digital gender divide

Donne e digitale: un presente ancora da scrivere, ma invertire la rotta si può

L’Italia soffre di divario digitale di genere. Cambiare passo si può, è una questione culturale che deve essere affrontata oggi, perché è nel presente che bisogna agire per preparare il futuro. Ci sono iniziative e programmi che lavorano in questa direzione

Pubblicato il 27 Gen 2023

Veronica Sambati

Social Media Manager & Digital Strategist

digital gender divide

La differenza di genere è radicata in ogni aspetto della società. Una disparità che pesa nel presente e, se non colmata, rischia di lasciare in eredità una situazione ancora più gravosa nel futuro.

Secondo il World Economic Forum il 65% degli studenti che sta cominciando le scuole primarie svolgerà un lavoro di cui oggi non conosciamo nemmeno l’esistenza. Il futuro del lavoro, dunque, sarà totalmente rivoluzionato e la tecnologia farà da protagonista.

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Ma siamo davvero pronti a questo? O meglio: siamo tutti pronti ad accogliere le novità che ci aspettano, oppure c’è qualcuno lasciato indietro? Nel 2021 l’International Telecommunication Union (Itu), agenzia interna dell’Onu, ha diffuso alcuni dati rispetto l’accesso e l’utilizzo della rete nel mondo. Se da una parte il numero di persone nel mondo che ha accesso a Internet è cresciuto (da 4,1 miliardi nel 2019 a 4,9 miliardi nel 2021), dall’altra c’è ancora un terzo della popolazione mondiale che non ha accesso alla rete, di cui il 96% vive nei paesi in via di sviluppo.

Non stupisce, dunque, che il primo fattore che determina l’utilizzo o meno di Internet è quello economico. La tecnologia costa, sia a livello individuale che collettivo. Garantire la presenza di tecnologie innovative all’interno di scuole, strutture sanitarie, uffici, non è sempre sostenibile e tanto meno lo sono gli investimenti strutturali per permettere alla popolazione di accedere a Internet.

Da una parte, quindi, c’è un mondo che richiede sempre più competenze specifiche in ambito tecnologico per rispondere alle esigenze delle mansioni che sarà necessario ricoprire nel futuro prossimo. Dall’altra, c’è un’ampia fetta di persone escluse da tale progresso.

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Il digital che divide

Ma se in merito a questo tema è stato necessario specificare il termine digital gender divide è perché, il fenomeno del divario digitale, non è determinato solo da un fattore economico, ma anche e soprattutto da un fattore culturale.

Analizziamo prima i dati numerici Itu forniti nel 2021 rispetto all’accesso a Internet:

  • Nel mondo: 62% uomini, 57% donne
  • Nei paesi meno sviluppati: 31% uomini, 19% donne
  • Nei paesi in via di sviluppo senza sbocco sul mare: 38% uomini, 27% donne
  • In Africa: 35% uomini, 24% donne
  • Negli Stati arabi: 68% uomini, 56% donne

La prima informazione che salta subito all’occhio è il dato riferito allo scenario globale. Questo ci indica che, tra quei 4,9 miliardi di persone nel mondo che hanno accesso a Internet, c’è uno squilibrio di genere. La seconda informazione, da incrociare a quella precedente, riguarda l’aumento di questo divario a mano a mano che si scende nel dettaglio dei paesi meno sviluppati o in via di sviluppo.

Il fil rouge tra questi due aspetti emersi dai dati è proprio il fattore culturale che da secoli tramanda una serie di preconcetti legati alla figura femminile. Le donne portano ancora il peso di una società che attribuisce loro un valore associato solo all’essere madri e mogli.

Guadagnarsi un ruolo professionale partendo da questi presupposti è molto faticoso, soprattutto se il percorso formativo e la carriera cui aspira una donna implica l’utilizzo delle nuove tecnologie, che nell’immaginario collettivo sono considerate d’interesse solo per gli uomini.

Secondo alcuni studi, già all’età di sei anni si ha la tendenza a etichettare le attività come maschili o femminili. Giocare a calcio è da maschi, fare danza è da femmine. La passione per i videogiochi è da maschi, quella per la moda è da femmine e così via con una serie di preconcetti di genere che vengono insinuati in famiglia e nelle scuole, consapevolmente o inconsapevolmente, tanto da disincentivare bambine e ragazze ad esplorare settori considerati dalla società di prerogativa maschile.

In Italia solo 1 ragazza su 8, secondo un report di Save The Children del 2021, pensa di poter aspirare a una professione scientifica.

