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Donne e scienza, parità negata: azioni concrete per un futuro inclusivo



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Un’analisi approfondita degli ostacoli che le donne affrontano nella ricerca scientifica, dagli stereotipi di genere alle molestie sessuali, con uno sguardo alle possibili soluzioni per promuovere l’inclusività

Pubblicato il 9 dic 2024

Lucia Levato

Lusval Parigi, Coach di carriera e Dottore di ricerca



donne e scienza (1)

Malgrado l’importanza della diversità di genere nella ricerca scientifica, le donne sono ancora sottorappresentate. Gli stereotipi di genere possono limitare la partecipazione femminile nella ricerca scientifica.

L’effetto Matilda descrive la mancanza di riconoscimento delle donne e l’attribuzione sistematica del merito dei loro risultati ai colleghi uomini. Queste sono alcune delle difficoltà incontrate dalle donne nella ricerca scientifica.

Promuovere la parità di genere nel campo scientifico richiede delle azioni concrete. Citiamo ad esempio interventi e dibattiti nelle scuole, la formazione degli insegnanti e dei responsabili di ricerca sulla discriminazione di genere, le quote rosa e i programmi di mentoring. Anche l’uso di un linguaggio inclusivo e di una scrittura inclusiva hanno il loro peso. Inoltre, sarebbe utile rivedere i criteri di avanzamento di carriera e di finanziamento delle ricerche.

Introduzione: gli stereotipi di genere

Quando Volt Italia mi ha chiesto di dare una presentazione lo scorso aprile sulla situazione delle donne nella Scienza, non riuscivo a decidere da dove cominciare. Le idee si affollavano nella mia mente. In effetti da quando ho aderito all’associazione Femmes & Sciences sette anni fa ho acquisito svariate evidenze su quanto le donne siano svantaggiate nel mondo della ricerca scientifica: c’è veramente tanto da dire. Questa panoramica, senz’altro incompleta, serve a risvegliare il vostro interesse e la vostra curiosità. Non esitate a contattarmi se desiderate avere o fornire informazioni supplementari.

In quest’articolo sfioreremo il soggetto, soffermandoci sugli stereotipi. Parleremo dell’effetto Matilda e, dopo aver presentato qualche cifra, vedremo l’importanza di un miglior equilibrio di genere nella ricerca scientifica. Concluderemo con esempi di azioni concrete.

Di cosa parliamo quando parliamo di stereotipi di genere

Cominciamo col citare un esercizio proposto a due gruppi di scolari misti, maschi e femmine, nel quadro di una ricerca in psicologia. Si trattava di riprodurre un’immagine. I risultati pubblicati nel Journal of Educational Psychology del 2007 sono sorprendenti. Le bambine riescono meglio quando si presenta l’esercizio come un test di memoria piuttosto che quando lo si presenta come un test di geometria. Gli studiosi hanno interpretato il risultato come determinato dall’attivazione di uno stereotipo diffuso: le ragazze non sono molto portate per la matematica, per la geometria e per le attività tecniche in generale.

Gli stereotipi possono essere descrittivi o prescrittivi, consci o inconsci. Lo stereotipo di genere sulla matematica è di tipo descrittivo. Un altro esempio classico è l’affermazione che le donne non hanno il senso dell’orientamento.

Fra gli stereotipi di genere prescrittivi più ingombranti troviamo l’aspettativa che sia essenzialmente la donna a prendersi cura dei figli e delle attività domestiche. Le inchieste post-lockdown riguardo quale dei due genitori abbia dedicato più tempo all’assistenza ai compiti scolastici dei figli e alla gestione delle routine quotidiane danno delle chiare indicazioni al riguardo, con le conseguenze che si possono immaginare sulla vita professionale.

L’esperimento sul test di memoria o di geometria su menzionato indica che le persone finiscono per credere a questi stereotipi precludendosi delle opzioni di vita dove forse avrebbero potuto esprimere il massimo del loro potenziale.

