Il negozio sta cambiando. Non solo la bottega sotto casa, che cambia in termini merceologici e di fruizione. Ma proprio il negòzio inteso come “attività, occupazione, affare, traffico” (Enciclopedia Treccani) si sta trasformando. La “produzione e vendita” di “beni e servizi” attraverso piattaforme digitali rende l’interazione sociale una parte rilevante del processo di incontro tra la domanda e l’offerta, tra consumatori e venditori, produttori e creatori di contenuti.
Quanto lavoro implicito (nostro) c’è nei servizi digitali
Questo processo di abbinamento digitale è apparentemente automatico (si fa la selezione su una interfaccia web, ci si registra e si mette il numero della carta di credito) ovvero privo di interazioni di soggetti terzi (commessi, addetti, intermediari, broker, bigliettai…), a meno che non ci sia un problema (assistenza). Una parte del lavoro implicito nella transazione è passato dall’altra parte del bancone (dell’agenzia viaggi, della banca, dell’ufficio postale, del supermercato, del medico o dell’anagrafe) e lo facciamo noi.
La digitalizzazione dei servizi implica una quantità crescente di lavoro implicito, inteso come l’attività affidata dal produttore (del bene o servizio) all’utente: registrazione, selezione, informazione, misurazione, certificazione. Come dovrebbe essere considerata questa attività cui non possiamo sottrarci? Per il fornitore di servizi si tratta di un risparmio di costi, mentre per l’utente è meno chiaro cosa sia perché nella ricerca del bene e servizio si mischiano risparmio di tempo, soddisfazione, intrattenimento e tempo perso, stress, costi di connessione, costi opportunità: non può essere chiaramente identificato come tempo libero e nemmeno come tempo occupato è, dunque una zona grigia tra lavoro implicito ed esplicito, tra piacere e dovere, rilevante in termini di valore economico e consumo di tempo, ma non retribuito o indennizzato, diciamo che è lavoro parassita.
Da consumatori a imprenditori in un click
Non solo, si contaminano e si sovrappongono il tempo libero e il tempo impegnato ma si passa continuamente da essere consumatori a imprenditori: passando da un lato all’altro del monitor diventiamo produttori di contenuti, venditori di oggetti, fornitori di servizi, albergatori a utilizzatori, consumatori, fruitori, turisti. Questa inversione dei ruoli fa superare di slancio il perimetro delle categorie sociali classiche (occupati-non occupati, consumatori-produttori, creatori-utilizzatori) portando l’individuo a un genere socioeconomico fluido, in cui passa da soggetto ad oggetto della intermediazione senza soluzione di continuità.
Da lavoro subordinato a lavoro autonomo
A queste propaggini estreme del campo del lavoro, si addentellano spazi interstiziali tra lavoro da remoto e tempo libero, lavoro di cura e socializzazione. Imparare a vivere in continuum non demarcato da badge o scrivanie o cappelli richiederà tempo. Lavorare dal mare 4-5 ore al giorno invece di vivere costantemente sotto aria condizionata in città è una possibilità che prima non si aveva ed è l’altra faccia della medaglia del controllare la posta una volta arrivato a casa e, magari, fare una telefonata al collega mentre si guarda il figlio in piscina. È in corso una trasformazione del lavoro subordinato verso quello autonomo, in cui a dettare i ritmi sono i carichi di lavoro più della timbratrice, il ciclo economico più del capoufficio, le stagionalità più delle scadenze amministrative e la relazione con il tempo e lo spazio diventa meno rigida.
Si lavora quando i clienti ci sono e si va a passeggiare quando c’è un momento di calma. Dal punto di vista urbanistico rappresenta una decongestione degli spazi sociali, un’ottimizzazione della fruizione delle città, delle abitazioni e degli uffici. Una tendenza da non contrastare, anzi da favorire con la tecnologia più opportuna e da una organizzazione socioeconomica realmente smart.
C’è una forte responsabilità nei social-media nel maneggiare i dati e le informazioni: realizzano il trasferimento della conoscenza, determinano il valore delle aziende, orientano l’opinione pubblica.
La necessaria rieducazione sentimentale
Uno degli aspetti più curiosi è la modesta elaborazione culturale che si è sviluppata relativamente ai ruoli che si va via via interpretando: molte volte in qualità di lavoratori siamo afflitti da comportamenti che ci penalizzano, non ci rispettano o valorizzano ma, appena indossiamo la maschera del cliente, diventiamo avidi capitalisti, senza scrupoli. L’idea che mettersi nei panni degli altri dovrebbe accrescere l’empatia, in questa prima fase della digitalizzazione di massa e di contaminazione delle funzioni si è rivelata del tutto disattesa. Anzi, i peggiori costumi vengono rapidamente metabolizzati, una regressione sociale, decadentismo digitale, deresponsabilizzazione.
La grande ribalta che sta avendo la lettura non-binaria di alcuni fenomeni per troppo tempo semplificati e mortificati (uomo|donna, occupato|non occupato, destra|sinistra, sano-malato) è il segnale che il nativo digitale vuole, rivendica, la propria unicità, e non si sente soddisfatto in una rappresentazione semplificata, dicotomica; rifiuta come superato il riduzionismo insito nelle logiche classificatorie, nelle profilazioni, nella stessa volontà di incasellare a tutti i costi in categorie o idealtipi. Non è più necessario, c’è abbastanza potenza di calcolo e di memoria per una rappresentazione in alta fedeltà di ciascuno di noi, dei nostri consumi, delle nostre preferenze come ben sanno i social.
L’esposizione eccessiva alla tecnologia e l’immersione in una realtà artificiale, disallinea i set valoriali e le capacità relazionali. Occorre una rieducazione sentimentale per re-imparare a lasciarsi condurre dagli stimoli tattili, emotivi, sensoriali più fedeli di un qualsiasi ranking o valutazione.
Conclusioni
Sono i sottoprodotti della transizione organizzativa e richiedono una elaborazione ampia e diffusa per superare usi e costumi che arrivano dalla fabbrica e dall’ufficio del ‘900. Ci sono molte consuetudini da rivedere: l’idea del luogo di lavoro, l’orario di lavoro, la collaborazione tra colleghi e l’integrazione delle attività: tante convenzioni, spesso usate per parametrare il lavoro, che sono ormai evanescenti, prive della significatività di un tempo, ma che resistono, permangono nelle norme, negli accordi e nella mente di tanti amministratori e datori di lavoro.