I dati riferiti alle scelte scolastiche ne sono una conferma:

  • Diplomi scientifici: 26% ragazzi, 19% ragazze
  • Diplomi istituti tecnici: 42% ragazzi, 22% ragazze
  • Lauree facoltà scientifico-tecnologiche: 37% ragazzi, 16,5% ragazze

Ovviamente, le diseguaglianze che segnano il percorso accademico si riflettono anche nel mondo del lavoro.

In Italia le donne impiegate in aree STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica) rappresentano solo:

  • Il 41% dei dottori di ricerca
  • Il 43% dei ricercatori accademici
  • Il 20% dei professori ordinari
  • Il 7% dei rettori

Questa cultura, pregna di preconcetti di genere radicati nella nostra società, rischia di lasciare indietro numerose risorse che, se incentivate a seguire le proprie passioni e ambizioni, potrebbero invece produrre benessere collettivo e contribuire al progresso.

La pandemia e le conseguenze al femminile

Il rapido diffondersi del Covid19 ha obbligato molte persone a restare a casa dall’oggi al domani. Chi poteva lavorare da remoto è rientrato in una cerchia ristretta di fortunati che, non con poche difficoltà, ha comunque portato avanti il lavoro evitando cassa integrazione o licenziamento.

Tuttavia, non è stato così semplice adattarsi perché, in questo vortice di cambiamento improvviso, sono stati coinvolti anche i bambini e i ragazzi in età scolastica costretti a stare in casa alle prese con la Dad.

In questo scenario, le donne, per un fattore squisitamente culturale, si sono fatte carico dell’aiuto scolastico ai figli in una percentuale maggiore degli uomini (16,5% vs 8,1%). Un triste risultato di questa condizione è emerso dai dati Istat: a dicembre 2020 erano 99 mila le donne che avevano perso il lavoro a fronte di soli 2 mila uomini.

Ancora una volta la tecnologia ha fallito.  Da una parte offre un vantaggio a quelle persone che possono svolgere il loro lavoro ovunque: basta uno strumento adatto alle proprie mansioni (pc, tablet, smartphone) e una connessione a internet e, dall’altra parte, crea uno squilibrio.

Se sei donna e decidi di lavorare in modalità smart o da remoto, devi giostrarti tra gli impegni professionali e quelli personali, ma devi anche occuparti della casa e dei figli più di quanto debba fare un uomo. Perché la tecnologia evolve, ma la cultura di genere no.

C’è sempre una soluzione

Disegnare uno scenario così infelice deve servire a rendere consapevoli di quanto la situazione sia critica, ma non per questo insormontabile.

Bisogna invertire la rotta, perché essere esclusi dai vantaggi e dalle opportunità della rete e delle nuove tecnologie determina conseguenze culturali che alimentano gravi danni socioeconomici.

In primo luogo, è necessario avere un supporto concreto da parte delle istituzioni che devono investire nella tecnologia e nelle infrastrutture per rendere democratico l’accesso alla rete, strumento ormai indispensabile per lo sviluppo personale e professionale di ciascuno.  Questo investimento, però, va accompagnato da un percorso di educazione all’utilizzo delle tecnologie digitali che deve essere introdotto già a partire dalle scuole.

Troppo spesso l’utilizzo passivo della tecnologia viene scambiato per un uso consapevole, mentre bisogna invece essere formati adeguatamente per conoscere i rischi e le opportunità degli strumenti tecnologici e della rete con i quali interagiamo quotidianamente.

Ma tale sforzo non sarebbe sufficiente se, al tempo stesso, non si portasse avanti anche una rivoluzione culturale che si ponga come obiettivo quello di sciogliere qualsiasi pregiudizio e cliché nel rapporto tra donne e tecnologia.

Imprese e organizzazioni possono (e dovrebbero) fare la loro parte. Ci sono già delle iniziative meritevoli che stanno cercando di cambiare le carte in tavola.

Equità di genere nella ricerca scientifica: approcci e politiche per favorirla (ma l’Italia arranca)

InspirinGirls

Si tratta di un progetto internazionale che ha l’obiettivo di creare nelle studentesse la consapevolezza del proprio talento, liberandole dagli stereotipi di genere che frenano la loro ambizione.

In Italia il progetto è promosso da Valore D, la prima associazione di imprese che promuove l’equilibrio di genere e una cultura inclusiva per la crescita delle aziende e del Paese.

Anche in VINCI Energies Italia, business-line del gruppo internazionale VINCI dedicata all’energia e al digitale, si sta impegnando sul fronte dell’inclusività di genere con il Vinci Adoption Program, un progetto pilota promosso nei licei con lo scopo di stimolare le studentesse a intraprendere un percorso formativo e professionale in ambito STEM. Il futuro non è un tempo da immaginare, ma da scrivere. Cominciamo dal presente a farlo in un modo nuovo e inclusivo.

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