L’esempio di Clara Schumann

Forse vi sembra esagerato, eppure la biografia di Clara Schumann sembra confortare la mia affermazione. Clara Wiek Schumann, brillante pianista e compositrice, nel decidere di abbandonare la composizione musicale per occuparsi dei numerosi figli avuti con il famoso Robert Schumann, nel suo diario si chiede come abbia mai potuto pensare di diventare una compositrice di alto livello dato che nessuna donna era mai riuscita in tale exploit. Eppure aveva cominciato a comporre giovanissima, enfant-prodige alla Mozart. Qualcuno potrebbe dire che forse è stata più felice cosi, tuttavia la sua domanda indica un certo rammarico nell’abbandonare la creazione musicale. Indubbiamente gli amanti di musica classica hanno perso qualcosa. In modo analogo è legittimo chiedersi quanto abbiamo perso nella scienza precludendo o ostacolando per secoli l’accesso delle donne alla ricerca.

Dati su stereotipi e disparità di genere all’interno dell’Unione Europea

Alla conferenza annuale 2023 dell’associazione Femmes & Sciences, la direttrice scientifica dell’Istituto di astrofisica dell’Andalusia, Isabel Marquez, ha presentato alcuni dati su stereotipi e disparità di genere all’interno dell’Unione Europea, sulla base di vari rapporti da lei raccolti. Notiamo qualche punto: il 44% degli Europei (senza distinzione di genere) ritiene che il ruolo più importante di una donna sia quello di occuparsi della casa e della famiglia, le donne dedicano 22 ore alla settimana a compiti familiari e domestici contro le 9 ore a settimana degli uomini, la percentuale di uomini che lavorano nel settore digitale è 3,1 volte superiore a quella delle donne, soltanto il 22% dei programmatori di intelligenza artificiale sono donne – vedremo in seguito perché è importante che ci siano più donne nelle programmazioni di intelligenza artificiale.

Notiamo infine che il divario retributivo tra uomini e donne è di circa il 15,7%. In realtà questo ultimo punto è estremamente complesso e intricato poiché ci sono tanti elementi che entrano in gioco, come ad esempio il blocco delle carriere femminili a livelli meno retribuiti – il soffitto di cristallo o tetto di vetro – e la tendenza diffusa fra le donne a sottostimare le proprie capacità e a essere reticenti a chiedere aumenti di stipendio. È probabile che la cosiddetta sindrome dell’impostore abbia un ruolo non trascurabile sul divario retributivo tra uomini e donne.

Cifre sul settore privato industriale e tecnologico in Francia

Per concludere questa introduzione, vi propongo uno sguardo alla situazione nel settore privato industriale e tecnologico in Francia. Le cifre provengono dall’inchiesta pubblicata lo scorso settembre dall’associazione Elles Bougent – in collaborazione con OpinionWay.

  • L’82% delle donne intervistate ha sperimentato stereotipi di genere durante la propria carriera.
  • Il 44% ha sentito dire che sono meno competenti in matematica rispetto alle loro controparti maschili.
  • Il 65% delle donne in attività lavorativa percepisce il settore industriale come poco accessibile.

“Questi stereotipi, spesso interiorizzati fin dalla più tenera età, portano all’autocensura e alla mancanza di fiducia in se stesse e allontanano le ragazze dalle carriere scientifiche”.

Donne nella scienza

Una domanda a voi lettori. Quanto vi è facile trovare il nome di una scienziata famosa che non sia Maria Curie? Generalmente è molto più facile nominare scienziati uomini.

L’effetto Matilda

L’effetto Matilda, cioè il mancato riconoscimento delle donne nella ricerca scientifica e l’attribuzione sistematica del merito dei loro risultati ai colleghi maschi, contribuisce sicuramente a questa difficoltà. L’espressione “effetto Matilda” è stata coniata dalla storica della scienza Margaret W. Rossiter nel 1993 dal nome di una femminista americana del XIX secolo Matilda Joslyn Gage che nel 1870 pubblicò il saggio “Woman As Inventor” in cui raccontava come diverse scoperte scientifiche ed invenzioni fossero il risultato del lavoro di donne rimaste nell’anonimato. Consideriamo per esempio la vicenda di Jocelyn Bel Burning che durante le ricerche di dottorato ha scoperto le Pulsar (stelle pulsanti, “Rapidly Pulsating Radio Source”). Pochi anni dopo, nel 1974, la scienziata non figurava fra i premiati del Nobel per la fisica, mentre il suo direttore di tesi, Anthony Hewish, riceveva il premio “per il suo ruolo decisivo nella scoperta delle pulsar” (“for his decisive role in the discovery of pulsars”) https://www.nobelprize.org/prizes/physics/1974/summary/ ).

