L’Italia è in cima alle graduatorie europee dell’economia circolare secondo i dati del Rapporto sul’economia circolare 2023 anche se siamo tallonati dalla Spagna e altri Paesi Ue che stanno recuperando posizioni. Infatti, sempre secondo il Rapporto “il tasso di circolarità nell’economia mondiale sta diminuendo: in cinque anni siamo passati dal 9,1% al 7,2%. ” Ricordiamo che dal 2022 l’Italia si è dotata di una ben precisa Strategia Nazionale per l’economia circolare.
Vantaggi economici dell’economia circolare
I dati di partenza dell’analisi sono preoccupanti: l’economia globale consuma oltre cento miliardi di tonnellate di materiali all’anno. Accelerare la transizione verso un’economia circolare contribuirebbe a migliorare le condizioni del nostro Pianeta, in quanto l’estrazione di materiali vergini potrebbe diminuire di oltre un terzo (-34%) e le emissioni di gas serra potrebbero essere ridotte, contenendo l’aumento della temperatura globale entro i 2°C e preservando gli ecosistemi cruciali per la vita sulla Terra.
Inoltre, ci sarebbero anche notevoli benefici economici, come un importante contributo alla lotta contro l’inflazione, che viene alimentata dagli aumenti dei costi dei materiali e dell’energia: le strategie mirate al recupero di materia ed energia avrebbero un evidente effetto deflattivo.
In che cosa consiste l’economia circolare
L’economia circolare non può essere reclusa in una definizione specifica, va inserita in un contesto produttivo e consumistico che sussiste nel:
- riciclo,
- ricondizionamento
- riutilizzo di materiali e prodotti non di rado inseriti in un sistema di condivisione e di prestito.
Lo scopo ultimo è quello di prolungare il ciclo di vita dei prodotti e ridurre i rifiuti.
Da qui la nascita di una filiera che ha regole, modelli di business, fatturati e che genera diversi indici per valutare l’intero comparto che, come detto, estende le proprie maglie a qualsiasi prodotto possa essere immesso nuovamente nell’economia. Tra gli attori che animano l’economica circolare non figurano soltanto centri di ricerca o startup dalla vocazione sociale ma anche imprese consolidate.
Perché si chiama economia circolare
Nel 1976 l’architetto svizzero Walter Stahel e l’economista Geneviève Reday hanno presentato alla Commissione europea il rapporto The Potential for Substituting Manpower for Energy disegnando così – seppure sul piano squisitamente teorico – un’economia basata sul riutilizzo dei beni e l’impatto che questa avrebbe avuto sull’ambiente e sulla creazione di impiego.
L’idea di circolarità è ispirata ai cicli della natura che riutilizza perennemente materiali biologici per alimentare sé stessa. Allo stesso modo è stata immaginata un’economia nella quale si riavviano i beni che produce, facendo leva sul riciclo o la riparazione e il conseguente riutilizzo.
I cinque pilastri dell’economia circolare
L’uso del termine economia appare a tratti restrittivo, tant’è che aderire alla sostenibilità intrinseca alla circolarità dei beni è più adiacente a un modus vivendi che a una questione puramente economica.
Lo dimostrano i cinque pilastri che fungono da impalcatura al concetto:
- Input circolari. L’impiego di fonti e materiali rinnovabili o provenienti dal riciclo per ridurre l’impatto ambientale.
- Estensione del ciclo di vita. La progettazione di prodotti modulari e quindi facilmente riparabili, aggiornabili o rigenerabili.
- Piattaforme di condivisione. Gli strumenti che permettono a utenti e proprietari (o produttori) di ottimizzare le risorse impiegate alla produzione.
- Prodotto come servizio. Noto anche come servitizzazione, è un modello che tende a vendere servizi corrispondenti all’acquisto di un prodotto. Un esempio: al posto di vendere una stampante professionale, se ne concede l’uso al cliente. Il fornitore si fa carico di mantenerla e aggiornarla, tendendo così ad allungare la vita del prodotto.
- Nuovi cicli di vita. Raggiunta la fine del ciclo di vita del prodotto lo si ricicla, rigenera o ripara per immetterlo nuovamente sul mercato, anche con fini differenti da quello iniziale.
Questi cinque pilastri sono puro preambolo: per sviluppare sistemi produttivi di economia circolare è necessaria una reingegnerizzazione dei processi aziendali che integra aspetti produttivi, organizzativi e normativi, oltre a una rivisitazione dei modelli di business, di distribuzione e di consumo.
Quali sono le 3 fasi dell’economia circolare
Le fasi, dette anche “Le tre R dell’economia circolare”, sono:
- Ridurre. Produrre beni e servizi utilizzando la minore quantità possibile di risorse naturali.
