Russia e Ucraina stanno combattendo una guerra da più di un anno a colpi di cyber attacchi e nuove tecnologie e l’approccio di Kiev si sta rivelando d’esempio per l’Occidente. Droni di consumo a basso costo reimpiegati come armi di guerra e software personalizzati realizzati a costi ridottissimi e in tempi molto più snelli degli USA. In più, si sta aprendo la strada ad armi sempre più “autonome”.
Una guerra a colpi di tecnologia
Abbiamo già discusso delle novità in campo militare che il conflitto tra Russia e Ucraina ha introdotto in questo ultimo anno e mezzo, in particolare per mano di Kiev, tra la riconversione di droni economici di consumo a dispositivi ad uso militare e la creazione di software personalizzati con un minimo impatto a livello di tempi e costi di realizzazione e alta tecnologia.
In merito ai droni, si è passati dagli iniziali droni russi ad ala fissa Orlan-10 per il monitoraggio delle truppe sul territorio e dell’artiglieria, ai droni ucraini Bayraktar TB2, prodotti dall’azienda turca Baykar Technologies, capaci di attaccare carri armati e camion del nemico. I Russi, a seguito della diffusione di video che vedevano in azione questi ultimi droni, che mostravano la resistenza ucraina alla loro invasione, hanno risposto con i droni iraniani Shahed-136 con l’obiettivo di danneggiare l’infrastruttura energetica ucraina. Missione compiuta a dicembre 2022 nella città di Odessa, che conta 1 milione di abitanti. Quello che è emerso in questi mesi di guerra è che bisogna spingere la tecnologia per riuscire a resistere e contrattaccare il nemico. Da qui la continua necessità di aggiornare gli strumenti di guerra, i droni in primis.
Armi autonome
Di questo passo, non ci dovremmo stupire se a breve vedessimo i primi robot da combattimento completamente autonomi sul campo di battaglia. Il protrarsi del conflitto è sicuramente un fattore determinante in questo senso, in quanto, secondo quanto ritengono analisti militari e ricercatori di AI, più si va avanti a combattere, più si affinano le tecniche di guerra e man mano gli stessi droni arriveranno a muoversi senza l’aiuto dell’uomo. Se Kiev ha già nella sua artiglieria droni d’attacco semi-autonomi e armi dotate di AI per combattere i droni nemici, su Mosca non ci sono certezze, ma ciò che è certo che nessuna nazione ha messo ancora in campo robot che possano uccidere in autonomia. Il tenente colonnello ucraino Yaroslav Honchar, cofondatore dell’associazione no-profit per l’innovazione dei droni da combattimento Aerorozvidka, lo stesso che ha guidato l’innovazione dei droni in Ucraina, ha dichiarato in una recente intervista che i combattenti umani non sono in grado di elaborare informazioni e prendere decisioni con la stessa rapidità delle macchine.
La resistenza ucraina a suon di droni e crowdfunding: uno sguardo sul futuro della guerra
Tra i droni che attualmente possono essere definiti semi-autonomi e che potrebbero essere convertiti in totalmente autonomi ci sono lo Switchblade 600, prodotto negli Stati Uniti, e il Warmate, prodotto in Polonia. Questi hanno bisogno dell’intervento umano per la scelta dei bersagli da attaccare, attraverso un video in diretta, e poi subentra l’intelligenza artificiale. Wahid Nawabi, CEO di AeroVironment, il suo produttore, ha dichiarato che “La tecnologia per realizzare una missione completamente autonoma con Switchblade esiste già oggi”. Infatti, i droni sono già in grado di riconoscere obiettivi come i veicoli blindati utilizzando immagini catalogate.
Un esempio su cui si sta già lavorando viene dalla società di difesa MARSS, con sede a Monaco. Quest’ultima, per contrastare i droni Shahed-136, di cui è dotata la Russia, sta sviluppando un sistema di difesa autonomo, che, come affermato dal suo CEO e fondatore Johannes Pinl, aprirà una “nuova era della guerra macchina contro macchina”. Questo sistema lavorerà in maniera tale da disturbare l’eventuale GPS dei droni e rilasciare un drone intercettore autonomo che sarà programmato per distruggere quello nemico.
Cosa esiste già
L’Ucraina, anche su questo tema, si sta dimostrando più tecnologica dell’Occidente. Infatti, sono già in suo possesso sistemi di caccia con droni forniti di piccoli radar e veicoli aerei senza pilota, alimentati da intelligenza artificiale, della Fortem Technologies, con sede nello Utah. Questi radar sono programmati per individuare i droni nemici, che vengono disattivati dagli UAV sparando reti contro di loro, senza che vi sia l’intervento dell’uomo.
Al di fuori dell’Ucraina, possiamo citare i droni dotati di intelligenza artificiale di Israele, gli Harpy, esportati da anni e capaci di distruggere i radar e sostare al di sopra di quelli antiaerei per nove ore in attesa che si accendano. Da Pechino l’elicottero senza pilota chiamato Blowfish-3, dalla Russia, ancora in fase di progettazione, Poseidon, il drone subacqueo AI a propulsione nucleare e dai Paesi Bassi test su un robot terrestre dotato di una mitragliatrice calibro 50.
Un dibattito in corso
Riguardo all’affidabilità della tecnologia in caso di una sua totale gestione dei sistemi, che escluda l’assistenza umana, si discute sul garantire che le macchine non commettano errori e non tolgano la vita a persone non combattenti.
Ingvild Bode della University of Southern Denmark si è espressa sull’argomento affermando che ci sono diverse ricerche sul condizionamento dell’automazione, “automation bias” che evidenziano che “Tendiamo a fidarci dei risultati che ci vengono presentati dai sistemi assistiti da computer più del nostro giudizio”, per cui un operatore di droni sotto stress risponderebbe alla richiesta della macchina come a un ordine, più che a un’indicazione su come agire.
Il dibattito sul tema pone l’accento anche sulla difficoltà di regolamentare i droni militari a livello internazionale. Russia e Stati Uniti, negli ultimi nove anni di colloqui informali con le Nazioni Unite a Ginevra si sono sempre opposti al divieto. Gli americani, in particolare, temono che i nemici che sviluppano i droni non siano in grado di utilizzarli davvero in maniera etica. Toby Walsh, accademico australiano contrario ai droni killer, teme che possano proliferare prima di quanto immaginiamo e più facilmente delle armi nucleari e spera che si raggiunga un accordo che preveda il divieto di utilizzare il riconoscimento facciale e altri dati per identificare o attaccare individui o categorie di persone.
Altra preoccupazione riguarda il rischio che le armi AI possano finire nelle mani del terrorismo. Ad oggi, il Pentagono non ha definito chiaramente “un’arma autonoma abilitata all’intelligenza artificiale”, né ha autorizzato una singola arma di questo tipo per l’uso da parte delle truppe statunitensi, come affermato da Allen, ex funzionario del Dipartimento della Difesa. Ogni sistema proposto deve essere approvato dal presidente dello Stato Maggiore e da due sottosegretari. Questo non impedisce che le armi vengano sviluppate in tutti gli Stati Uniti. I progetti sono in corso presso la Defense Advanced Research Projects Agency, i laboratori militari, le istituzioni accademiche e il settore privato.
Al di là dei timori e delle perplessità, la direzione che sta prendendo questa guerra è quella della sempre maggiore automazione e autonomia delle armi e c’è da chiedersi se sia legittimo o meno lasciare a procedure artificiali il destino di intere nazioni e future generazioni.