I libri di testo citano giustamente scienziati come Isaac Newton, Charles Darwin e Albert Einstein. È certamente interessante sapere chi ha scoperto la gravità, l’evoluzione o la relatività. Quando si studia che l’atomo più abbondante nell’universo è l’idrogeno, chi si chiede come facciamo a saperlo? È stata una certa Cecilia Payne a scoprirlo. Spero aver risvegliato la vostra curiosità. Cercando bene troverete numerose altre vittime dell’effetto Matilda.

Importanti traguardi raggiunti da donne nel campo delle scienze

La buona notizia è che la situazione evolve, anche se molto lentamente. Per farvi percepire la lentezza del ritmo vi propongo una lista che evidenzia una serie di importanti traguardi raggiunti da donne nel campo delle scienze, con particolare attenzione alla fisica e alla chimica, dominio in cui ancora oggi le donne sono estremamente sottorappresentate.

  • Nel 1776, Laura Bassi è la prima donna a ricoprire una cattedra universitaria STIM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) in Europa, precisamente a Bologna, dedicandosi alla fisica sperimentale.
  • Nel 1903, Marie Skłodowska Curie riceve il primo premio Nobel assegnato a una donna, distinguendosi sia nella fisica che nella chimica. Nonostante ciò, Marie Curie è rifiutata dalla prestigiosa “Académie des Sciences”, a testimonianza dell’ampiezza degli stereotipi verso le donne.
  • È solo nel 1979 che una donna, Yvonne Choquet-Bruhat, viene eletta all’Académie des Sciences (la prima donna eletta membro “ad vitam æternam!”).
  • Nel 2018, Donna Strickland diventa professore dopo aver ricevuto il premio Nobel per la fisica: al momento dell’attribuzione del premio copriva il ruolo di professore-assistente nonostante l’indiscutibile qualità delle sue ricerche.

Questi traguardi evidenziano non solo il talento e la dedizione delle donne nel campo scientifico, ma anche le sfide e gli ostacoli che hanno dovuto affrontare per ottenere il riconoscimento che spetta loro.

Concludo il paragrafo sulla lentezza del progresso nella parità di genere nella scienza con la sequenza degli anni in cui un premio Nobel per la fisica è stato assegnato a una donna: 1903, 1963, 2018, 2020, 2023.

La situazione in Europa

Parlando dell’esperimento test di memoria o di geometria, abbiamo visto come lo stereotipo riguardo l’attitudine alla matematica influenzi i risultati delle ragazze. Questo stereotipo ha naturalmente delle conseguenze sul ventaglio di discipline contemplato dalle ragazze al momento della scelta degli studi universitari, senza contare che, molto spesso, a parità di curriculum scolastico, il consiglio di orientamento professionale è spesso diverso per un ragazzo e per una ragazza. Rileviamo qui un primo possibile filtro sul numero di donne nelle scienze.

L’Unesco ci allerta sui seguenti punti a livello mondiale:

  • Su ogni 3 persone scienziate, soltanto una è donna
  • Meno dei ⅖ delle persone laureate in discipline STIM sono donne
  • Soltanto il 12% dei membri delle accademie nazionali delle scienze sono donne
  • Non tutti i paesi dispongono di dati affidabili su genere e scienza

Per orientarci nelle cifre che seguono, vi propongo le definizioni del rapporto della Commissione Europea “She Figures” del 2021

La parità di genere si riferisce a un equilibrio 50:50 nel numero o nella proporzione di donne e uomini. L’equilibrio di genere si riferisce a una presenza di donne e uomini compresa tra il 40% e il 60% della popolazione totale.

La sottorappresentazione e la sovrarappresentazione si riferiscono ai casi in cui la rappresentanza delle donne o degli uomini è inferiore al 40% o superiore al 60%, rispettivamente.