- Riusare. Allungare il ciclo di vita di un prodotto omettendo di disfarsene quando usurato o non più funzionante.
- Riciclare. Procedimento che include il corretto smaltimento dei rifiuti affinché possano essere trasformati in risorse che verranno immesse nuovamente nei cicli di produzione.
Non si tratta di mera nomenclatura, ognuna di queste fasi ha una propria eziologia. La prima R, la fase del ridurre l’impiego di risorse nei processi produttivi è studiata e ponderata. Il report Ecodesign your future. How ecodesign can help the environment by making products smarter, curato dall’Unione europea nel 2014, traccia un parallelismo tra progettazione di un prodotto e il suo impatto ambientale il quale, in misura dell’80%, viene definito proprio durante il design del bene o del servizio, quindi in fase embrionale.
La riduzione dei consumi quindi non è soltanto relativa alle materie prime ma include la ricerca, lo sviluppo, la lavorazione e i processi di produzione, gli scarti generati e l’assemblamento dei prodotti, affinché ogni singolo pezzo possa essere facilmente smontato e destinato alla procedura di recupero e riciclo più adatta.
Allo stesso modo, il principio del riusare non è fine a sé stesso ma ha una filosofia di fondo: non si tratta soltanto di creare un segmento di mercato teso al noleggio sul breve o sul lungo termine, occorre diffondere la mentalità secondo la quale il possesso di un bene è valida alternativa all’averne la proprietà.
Infine il riciclo, che è tema ben più complesso di quanto comunemente si intenda: oltre a quello propriamente detto che consiste nel triturare o fondere un materiale per poi destinarlo alla produzione di nuovi prodotti, esiste l’upcycling il quale consiste nell’utilizzare dei beni per crearne altri più evoluti o di maggiore qualità.
I vantaggi dell’economia circolare
Quelli che appaiono più evidenti sono le ricadute positive sull’ambiente e la migliore gestione delle risorse naturali. Anche in questo caso la profondità dell’economia circolare offre ulteriori spunti. Nell’analisi dei vantaggi non dovrebbe sfuggire la spinta che l’economia circolare può dare all’innovazione tecnologica e al rapporto tra consumatori e beni di consumo. Va quindi estesa la raggiera canonica dei benefici, includendone alcuni meno evidenti ma non per questo meno reali:
- La nascita e la crescita di un nuovo paradigma economico nel quale possono trovare spazio anche aziende medio-piccole, con ricadute positive sull’impiego.
- Una spinta all’ingegnerizzazione di prodotti modulari che facilitano il riutilizzo dei materiali di cui sono composti.
- Il concepimento di nuove formule di servizi che accompagnano i prodotti.
- Un uso più efficiente delle materie prime e la valorizzazione degli scarti di produzione.
- Creazione di canali logistici per il recupero dei prodotti da rigenerare e reimmettere sul mercato.
- Maggiore elasticità nel soddisfare le richieste dei clienti e i nuovi sviluppi normativi in materia di riciclo e riuso.
- Sviluppo di nuovi mercati e opportunità commerciali: ad esempio, l’offerta di prodotti riciclati o rigenerati può aprire nuovi mercati e attrarre clienti attenti all’ambiente. Inoltre, l’adozione di modelli di business circolari può favorire la creazione di partnership con altre imprese e stimolare l’innovazione.
- Le imprese che adottano pratiche di economia circolare spesso beneficiano di un’immagine aziendale positiva. L’impegno per la sostenibilità e la riduzione dell’impatto ambientale può migliorare la reputazione dell’impresa agli occhi dei consumatori, dei partner commerciali e degli investitori.
Tutti vantaggi che si sviluppano attorno alla consapevolezza dei clienti finali di poter contare su prodotti e servizi durevoli, innovativi e a costi più contenuti.
Riciclare materie prime: a che punto siamo
Il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo in Italia ha registrato un calo significativo nel 2021, attestandosi all’18,4%, rispetto al 20,6% dell’anno precedente (Report su citato).
Questo ha portato all’Italia a perdere il primato tra le cinque principali economie europee, superata dalla Francia. Anche la Spagna ha registrato un calo, mentre la Germania ha mantenuto un valore costante e la Polonia ha registrato un aumento. Il settore delle costruzioni, con il suo basso utilizzo circolare dei materiali, potrebbe aver influenzato i risultati italiani.
Per quanto riguarda la produttività delle risorse, in Europa nel 2021 ogni kg di risorse consumate ha generato in media 2,1 euro di PIL. L’Italia ha mantenuto il primato con un valore di 3,19 €/kg, anche se è stata raggiunta dalla Francia a causa di un decremento significativo negli ultimi due anni. La Germania e la Spagna seguono rispettivamente con 2,69 €/kg e 2,59 €/kg, mentre la Polonia presenta un valore molto più basso di 0,78 €/kg.
