l'analisi

Droni, ma quali armi del futuro, finora è stato flop: il caso Afghanistan 

Non ci sono più solo le armi tradizionali per attaccare lo stato nemico. Ad esempio, sono vent’anni che il drone viene utilizzato a tale scopo, ma a cosa ha portato questa nuova tecnologia? A cosa serve e quali sono gli impatti per il futuro? 

Pubblicato il 22 Ott 2021

Marco Santarelli

Chairman of the Research Committee IC2 Lab - Intelligence and Complexity Adjunct Professor Security by Design Expert in Network Analysis and Intelligence Chair Critical Infrastructures Conference

droni

Lo scorso agosto abbiamo assistito alla ritirata ufficiale delle ultime truppe statunitensi e della coalizione NATO dall’Afghanistan, presenti sul territorio dal 2001. Con il ritiro delle truppe, i talebani hanno ripreso lotte e guerre che erano in corso già da anni prima degli attentati del 2001, e sono tornati più agguerriti e militarmente forniti che mai. L’unica zona del Paese che era rimasta davvero sotto il controllo del governo era la capitale Kabul, dove erano presenti rappresentanti internazionali e armate straniere per la difesa dell’aeroporto internazionale Hamid Karzai, che poteva passare sotto il controllo dell’esercito turco. A metà agosto anche Kabul è stata conquistata dai talebani.

I droni in Afghanistan

Da quel momento in poi, è ricomparso in città Khalil Your-Rahman Haqqani, leader talebano di spicco nella rete Haqqani, ala militare del gruppo, sulla cui testa gli Stati Uniti dieci anni fa avevano affisso una taglia da cinque milioni di dollari e che, tra l’altro, gli stessi USA credevano di aver ucciso tramite attacchi di droni. Pertanto, non solo non era effettivamente morto, e quindi chi lo era al suo posto, ma era anche in grado di girare libero per le strade della città. A settembre, in più, è stato anche eletto ministro dei rifugiati dell’Afghanistan.

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Non necessariamente ad essere stati uccisi al posto di Khalil Your-Rahman Haqqani ci sono dei terroristi. Il giorno seguente un attacco alle truppe all’aeroporto di Kabul, ad esempio, la risposta degli Stati Uniti con un attacco “mirato” di droni nella capitale ha portato all’uccisione di una famiglia di dieci civili, tra i quali un’interprete per gli Stati Uniti in Afghanistan e sette bambini. Un attacco, quindi, fallimentare, da parte dell’amministrazione Biden e non solo, visto che molto spesso, già in passato, gli attacchi da parte americana sono avvenuti in zone rurali, in cui poi era difficile svolgere le dovute verifiche.

Certo è che questo attacco si è svolto nella capitale e chiunque aveva accesso al luogo colpito, dai giornalisti agli investigatori. Da qui, i media afghani hanno iniziato a mostrare i familiari delle vittime e dal ritiro delle truppe americane e NATO, se ne sono interessati anche i media di tutto il mondo, tant’è che a seguito di un rapporto dettagliato del New York Times l’amministrazione americana è stata costretta a ritrattare precedenti affermazioni, ammettendo l’errore commesso, ossia la morte di civili innocenti nell’attentato.

Vent’anni di errori con i droni

Esattamente vent’anni fa l’invasione dell’Afghanistan da parte degli americani e degli alleati ha rovesciato il regime talebano e il 7 ottobre 2001, proprio quel giorno, c’è stato il primo attacco con i droni nella storia. Un drone Predator armato, che aveva come obiettivo il mullah Mohammad Omar, leader supremo del gruppo, sorvolando sulla provincia meridionale di Kandahar, la cosiddetta capitale dei talebani, ha invece colpito, con due missili Hellfire, un gruppo di afghani, nel quale lui non era presente. Il mullah Omar è, infatti, morto per cause naturali una decina di anni dopo all’interno di un nascondiglio a poca distanza da una base tentacolare degli Stati Uniti. E, nel cercarlo per ucciderlo, sono state seminate tante vittime civili. Lisa Ling, un ex tecnico di droni dell’esercito americano, diventato un informatore, ha dichiarato in merito che la loro difficoltà era distinguere tra combattenti armati e agricoltori, donne o bambini.

Secondo l’organizzazione inglese per i diritti umani Reprieve, nella caccia all’uomo di 41 obiettivi nel decennio 2004-2014, hanno visto la morte ingiustamente oltre 1.100 persone tra Pakistan e Yemen e, tra l’altro, la maggior parte dei ricercati sono ancora vivi, come gli Haqqani, o il leader di Al-Qaeda Ayman al-Zawahiri. Addirittura, solo il 4% delle vittime di attacchi fatti con i droni in Pakistan sono rappresentati da militanti ISIS, secondo quanto ha rivelato nel 2014 il Bureau of Investigative Journalism di Londra, e centinaia di persone uccise sono state indentificate semplicemente come combattenti afghani o pakistani oppure sconosciuti, per cui non se ne conosceva neanche l’affiliazione.

Guerra coi droni

Nonostante i numerosi errori e le tante vittime cadute ingiustamente negli anni sotto attacchi provocati da droni, sia gli Stati Uniti che i talebani, che hanno usato i droni commerciali armati per attaccare il nemico, hanno continuato e continuano a sostenerne l’efficacia.

Il giornalista afghano Fazelminallah Qazizai ha, infatti, raccolto di recente una testimonianza da parte di un membro dell’unità di droni talebana che ne ha esaltato la superiorità dal punto di vista tecnologico.

Rispetto alle strumentazioni a disposizione degli americani, i talebani non hanno una rete globale di operatori e esperti meteorologici, né una stazione di trasmissione satellitare come quella della base aerea di Ramstein in Germania. Quest’ultima è stata definita il cuore della guerra dei droni degli Stati Uniti dall’ex analista dell’intelligence, poi diventato informatore, Daniel Hale, il quale ha dovuto scontare 45 mesi di carcere per aver portato prove a dimostrazione del fatto che la maggior parte delle vittime dei droni in Afghanistan erano civili[1].

  1. https://www.technologyreview.com/2021/10/07/1036456/opinion-afghanistan-drone-strike-warfare-failed/

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