La sottorappresentazione delle donne nella ricerca

Nella classifica Unesco 2017 della percentuale di ricercatrici in Europa i paesi del blocco ex-comunista attestano percentuali superiori al 40%, dalla Macedonia del Nord (51,3%) alla Slovacchia (41,4%). La percentuale di ricercatrici in Italia è del 35% un po’ meglio della Francia (27%), il che è sorprendente se si guarda la percentuale delle donne nell’ambito professionale globale (dati della Banca Mondiale del 2021), che vede l’Italia fanalino di coda in Europa e posizionata allo stesso livello dell’Arabia Saudita e al di sotto del Kuwait.

Il fenomeno del “leaky pipe”

Per apprezzare pienamente la sottorappresentanza delle ricercatrici, è necessario prendere in conto il fenomeno del “leaky pipe” (letteralmente “il tubo che perde”) cioè il graduale declino della presenza femminile nel percorso che va dall’istruzione universitaria al vertice della carriera. È il fenomeno che colpisce tutte le donne in carriera e che porta al già citato soffitto di cristallo/tetto di vetro. A titolo di esempio riporto le cifre sulla parità nell’istruzione superiore e nella ricerca per tutte le discipline universitarie, da un rapporto del Conseil National de la Recherche Scientifique del 2021 (“Parité et évaluation non-discriminatoire au CNRS, Rapport de restitution des travaux du Comité Parité de la section 14 Comité National”). Se a livello di laurea triennale (licence) e magistrale (master) la percentuale di ragazze (57,6%) è superiore a quella dei ragazzi, già a livello di studi di dottorato le cifre sono quasi invertite. Andando verso i vertici troviamo per la posizione HDR (Habilitation à Diriger des Recherches) soltanto il 22,5% di donne, percentuale che scende al 14,8% per la posizione di Rettore (Président-e). Come sottolineato, le cifre riguardano tutte le discipline universitarie, possiamo facilmente supporre che i dati specifici alle STIM abbiano un peso maggiore nel tirare le cifre della presenza femminile verso il basso. Dalla mia personale esperienza, la situazione in Italia non sembra migliore.

Me too: il problema della molestie sessuali nella scienza

Ci si potrebbe aspettare che nell’ambito intellettuale della scienza, spesso associato all’immagine della torre d’avorio, il problema della molestie sessuali non si verifichi. Purtroppo i risultati di una recente inchiesta della Fondazione l’Oréal a livello mondiale, affidata all’istituto IPSOS, sono alquanto inquietanti al riguardo. Sulle 5.184 ricercatrici intervistate in 117 paesi:

  • una su due è stata vittima di molestie sessuali sul posto di lavoro
  • 81% è stata vittima di sessismo e, di queste, il 46% ha subito conseguenze negative per averne parlato
  • 62% afferma essere stata messa in disparte o aver subito un atteggiamento accondiscendente a causa del proprio genere
  • 36% ha dichiarato di essere stato umiliata da colleghi con soprannomi irrispettosi
  • 34% ha incontrato difficoltà nell’ottenere visibilità, ad esempio partecipazione a giurie, comitati editoriali di rivista, contributi a eventi importanti.
  • 32% riferisce di aver incontrato problemi in relazione alla proprietà intellettuale o al copyright di progetti e/o pubblicazioni

Questi risultati aggiungono peso all’urgenza di creare ambienti di lavoro che promuovano l’inclusione, la diversità e l’equità. Naturalmente la creazione di tali ambienti di lavoro necessita una presenza femminile ai posti di responsabilità ben superiore a quella generalmente esistente nelle strutture pubbliche e private.

Perché la sottorappresentanza delle donne nella scienza è un problema serio.

La sottorappresentanza delle donne nella scienza è un problema serio.