Il calo dell’Italia è principalmente attribuibile all’aumento dei livelli di consumo interno di materiali, non accompagnato da una crescita economica equivalente. Un’altra ragione potrebbe essere l’aumento dei consumi di minerali, che hanno una minore produttività delle risorse rispetto al PIL. Negli ultimi dieci anni, la produttività delle risorse è aumentata in media del 9% in Europa e del 13% in Italia. La Polonia ha registrato una crescita del 30% rispetto al 2012, anche se rimane molto al di sotto degli altri paesi. Rispetto al 2020, nessuno dei principali paesi ha registrato un miglioramento, ad eccezione della Spagna.
Economia circolare per artigiani e commercianti
Merita un approfondimento un ulteriore vantaggio – ad ampio spettro – che include artigiani e commercianti. L’economia circolare non è appannaggio soltanto di grosse aziende e di organizzazioni consolidate nel tempo. Al contrario, permette anche a realtà più piccole e meno strutturate di guadagnarsi mercato.
Case study: Rifò, raccoglie e ricicla lana e cotone
Ci sono diverse iniziative e, rimanendo confinati nei patri confini, possiamo citare Rifò, iniziativa grazie alla quale i vestiti dismessi vengono trasformati in capi di abbigliamento nuovi dopo una processo di lavorazione tipicamente artigianale. Un’evoluzione di quello che, nella Toscana che fu, era il cenciaiolo e che col passare degli anni è andato scomparendo per riapparire oggi, sensibile all’ambiente e ai temi sociali, non da ultimo l’impiego.
I commercianti che abbracciano l’economia circolare, anche soltanto proponendo modelli di servitizzazione, riescono a gestire meglio approvvigionamenti e scorte (il magazzino è un costo) e, spingendosi più in là e unendo le forze, riescono a dare vita a progetti di forte impatto.
Case study: Ecopneus ricicla copertoni usati
Citiamo, ma solo a titolo di esempio il consorzio Ecopneus il quale ricicla copertoni usati per fare materiali da destinare all’arredo urbano, alle aree gioco per bambini e ad altre superfici. Un consorzio del quale fanno parte anche colossi dell’automobile ma che assume una propria identità grazie alla collaborazione tra soggetti di diversa dimensione.
Questi sono soltanto esempi del potenziale dell’economia circolare, che offre vantaggi alle piccole realtà come a quelle grosse, ridando spolvero anche a professioni antiche, facilitando la gestione dell’azienda e aprendo scenari di business e mercati.
Quali sono gli svantaggi dell’economia circolare
Anche gli svantaggi non possono essere ridotti soltanto alla necessità delle aziende di ridisegnare i propri processi produttivi – si tratta di investimenti sul lungo termine – o a quelle dei consumatori di rivedere i rispettivi approcci agli acquisti.
Ci sono punti deboli di più complessa soluzione. Tra questi vanno annoverati:
- Ci sono materiali riciclabili all’infinito (per esempio l’alluminio) e altri (la carta) che possono essere reimmessi nei cicli produttivi un numero finito di volte, dopodiché vanno smaltiti in modo definitivo.
- I processi di produzione potrebbero portare a escludere quelle materie prime difficilmente riciclabili.
- Oggi i costi di recupero di un materiale possono essere superiori a quelli dei materiali stessi, ciò comporta uno squilibrio che imporrebbe ai consumatori di pagare un prezzo fuori logica per i prodotti finali.
La transizione verso l’economia circolare è un fenomeno da osservare, soltanto in parte indotta dal difficile superamento degli svantaggi e resa farraginosa soprattutto dal fatto che il sistema vigente è eretto sull’economia lineare e la svolta culturale richiede tempo. Questo rende più complesso lo sviluppo di ulteriori nuovi modelli di business.
L’assenza di linee guida unitarie e di legislazioni chiare frenano il cambiamento che, come vedremo, è già in atto anche se appare lungi dal dare il meglio di sé.
Quando l’impresa è sostenibile
Un’impresa sostenibile adotta modelli di business responsabili che proteggono l’ambiente ma che hanno anche ricadute positive sugli stakeholder e su tutta la comunità con cui è in contatto. L’aggettivo sostenibile ha più di un’accezione e contempla l’ambiente, quindi l’attenzione delle aziende nell’approvvigionamento e nel consumo di materie prime, così come la loro sensibilità nel ridurre l’impatto ambientale dei rispettivi processi di produzione.
A questo si aggiunge la sostenibilità sociale, che contempla la sicurezza dei lavoratori e i loro diritti, sviluppati sul principio dell’uguaglianza – non solo remunerativa – e sul senso di appartenenza all’azienda. Discorso che può essere esteso alla comunità in cui l’impresa è inserita che però non si limita al finanziamento di attività locali ma che si infiltra in vantaggi di più ampia portata come, per esempio, servizi di welfare che migliorino la qualità di vita della collettività.
