In un contesto di sovrabbondanza informativa, di proliferazione di contenuti e moltiplicazione di canali espositivi, il tempo di attenzione umana disponibile diventa un fattore sempre più limitante.
Il tempo e l’attenzione degli utenti sono, infatti, risorse scarse e quindi monetizzabili, portando i media e le piattaforme digitali a una lotta costante per conquistare ogni istante del nostro focus. Questo vale per tutti i settori dell’informazione, ma riteniamo che sia particolarmente pericoloso quando affrontiamo la combinazione tra alcuni settori nello specifico come la politica, base del nostro vivere civile e le nuove generazioni, che di questo vivere civile rappresentano la promessa futura.
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L’economia dell’attenzione nella comunicazione politica
Partiamo analizzando velocemente il fronte della politica. In questo settore, l’attenzione è diventata una moneta di scambio cruciale. Leader e movimenti sfruttano i social media per ottenere visibilità, a volte estremizzando i messaggi proprio perché i contenuti divisivi generano più engagement.
Una ricerca pubblicata su Science Advances1 nel 2021 mostra come i meccanismi dei social incentivino espressioni di indignazione morale. I contenuti che suscitano indignazione (spesso attaccando l’out-group avversario politico) trattengono di più l’attenzione degli utenti e vengono privilegiati dagli algoritmi, con il risultato di esasperare le divisioni. Così la comunicazione politica si adatta ai ritmi dei social, privilegiando slogan conflittuali e messaggi emotivi per conquistare attenzione.
Nel lungo termine, alcuni studiosi avvertono che tale dinamica può minare il discorso democratico e persino creare disfunzioni deliberative. Questo perché la logica algoritmica dell’engagement tende a favorire contenuti emozionali, divisivi o sensazionali essendo quelli statisticamente più performanti in termini di click e condivisioni.
Come l’economia dell’attenzione frammenta l’informazione
La logica algoritmica pone, inoltre, seri interrogativi sul fronte informativo in generale: la personalizzazione può significare che due persone con inclinazioni diverse ricevono notizie completamente differenti su uno stesso fatto (con il rischio di condividere sempre meno una “realtà fattuale” comune).
Molti utenti oggi “inciampano” nelle notizie scrollando i feed o usando Google Discover, più che visitare intenzionalmente la homepage di un giornale. Questo comporta che la fruizione dell’informazione sia spesso frammentata e intercalata tra altri contenuti di intrattenimento. Questo fatto accanto alla sovraesposizione, genera stress informativo e contribuisce allo sviluppo di news avoidance (evitamento delle notizie). Il consumo di notizie è sempre più personalizzato, frammentato e immediato, ma anche più volatile.
L‘economia dell’attenzione e l’impatto sui giovani
E se l’economia dell’attenzione è ormai il motore dell’ecosistema digitale, cosa succede quando a essere bersaglio delle strategie di monetizzazione sono i più giovani, per i quali l’attenzione è un argomento di per sé molto delicato e problematico?
Diverse ricerche (accademiche e di marketing) stimano che i nativi digitali Gen Z riescano a mantenere l’attenzione su un singolo contenuto per una manciata di secondi, inferiore a quella dei Millennial e nettamente minore rispetto ai loro genitori (Gen X e Boomer).
La Gen Z in media concentra l’attenzione per meno di 10 secondi su un singolo stimolo prima di distrarsi o decidere se proseguire, mostrando una soglia di attenzione ridotta del 33% negli ultimi vent’anni. La rapidità con cui le Gen Z filtrano le informazioni nel feed digitale è altissima. Ciò non significa che non possano mantenere la concentrazione a lungo, ma indica che occorre catturare subito il loro interesse se si vuole sperare di avere la loro concentrazione.
I nativi digitali filtrano rapidamente ciò che ritengono irrilevante, ma possono focalizzarsi profondamente su ciò che li interessa davvero. Questa ridotta capacità di attenzione prolungata è strettamente collegata all’uso intensivo di tecnologie digitali: la continua esposizione a stimoli rapidi e multitasking ha ridefinito le abitudini cognitive dei più giovani, rendendo la concentrazione continuativa una sfida maggiore rispetto al passato. E la lotta alla ricerca della loro dedizione, sempre più cruciale. Perché i secondi a disposizione per la cattura sono pochi, mentre il rischio di manipolazione una volta ottenuta l’attenzione, invece, è altissimo.
Come contrastare gli effetti negativi dell’economia dell’attenzione
Di fronte agli impatti problematici dei social media e delle piattaforme digitali, si sta discutendo a vari livelli (istituzionale, industriale, civile) come regolare e correggere il corso del ecosistema digitale per massimizzare i benefici minimizzando i danni. Le possibili soluzioni riguardano sia interventi normativi dall’alto (leggi e regolamenti) sia iniziative e scelte progettuali da parte delle aziende tech, oltre a un ruolo per l’educazione e la consapevolezza degli utenti.
Dal lato educativo e culturale, quello che personalmente mi interessa maggiormente rispetto alla mia posizione professionale, una soluzione a lungo termine può essere quella di investire in media literacy e digital literacy tra gli utenti, sin dall’età scolare. Ciò significa insegnare a riconoscere le fonti affidabili, a comprendere i meccanismi delle echo chamber, a gestire il proprio tempo online e le proprie reazioni emotive ai social.
Ad esempio, diversi paesi (Finlandia, ad esempio) hanno introdotto moduli di educazione alla cittadinanza digitale nei programmi scolastici proprio per formare utenti più consapevoli e resilienti a fake news e manipolazioni. Un’altra area di intervento riguarda sicuramente il design delle piattaforme: alcuni esperti propongono modifiche strutturali per mitigare gli effetti negativi.
Esperimenti come BeReal che incoraggia a postare una foto spontanea al giorno senza filtri, e Slow Social si inseriscono in questo approccio. In ambito accademico, cresce anche la ricerca su possibili correttivi algoritmici: ad esempio, alcuni studi di informatica etica propongono algoritmi di raccomandazione che ottimizzino non solo l’engagement ma anche la diversità informativa o il “benessere” dichiarato dall’utente. Altri esplorano “nutritional labels” per i contenuti online.
Un approccio multiplo al problema
Ma la soluzione non può essere univoca, deve piuttosto prevedere interventi su più fronti: leggi più aggiornate che riflettano il potere delle piattaforme (come sta facendo l’UE), innovazione responsabile da parte delle aziende (che dovrebbero incorporare principi etici nello sviluppo dei prodotti), e crescita della consapevolezza negli utenti e nella società civile. Come scrive Carr in Superbloom, potrebbe essere ormai tardi per affidarsi solo alla regolamentazione dall’alto, e una parte della sfida consiste in un cambiamento culturale: “chi può salvarci dai social media? Ormai forse solo noi stessi”.
Fonti e approfondimenti
Nicholas Carr (2025), Superbloom: How Technologies of Connection Tear Us Apart, 2025
J. M. Twenge (2017). iGen: Why Today’s Super-Connected Kids Are Growing Up Less Rebellious, More Tolerant, Less Happy and Completely Unprepared for Adulthood. New York
ISTAT
Ministero Istruzione (MIM)
OECD – PISA, Education & Skills
UNESCO – Global Education Monitoring Report 2023
“Recent Advances and Future Prospects for Memristive Materials, Devices, and Systems”, Lanza et al., 2023 https://pubs.acs.org/doi/10.1021/acsnano.3c03505;
Barnes & Noble Education (2020)
Cognia (2020)
4MAN Consulting (2021)
Save the Children (2023).