L’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile (OSS) n. 5 delle Nazioni Unite sottintende che la parità di genere è necessaria per raggiungere uno sviluppo sostenibile, al di là di un puro principio di uguaglianza. È peraltro noto che laddove la diversità è stata integrata a livello strategico e gestita con adeguate pratiche e comportamenti, i gruppi di lavoro sono tanto più efficaci quanto più i suoi componenti sono diversi. Possiamo anticipare che la parità di genere nella ricerca scientifica abbia il potenziale di migliorare l’efficienza dei risultati ottenuti e, di conseguenza, migliorare le condizioni di vita dell’umanità intera. Consideriamo ad esempio il campo dell’Intelligenza Artificiale, è chiaro che l’IA avrà un ruolo sempre più importante nella vita di tutti i giorni. Gli algoritmi di IA comportano inevitabilmente dei bias che solo la diversità dei gruppi di programmazione può permettere di limitare. Da notare che mentre il cervello umano ha la formidabile capacità di dimenticare, l’IA ricorda tutto, in altre parole è difficile decostruire il bias di una IA.

Le conseguenze degli stereotipi di genere nel campo della medicina

Un triste esempio delle conseguenze gravi degli stereotipi di genere e del risultante bias sulle scelte dei temi di ricerca è noto nel campo della medicina dove le patologie che affliggono le donne sono state a lungo sotto-studiate o ignorate. L’arrivo di donne a posti di responsabilità è un potente propellente per promuovere progetti di ricerca con obiettivi più ampi. “La nascita della Medicina di Genere si fa risalire al 1991, quando la cardiologa americana Bernardine Healy (…) ha evidenziato nei due sessi una differente gestione della patologia coronarica, con un numero ridotto di interventi diagnostici e terapeutici effettuati sulle donne rispetto agli uomini, e con un conseguente approccio clinico-terapeutico differente” spiega in un’intervista Anna Maria Moretti attuale presidente della Società Internazionale di Medicina di Genere.

Vera Regitz-Zagrosek, cardiologa e pioniera della medicina di genere in Germania, riporta in un’intervista il commento sprezzante di un capo reparto di fronte alla difficoltà di diagnosi su una paziente: “È una donna, è comunque al di là delle nostre possibilità!” Per fortuna l’episodio risale agli anni ‘80, purtroppo la paziente in questione ha pagato con la vita l’ignoranza dei sintomi dell’infarto nelle donne. Per sottolineare come l’inclusione delle donne nella scienza porti beneficio a tutti, è opportuno concludere questo paragrafo con le parole di Anna Maria Moretti: “È bene ribadire, comunque, che la Medicina di Genere non è una medicina per le donne. La medicina genere-specifica è una medicina che tiene conto delle differenze che si riscontrano nelle varie malattie e nei vari trattamenti in tutti gli individui che hanno inevitabilmente delle specifiche caratteristiche”.

Cosa si sta facendo e cosa si potrebbe fare

A fronte della situazione, istituzioni internazionali e nazionali, pubbliche e private, associazioni professionali, promuovono ricerche, attività, programmi specifici nonché pratiche di impiego e di assunzione particolarmente attente a evitare le discriminazioni.

Fra le varie iniziative cito il progetto dell’Unesco “Call to Action – Close the Gender Gap in Science” lanciato quest’anno a febbraio in occasione della Giornata Internazionale delle Donne e Ragazze nella Scienza per promuovere azioni collaborative multilaterali al fine di:

  1. Smantellare gli stereotipi e i pregiudizi di genere nella scienza attraverso una maggiore visibilità delle donne nella scienza
  2. Aprire percorsi educativi per le ragazze nella scienza attraverso strategie e iniziative educative innovative
  3. Creare ambienti di lavoro stimolanti attraverso politiche e azioni che promuovano l’inclusione, la diversità e l’equità.

Un elenco esaustivo di tutte le iniziative e le proposte oltrepassa lo scopo di questo articolo. Mi limito a elencare le azioni più frequenti di cui sono a conoscenza.

  • Interventi educativi e dibattiti nelle scuole con testimonianze di ricercatrici come fonte di ispirazione (“modelli di riferimento”) per le ragazze;
  • Programmi educativi per insegnanti, managers, responsabili di ricerca, per prendere coscienza degli stereotipi di genere e per esplorare e apprendere le pratiche per “de-cristallizzare” tali stereotipi;
  • Comunicazione inclusiva
  • Implemento delle quote rosa
  • Mettere a disposizione dei media nazionali liste di ricercatrici esperte in varie discipline da contattare per il rilascio di interviste, per fornire spiegazioni e commenti su avvenimenti in relazione con la scienza (terremoti, epidemie, scoperte varie, etc.)
  • Programmi di mentoring.

