favoriscono l’inclusione e l’equità,
  • valorizzazione: è senza ombra di dubbio l’aspetto più complesso e consiste nell’utilizzare i vantaggi derivanti dalla diversità. Necessita sforzi per creare un ambiente di lavoro inclusivo che valorizzi e faccia leva sulle diverse prospettive e competenze dei dipendenti.

Tutto ciò significa che il diversity management non può essere inteso soltanto come un atteggiamento o un imprinting culturale: è un processo trasversale che parte dall’assunzione del personale e si estende fino all’assistenza ai clienti.

Quattro categorie di diversity management

Per quanto possa sembrare scontato, le uguaglianze sono per definizione tutte le medesime. Sempre per definizione, ogni diversità è unica. Una banalità letteraria e concettuale che trova un proprio estetismo nell’analisi delle stesse diversità e che possono generare varie categorie funzionali e propedeutiche al diversity management come disciplina. Tra queste, le principali sono:

  • diversità interna: rientrano in questa categoria l’età, il genere, l’etnia, le principali forme di credo,
  • diversità esterna: vi rientrano i potenziali relativi alle competenze (soprattutto le soft skill) a alle conoscenze degli individui, così come il pensiero, le opinioni e le esperienze professionali,
  • diversità organizzative: questa categoria si riferisce alla diversità all’interno dell’organizzazione stessa. Può includere diversità nelle funzioni lavorative, nei dipartimenti aziendali e nei livelli gerarchici,
  • diversità nella visione del mondo: ci sono diversi fattori che contribuiscono a formare la visione del mondo e le prospettive che ha ogni persona. Questa diversità è molto influenzata dalle precedenti tre categorie e tende a cambiare nel tempo. Include, ad esempio, l’etica e la morale di ognuno, credenze, affiliazioni politiche, cultura.

Facendo riferimento a queste quattro categorie, si possono tratteggiare altrettanti perimetri all’interno dei quali il diversity management deve posizionarsi. Vi è necessità di riuscire a concentrarsi sull’inclusione e sulle prospettive di equità appannaggio di tutti i collaboratori a prescindere dalla posizione che occupano e deve gestire la collaborazione tra le diversità in campo.

Sfide del diversity management

Lo sviluppo di una cultura aziendale nella quale i dipendenti si sentano parte integrante del progetto imprenditoriale con ricadute positive anche sulla produttività non è avulsa dai risultati: un rapporto di As You Sow – no profit che si spende per la promozione delle responsabilità sociali delle imprese – traccia un parallelo tra diversity management e rendimenti finanziari delle organizzazioni che adottano un approccio inclusivo. Un piatto appetitoso che, per essere servito e consumato, deve superare alcuni scogli. Tra questi spiccano:

  • resistenza al cambiamento: la cultura del diversity management ha bisogno di essere diffusa in tutta l’organizzazione, non è quindi da escludere che alcuni individui, o gruppi, creino frizioni oppure ostacolino le nuove dinamiche organizzative,
  • stereotipi: occorre che tutti i dipendenti, a cominciare dal dipartimento delle risorse umane, siano liberi da pregiudizi che possano viziare i processi decisionali,
  • conflitti: la diversità può portare a tensioni all’interno di un gruppo o dell’intera organizzazione, specialmente quando le persone hanno opinioni diverse o provengono da contesti culturali diversi. Affrontare e risolvere questi conflitti richiede competenze di gestione delle asperità e di promozione del dialogo costruttivo,
  • comunicazione: diffondere e controllare che siano stati recepiti i principi e gli obiettivi del diversity management non è compito facile. Richiede risorse, elasticità e un grado di tolleranza atipici. Tuttavia, non può esserci una vera diversity management fino a quando non è diffusa e accettata tra tutti i dipendenti.

Le sfide non sono sempre semplici da vincere perché possono essere relative a ostacoli ostici quali, per esempio, i pregiudizi, notoriamente poco duttili e difficili da superare. Non è da escludere che la promulgazione della giusta cultura necessiti tempo per attecchire e che – sul viale che conduce alla sua affermazione – si verifichi un turn over anomalo, animato da quei collaboratori che non sono idealmente pronti ad accettarla.

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