Uno dei metodi utilizzati per valutare un’impresa risiede nei fattori ESG (acronimo di Environmental, Social e Governance) i quali, secondo metriche diverse, sanciscono il grado di sostenibilità di aziende e investimenti.
Quali sono le aziende sostenibili
Affidandosi ai parametri ESG, Credit Suisse e KON Group hanno promosso il Sustainability Award, un riconoscimento alle imprese sostenibili che si sono distinte nel perseguire i rispettivi obiettivi nel rispetto dell’ambiente e delle persone.
Tra quelle italiane figurano aziende di respiro internazionale come, per esempio, Acqua Sant’Anna S.p.A., Clementoni S.p.A., Juventus Football Club S.p.A. e Marzotto S.p.A..
Il Sustainability Award è un premio di recente istituzione, la seconda edizione si svolgerà a novembre del 2022, ma è un progetto che inaugura un nuovo modo di guardare alle imprese, un’ottica che comprende anche l’appeal che possono esercitare sugli investitori e sul mercato.
Quali aziende usano l’economia circolare
Sono molte le aziende che hanno abbracciato l’economia circolare, anche soltanto per una parte dei rispettivi processi di produzione. Ne citiamo alcune vedendo, in seguito, in quale misura ci si sono votate. In ordine alfabetico, parliamo di Barilla, Ferrero, Icam, Lavazza e Mapei.
Alcuni esempi
Barilla, in collaborazione con la Cartiera Favini, ha varato CartaCrusca. Un progetto che mira al recupero della crusca che deriva dalla lavorazione di alcuni cereali per farne imballaggi.
Ferrero ha in essere diversi progetti di economia circolare. Oltre al packaging che tende a essere riciclato al 100%, ha avviato collaborazioni con diversi centri di ricerca per impiegare i gusci delle nocciole al fine di ottenere una fibra prebiotica con proprietà benefiche sul sistema immunitario e su quello cardiovascolare.
Icam, che produce cioccolato, oltre a fare ricorso a imballaggi riciclabili, sperimenta l’uso di mais compostabile per il flow pack, la pellicola di norma leggera e personalizzata che avvolge i prodotti.
Anche Lavazza ha optato per le collaborazioni con centri di ricerca e atenei e, grazie al Politecnico di Torino e all’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo (Cuneo), i fondi di caffè sono usati per la produzione di funghi alimentari.
Mapei commercializza un additivo che in pochi minuti trasforma il calcestruzzo in grani che possono essere riutilizzati nella produzione di altro calcestruzzo andando così a ridurre scarti e rifiuti.
La sharing economy, l’economia di condivsione
Al di là di questi esempi, che vertono tutti sulla riduzione degli scarti e il riciclo, vanno considerati fenomeni di portata più trasversale come il mercato dei beni di seconda mano i quali, anche in Italia, sono al centro di un crescente interesse da parte dei consumatori come testimoniano le piattaforme per la compra-vendita di abbigliamento usato.
Il mercato dei beni di seconda mano rientra di fatto nell’ampio braccio dell’economia circolare, così come vi entrano alcuni attori della sharing economy, i quali oltre a mettere in contatto chi dispone un prodotto e chi vuole farne uso, ne consente anche la condivisione. Un esempio su tutti è il carpooling ma, in generale, l’economia collaborativa spinge quella circolare.
In Italia ripariamo poco
Secondo i dati disponibili al 2020, l’Italia conta quasi 24.000 aziende attive nel settore della riparazione, posizionandosi al terzo posto tra le cinque principali economie europee. La Francia risulta al primo posto con 35.300 imprese, seguita dalla Spagna con 29.100. Tuttavia, nel corso degli ultimi dieci anni, il numero delle aziende italiane è diminuito, registrando una perdita di 2.622 unità rispetto al 2011, pari a una diminuzione del 10%. Anche in Polonia si è registrato un calo, mentre Spagna, Francia e Germania hanno invece visto un aumento.
Se si considera il valore della produzione generato dalle aziende, l’Italia supera i 2,1 miliardi di euro, registrando un aumento di circa 122 milioni di euro rispetto al 2011. Tuttavia, siamo ancora dietro alla Francia (4,5 miliardi di euro), a pari merito con la Spagna e davanti alla Germania (2 miliardi di euro).
Il numero di addetti impiegati dalle imprese di riparazione in Italia nel 2020 era di quasi 10.800, registrando una diminuzione di circa 1.500 rispetto al 2019 e di circa 2.300 rispetto al 2011. In confronto, Germania, Spagna e Francia impiegano un numero di addetti più che doppio rispetto all’Italia.