Comunicazione inclusiva e quote rosa: il dibattito sui pro e contro

Certamente alcuni dei punti sopraelencati suscitano perplessità e/o reazioni veementi. Spesso l’uso della comunicazione inclusiva è visto come un’incombenza inutile. Perché non adagiarsi sulla regola utilizzata per secoli e studiata a scuola che prescrive l’uso del maschile per rivolgersi a un pubblico misto, anche in presenza di un solo uomo tra tante donne? Riporto l’esperienza dell’Agence Nationale de la Recherche (ANR) in Francia che ha ricevuto molte più candidature da parte di donne quando ha cambiato il titolo del suo bando di concorso a progetti da “ANR giovani ricercatori” a “ANR giovani ricercatrici e ricercatori”.

Sono consapevole che per una totale inclusività occorrerebbe considerare anche la transgenerità ma si tratta di un argomento che oltrepassa lo scopo di questo articolo.

Un punto di animato dibattito è quello delle quota rosa. Le donne promosse nell’ambito delle quote rosa spesso si sentono in imbarazzo. La pratica di incoraggiare le donne a non mettere troppo in dubbio le proprie capacità quando si candidano per un posto di lavoro o per una promozione dovrebbe aiutare a neutralizzare un tale imbarazzo poiché aver superato la fase di preselezione è già un’indicazione delle loro competenze. Inoltre, se consideriamo che la sottorappresentanza delle donne in ruoli prominenti agisce come un circuito di retroazione che scoraggia le ragazze a dirigersi verso certe discipline, le donne promosse nell’ambito delle quote rosa sono anche investite della gratificante missione di fungere da esempio per le giovani generazioni e contribuire all’emergenza di nuovi modelli riguardo la ripartizione dei ruoli.

Sicuramente possiamo constatare che le quote rosa, con tutti i pro e i contro di cui si può discutere a lungo, danno risultati concreti come, ad esempio, nella composizione dei consigli di amministrazione in Norvegia.

Comunque, considerando che la diversità favorisce la produttività dei gruppi di lavoro, le quote rosa possono essere viste innanzitutto come un beneficio per le organizzazioni che le adottano.

I programmi di mentoring

Un punto che suscita l’unanimità sono i programmi di mentoring i cui benefici vengono messi in avanti regolarmente citando, fra l’altro, numerose testimonianze positive di chi ne ha beneficiato. Personalmente (https://www.linkedin.com/in/lucia-levato/) dal 2019 dedico una buona parte del mio tempo al programma di mentoring per le dottorande all’università di Paris-Saclay in collaborazione con l’associazione Femmes & Sciences. In discipline come la fisica e l’informatica, le dottorande sono spesso le uniche donne in un team di uomini. Grazie agli incontri in binomio mentor-mentee e attività di gruppo come cerchi di discussione, seminari di sviluppo personale e professionale e testimonianze di ricercatrici e ricercatori, il programma mostra la ricchezza delle opportunità di carriera e permette alle giovani ricercatrici di rendersi conto di condividere preoccupazioni simili nonché l’ambizione di mantenere la scienza al centro della loro vita professionale.

Sessioni individuali o di gruppo con dei coach professionisti costituirebbero un ulteriore sostegno. Riconoscere le proprie capacità e i propri bisogni, infatti, rinforza la fiducia in sé e aiuta a definire il percorso professionale coerente con le proprie aspirazioni, con la fiducia di poter affrontare le inevitabili difficoltà incontrate lungo il cammino. Tali sessioni permettono di mettere in discussione convinzioni, valori e schemi mentali e contribuiscono ad una trasformazione duratura con la nascita di nuovi paradigmi di pensiero. Attualmente le sessioni di coaching, di cui godono molti alti dirigenti del settore privato, sono ancora poco diffuse come strumento di accompagnamento per affrontare alla radice la disparità di genere negli ambienti di lavoro.

Possibili azioni a livello sistemico

Cos’altro si potrebbe fare per agire a livello sistemico? Tenendo a mente che non esiste una soluzione miracolosa è necessario agire su molti fronti attivando processi adeguati, strutture attente al genere e alla diversità e facilitare l’emergenza di nuovi schemi mentali. È necessario rivalutare ciò che costituisce il potenziale di eccellenza nelle posizioni accademiche e scientifiche per elaborare nuovi processi di assunzione, promozione, finanziamenti e sviluppo della carriera. A questo punto mi permetto di condividere alcune idee che ritengo meritino essere prese in considerazione anche se certamente possono essere affinate e migliorate. Per esempio spezzare il circolo vizioso della corsa alle pubblicazioni di prestigio, aumentando il peso attribuito al lavoro di fondo della ricerca scientifica con la sua dose di tentativi istruttivi portati avanti con acume, pazienza e perseveranza, nonché a quello delle competenze comportamentali e umane per gestire gruppi e progetti, qualità che sarebbero anche al servizio della diversità e dell’inclusività. Il fatto di aver raggiunto dei risultati di eccellenza scientifica non implica necessariamente le attitudini umane che favoriscono la qualità dell’ambiente di lavoro, come lo sottolinea l’esperienza di una giovane ricercatrice condivisa nell’ambito di una raccolta di testimonianze anonime. L’aneddoto riguarda il comportamento di uno scienziato rinomato e rispettato durante un evento pubblico nel campo di specializzazione della ricercatrice: “Dopo aver guardato la mia gonna non mi ha mai rivolto la parola durante il dibattito collettivo, nonostante io abbia fatto delle osservazioni valide sui temi trattati. Questo ha fatto sì che gli altri partecipanti – maschi – mi ignorassero mentre in precedenza avevano parlato con me”. Possiamo immaginare l’effetto psicologico di questo episodio sulla ricercatrice. I gruppi sottorappresentati devono affrontare barriere croniche, con pesanti conseguenze sulla salute mentale e fisica (“Why the mental cost of a STEM career can be too high for women and people of colour”). Notiamo anche accessoriamente il peso dei modelli di riferimento, in questo caso un modello di riferimento “tossico”.

Riconoscere nei fatti l’importanza dell’equilibrio vita-lavoro per tutti e a tutti i livelli è indispensabile per conciliare un lavoro ad alta intensità con la cura di sé stessi e della famiglia. Per esempio, migliorare i termini e la pratica del congedo di paternità, sponsorizzare asili nido sul posto di lavoro, dare il supporto necessario al momento di riprendere il lavoro dopo una maternità. Alcuni organismi e istituti di ricerca, ad esempio l’EMBL (European Molecular Biology Laboratory), stanno considerando un budget di sostegno alla maternità per assumere una persona di supporto prima, durante e dopo il congedo di maternità al fine di evitare perdite di produttività ed assicurare la continuità delle varie attività (pubblicazioni, sicurezza dei dati, presentazione di progetti, supervisione di studenti, ecc.).

Nuovi processi e soluzioni possono sorgere dall’ascolto attivo di tutte le parti interessate con vari strumenti più o meno facili da implementare, dal mentoring inverso alla governance partecipativa con un’adeguata distribuzione di ruoli e responsabilità.

Concludo questo articolo con una serie di proverbi raccolti in tutto il mondo e pubblicati da Mineke Schipper nel libro “The Shrinking Goddess” (La Dea ristretta), senza commento.

“La gloria dell’uomo è la conoscenza, la gloria della donna è la rinuncia ad essa”

“Gli uomini dovrebbero anteporre la conoscenza alla virtù, le donne la virtù alla conoscenza”

“Virtuosa è la donna senza conoscenza”

“Una donna saggia è due volte sciocca”

“Il lato femminile della casa: il lato senza conoscenza”

“L’intelligenza di una donna può causare una catastrofe”

“Un uomo non vuole una donna più intelligente di lui”

“Un cane è più intelligente di una donna, non abbaia al suo padrone”

“Educare una donna è come mettere un coltello nelle mani di una scimmia”

“Una gallina che canta e una donna che sa il latino non fanno mai una buona fine”

Ringraziamenti

Ringrazio Roberto Bonino per suggerimenti e lettura critica.

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